La fiducia è un sentimento importante nella costruzione di ogni rapporto o progetto. E lo è ancora di più se il messaggio arriva da un’artista da sempre impegnata a denunciare la violenza contro le donne e a chiedere a gran voce spazi e diritti che spesso a loro vengono se non negati, limitati. Stiamo parlando di Elena Pistillo regista, attrice siciliana. La sua è una storia che va raccontata con calma e dall’inizio.
Pensate, quando era piccola, giocava alle interviste immaginarie forse per il desiderio di spiegare al mondo la passione per la recitazione, quasi, convincere gli altri che essere attrice era meraviglioso: “Volevo fare davvero – rivela – e per sempre e quelle interviste, se fossero state reali, avrebbero dimostrato che avevo ragione, che ce l’avevo fatta! Ma il tempo passava, le interviste rimanevano immaginarie e quel gioco bellissimo diventava un pizzico crudele”.
Elena si è presa del tempo per crescere, studiare, sognare, capire il suo ruolo nella vita, nell’arte. Ecco perché trovo emozionante scoprire un po’ alla volta questa donna: come si dice in questi casi la recitazione è una specie di luogo di meditazione in cui devi presentarti da sola, fermarti e porre domande difficili. Perché se è vero che una volta, per una donna, fosse normale farsi bastare una bella casa, un marito che prende le decisioni. Oggi, per fortuna, le donne hanno altre ambizioni. Non solo. Oggi non sono più una contro l’altra: si ascoltano, collaborano, spingono storie e prospettive al femminile. E’ una questione di sensibilità, anzi, di occhi con cui guardare il mondo.
Elena, che cosa è cambiato, se è cambiato qualcosa, rispetto a quando hai iniziato a intraprendere la professione?
Nel mondo o in me? Nel mondo sono cambiate tante cose ovviamente, rispetto alla mia professione, il cambiamento più evidente riguarda l’avvento dei social: altra realtà nella quale l’artista si muove, talvolta vi rimane intrappolato, talaltra l’attraversa indenne, altre ancora ne fa uno strumento, a suo vantaggio (o svantaggio).
In me è cambiata la consapevolezza. Quando ho iniziato ero giovanissima, bellissima, piena di talento, ma non ne ero consapevole.
Sembra presuntuoso che lo dica io, ma per me è come parlare di un’altra persona in questo momento, credimi, per cui non provo imbarazzo.
Lo provo invece nel descrivere l’Elena di adesso.
Adesso sono consapevole. Nel bene e nel male. Conosco i miei punti di forza e i miei limiti.
Mi pare di capire che una parte importante della tua vita d’artista scaturisce dalla voglia di raccontare un’esperienza, una storia, un’emozione. Quali sono le storie più importanti che hai sentito legate alla tua arte?
Come attrice non sempre scegli le storie che, attraverso il tuo corpo e la tua voce, racconti, interpreti, vivi su un palcoscenico o in un set, ma dentro ogni storia che la sorte ti assegna, racconti comunque una parte di te e apprendi da ogni personaggio, anche da quello che ti sembra più distante, qualcosa che scopri di essere.
Amo interpretare la femminilità in tutte le sue declinazioni.
Ricordo con delizia il personaggio assegnatomi da Walter Manfrè in Vita al tempo del Serpotta di Luca Masia, messo in scena al Palazzo San’Elia nel lontano ormai 2004: ero tutta vestita di bianco in un letto gigante in una delle stanze di quel meraviglioso palazzo, coperta da candide lenzuola, per poi d’un tratto svelarmi al pubblico che intanto si era raccolto nella stanza illuminata ad arte. La gente si spaventava il primo istante, per poi invece lasciarsi incantare dalla seduzione della cortigiana da me interpretata. Il pubblico era intorno al mio letto, ed io vivevo quella vicinanza come linfa del mio amore per quel pubblico, per quel personaggio, per quella magia di essere in un’altra epoca, in un altro corpo, in un altro luogo.
Amo interpretare donne eterne, grandi, complesse, come regine, eroine, assassine, Sante, puttane.
Ma mi emozionano anche moltissimo, quelle donne oppresse, vittime, che sembrano essere insignificanti, deboli e poi invece, come per magia, da bruchi striscianti diventano scintillanti farfalle.
“A volte sono le persone che nessuno immagina possano fare certe cose, quelle che fanno ciò che nessuno può immaginare” scriveva Alan Turing. Ecco, quando questo accade, mi viene da piangere per la felicità.
Credo che un po’ tutte le persone (e i personaggi) contemporanei, sono (siamo), anime in trappola, e dunque bruchi, per non dire vermi. Ma può accadere che in un gesto, in un dono, in un sorriso, ci trasformiamo in farfalle e siamo finalmente felici. Mi piace raccontare questo.
C’è qualcosa di autobiografico nelle storie che scrivi?
Sì, soprattutto nei miei primi tentativi di scrittura. Ritengo che i riferimenti autobiografici siano tipici di una prima fase evolutiva. Chi non ha iniziato con diari, romanzi autobiografici il cui valore era più che altro terapeutico? Solo quando ci si sgancia dalla propria misera vita, secondo me, si riesce a scrivere…come dire….meglio. E’ ovvio che noi ci siamo sempre in ciò che scriviamo: il nostro sguardo, la nostra sensibilità, ciò che selezioniamo dall’infinita abbondanza che l’universo ci offre, ma a un certo punto capiamo, almeno per me è stato così, che limitarci a copiare la nostra vita su di un foglio, ha poco senso.
Attingo spesso invece, per scrivere, più che dalla mia vita, dai miei sogni. Davvero, quelli che faccio di notte intendo.
Li trovo più interessanti!
Che meraviglioso gioco è la narrativa. Tutto ciò che non si ha il coraggio di confessare neanche all’analista, lo si può con leggerezza delegare ai personaggi, costretti ad amare o morire al posto tuo. Confessa: quale imposizioni dai alle tue creature?
Devo confessarti che ho un po’ paura del destino che assegno ai miei personaggi. Provo a spiegarmi meglio. Quello che sto per dire, però, è del tutto irrazionale, non credo io possa provarlo in nessun modo. Tuttavia, ritengo che la scrittura abbia un potere divinatorio, anticipatorio. Mi è capitato di scrivere delle cose e poi viverle. Una meravigliosa giornata a San Vito Lo Capo di cui mi rimane un sasso con su scritto “le cose belle accadono” e un vivido ricordo, prima di averla vissuta, l’ho scritta. Un tremendo furto che ho subito, l’ho, purtroppo, prima immaginato e descritto in un racconto. Da allora faccio molta attenzione a quello che scrivo J
Scherzo, ma non troppo. Ecco perché non trovo mai i finali, li temo.
E’ così agrodolce la vita di una attrice/regista? Conosco colleghi che quando chiudono gli occhi inventano storie. Quando li riaprono le scrivono. E con le storie fanno i soldi. Quanto siamo amanti della cultura e quanto fingiamo di esserlo per sbarcare il lunario?
Non saprei, purtroppo o per fortuna, la cultura non mi fa sbarcare il lunario. Oltre a essere un’artista, sono una docente. Amo insegnare ma non posso negare che vorrei vivere solo d’arte. Ma così non è. Non ora quanto meno. Ma questo ha un vantaggio: non scrivo o interpreto storie per fare soldi. Lo faccio solo per emozionarmi, per vivere.
Cosa bisogna fare per debellare il flagello dell’ignoranza politica verso tutto ciò che arte, cultura, storia e memoria?
Perdonami se non rispondo in modo serio, ma proprio non ci riesco, perché temo sia un’operazione impossibile.
Allora ti dico quello che mi è venuto in mente, chissà magari è proprio questa la soluzione!
Farei un bel laboratorio teatrale con coloro che ci governano: li farei mettere a piedi nudi su un palcoscenico vuoto, li farei muovere, recitare, cantare, perdersi tra versi, miti e riti.
Gli toglierei il cellulare, gli orologi e le cravatte.
Imporrei loro il silenzio quando questo è necessario, e li lascerei liberi di urlare quando questo è necessario.
Li farei scannare tra di loro come bestie, e poi abbracciare, lottare, danzare, saltare, strisciare. Indossare maschere e parrucche. Essere uomini e donne, bestie e Dei. Li farei essere fluidi, ermafroditi, omosessuali, eterosessuali, asessuati. Streghe e draghi.
Un laboratorio teatrale, intenso, ben fatto. Con maestri di primo ordine.
Tutto cambierebbe. Capirebbero finalmente.
L’8 è il 9 marzo sarai in scena con uno spettacolo che racconta la vita di Maria Occhipinti: una donna straordinaria, rivoluzionaria, pacifista, combattente per i diritti delle donne. Una donna del popolo, vissuta nel mondo… anima libera: quasi ignorata dalla storia ufficiale. Non è facile trovare spazio in una società maschilista?
Certo che no! Non lo era allora e non lo è adesso. Il gesto di Maria Occhipinti infatti non fu per nulla compreso o apprezzato dalla sua famiglia, dai suoi compaesani: una donna confinata, incarcerata, costretta a partorire in prigione, era un’onta. Non a caso una volta libera, non visse a Ragusa, ma per il mondo.
C’è un film- documentario su di lei, di Luca Scivoletto, molto ben fatto. Guardandolo si nota la netta differenza tra Maria e la sorella, per esempio, figlie degli stessi genitori, eppure agli antipodi nell’aspetto, nel modo di parlare, nelle scelte di vita.
Maria anticonformista, libera e inquieta allo stesso tempo.
Sono grata a Francesca Martino, cantante e amica, che per prima mi ha parlato di Maria Occhipinti ed è con lei che è nato lo spettacolo due anni fa. Siamo stati a Ragusa ovviamente, città natale di Maria Occhipinti, e un po’ in tutta la Sicilia. Teniamo molto a questo spettacolo, che secondo noi, ha una grande valenza specie in questi giorni tremendi di guerra.
Sono felice di portarlo in scena, sia pure in una forma ridotta, al Teatrino di Palermo l’8 e il 9 marzo. Ovviamente la data non è stata scelta a caso.
Comprendo che la tua domanda vuole farmi esprimere un’opinione sulla società “maschilista”. Potrei parlarti del gender gap, della grammatica italiana, della violenza di genere (argomento a cui ho dedicato molto, su cui ho anche realizzato un cortometraggio dal titolo Violenza Vola Via su un testo teatrale di Gianfranco Perriera, con cui ho vinto il primo premio al Cefalù Film Festival del 2018), potrei semplicemente dirti che basterebbe chiedersi perché esiste la giornata della donna e non esiste quella dell’uomo.
Da un lato, dunque, mi inviti a nozze, dall’altro lato, però, penso che più che una società maschilista (o meglio, oltre ad essere una società maschilista), la nostra sia una società tremendamente in crisi, squilibrata, in agonia. E questo è devastante se pensiamo ai nostri figli. Perché, come scriveva Seneca, “Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”.
La società odierna mi appare così: non sa dove andare. Compra quando può, si dispera quando non può comprare, s’ammala e muore. Pensa di possedere e preferisce uccidere piuttosto che perdere.
Sorrido adesso. Perché io sarei ottimista! Così mi sono sempre definita e in molti mi definiscono. M’accorgo che invece vacillo.
Il guaio è che non bisogna mai definire, definirsi. Si rischia di cadere nel ridicolo.
Tema abbastanza presente nella tua vita, appunto i diritti delle donne. Da dove si parte per stare dalla vostra parte?
Non è necessario stare dalla nostra parte. E’ necessario rispettarsi a vicenda, pur nella diversità di opinioni, scelte, idee. Non bisogna competere. O peggio disprezzare. E’ necessario comprendere che siamo persone che abbiamo diritto a pari dignità e opportunità a prescindere da ogni differenza di genere. C’è pure scritto nella costituzione, no? J
I tuoi rapporti con gli uomini?
Possono essere ottimi amici.
Chiarisci il tuo concetto di carpe diem…
Facile, mi aiuta Confucio: “Non esiste una strada verso la felicità. La felicità è la strada”. Questo è il mio concetto di carpe diem, scegliere la gioia ogni attimo della tua vita. Assaporare e cogliere ogni respiro, ogni attimo, ogni incontro, ogni sorriso, ogni emozione.
Ovviamente non sempre è possibile. Ma di certo possiamo farlo la maggior parte del tempo che ci è concesso su questo pianeta. Che è poi è un pianeta meraviglioso (anche se l’umanità da tempo sta cercando di distruggerlo): il mare, il vento, i fiori…. Io sono nata a Marsala: vedere un tramonto alle saline è fondersi al Divino.
Quanti adulatori hai incontrato lungo il percorso?
Tanti. Quando ero molto giovane mi disorientavano. E’ stata dura a diciotto anni a Roma. Quelle persone prima ti adulavano e poi ti facevano sentire stupida, solo perché non subivi il fascino del potere e del ricatto. Ammesso che il ricatto possa avere un fascino.
Adesso gli adulatori mi infastidiscono. Amo i complimenti. Ma solo se sinceri.
Leggendo la tua bio ho capito che hai fatto molta gavetta prima di arrivare: come vedi ora la tua strada?
Innanzitutto, non sono arrivata da nessuna parte, se non qui. Io mi vedo in un momento di crescita. Sono cresciuta quando sono diventata madre, la maternità, ho compreso, è stata per me un arricchimento importante, in termini di creatività e verità di interpretazione.
Mi sento adesso in una nuova fase di crescita. Adesso che la mia straordinaria figlia ha 16 anni e presto vorrà andare chissà dove.
“E’ la nostra luce, non la nostra ombra, quella che ci spaventa di più” diceva Nelson Mandela. Vorrei avere il coraggio di vivere la luce. E dunque vedo una strada con alcuni bivi, dovrò scegliere dove andare, spero di andare nella direzione più giusta per vivere la mia luce. Non so se ne sarò capace.
Anche io a volte mi sento marinaio che non sa dove andare e non so dirti bene quale sia la strada o come la vedo. Non sono ovviamente avulsa dalla società in crisi di cui parlavamo prima. Tuttavia, quando mi sento smarrita, amo ricordare e ripetere a me stessa i quattro accordi di Ruiz, il quarto accordo in modo particolare: Fai sempre del tuo meglio. Credo che questa possa essere una chiave per trovare la strada e la gioia, come ci insegna lo splendido protagonista di Perfect Days nelle sale in questi giorni.
Il tempo, lo spazio, una giusta valorizzazione delle tue qualità di attrice, il benessere, il rispetto per il lavoro: quanto è stato importante per te mettere al primo posto i valori?
Per me è stato naturale. Merito non certo mio, ma di chi mi ha formato, i miei genitori, i miei maestri, i miei professori, gli amici, gli incontri che ho fatto.
Non sono mai riuscita a fare diversamente. Te l’ho detto: ci sono state persone che hanno cercato di farmi sentire stupida o inadatta a questo famigerato mondo dello spettacolo. Ma non ci sono riuscite. Erano loro ad essere inadatti al genere umano degno di questo nome.
Appurata la tua abilità nel ridare vita alle storie, ai personaggi… viene spontaneo chiederti: davanti al passato che è spesso ingombrante per ognuno di noi, ti sei mai posta la domanda se sia meglio riportarlo in vita o dichiararne la morte per sempre?
Il passato ha valore se insegna, se ci riscalda, se ci immobilizza, no. Ha valore se sappiamo trasformarlo in RISORSA. Anche il dolore più grande, che avremmo di certo voluto evitarci e che invece è stato, può trasformarsi in risorsa. Bisogna accettare tutto nella vita. È l’unico modo per andare avanti.
Il perdono, per esempio, è un DONO che facciamo innanzitutto a noi stessi.
Il passato è importante, certo. La capacità di ricordare è ciò che ci rende umani. E va bene anche reinventare il passato ogni volta che se ne parla, che se ne scrive, è un modo per renderlo sempre mutevole.
Mi piace il passato, perché non ci vivo intrappolata.
Rapporto con i social?
Boh! Non li capisco fino in fondo. Ogni tanto mi faccio spiegare qualcosa da mia figlia.
Ma mi piacciono. Mi divertono.
Una provocazione: Il ritratto di Dorian Gray è stato sempre letto come il simbolo di una generazione decadente, ammalata di estetismo, che per unica religione aveva quella dell’individuo amorale, raffinato, del dandy. Oggi, nella società di massa anche il narcisismo si è massificato: forever young. Non pensi che Dorian Gray sarebbe un testimonial a cinque stelle?
Assolutamente sì. Imperano i filtri instagram, i followers, gli interventi di chirurgia plastica. Siamo bombardati e dominati dai nostri devices con cui passiamo più tempo che con qualsiasi altra cosa o persona. Sempre alla mano, sempre in tasca o nella borsa, sempre con noi. Bisogna fare molta attenzione a tutto questo: può portare al suicidio proprio come è successo a Dorian.
E’ pericolosissimo per i giovanissimi e per tutti. Perché giovane è bello, ma non è che i giovani stanno bene.
Imperano le tentazioni e sembra proprio che l’unico modo per liberarsene, sia cedervi. Per poi dovere cedere ad altre tentazioni, sempre più eccitanti, sempre più ammiccanti. E così via fino alla distruzione propria e altrui.
In merito al mito della giovinezza, questa nostra società ci prende pure in giro: vogliono farci credere che vadano di moda i capelli grigi, bianchi, che le sfide dei 21 giorni di ogni disciplina possibile ed immaginabile, di ogni digiuno intermittente, siano fatte anche per gli over quaranta, over cinquanta. Ma cosa? Se tutto questo serve solo a reiterare gli stessi canoni. Ci vogliono convincere che possiamo essere forever young per poi chiamarci boomers!
Tuttavia se abbiamo consapevolezza di tutto questo, possiamo difenderci quel tanto che basta per non rovinarci la vita.
Hai toccato una corda importante. Il romanzo che spero di portare alla luce ha tanto a che fare con Dorian Gray, sai?
Chiudiamo con la speranza di avere tutti una speranza: la vita è troppo breve per…???
Per non gustare il sapore di un’arancia mentre la sbucci, l’annusi e poi la mangi.