Prendendo spunto dalla famosa lauda Il pianto della Madonna di Jacopone da Todi, l’autrice Stefania Porrino delinea in questo monologo la figura di una donna moderna, Maria, interpretata da Daniela Poggi, che vive anch’essa il dolore di una spada che le ha trafitto il cuore ma in una situazione rovesciata in cui l’amato figlio non è vittima innocente dell’altrui malvagità ma autore egli stesso di violenza su una donna, su una madre che, come sua madre, è portatrice di vita.
I pensieri, le domande e i sentimenti di Maria, costretta a misurarsi con la sua impotenza di fronte alla violenza perpetrata dal figlio su un’altra donna, vengono offerti al pubblico sotto forma di una lettera che la madre scrive al figlio per tentare di ricostruire le possibili e molteplici cause dell’atto assassino da lui compiuto e trovare uno spiraglio di speranza in una sua rigenerazione interiore che renda possibile a lei – madre – perdonare un figlio che non è più giglio.
Per esaltare l’impatto emotivo dell’esperienza di Maria, al testo in prosa si intrecciano le musiche di Mariella Nava creando un unico flusso di emozioni che intendono coinvolgere mente e cuore degli spettatori.
Figlio non sei più giglio – Il debutto sarà l’8 novembre al Teatro Verdi – Forlimpopoli
Mariella Nava e Daniela Poggi: da dove si parte per stare dalla parte delle donne?
D – Non si può partire dalla parte delle donne: si parte dalla parte della coscienza. Non si può partire dalla parte di qualcuno, bisognerebbe essere in grado di analizzare in modo obiettivo, senza giudizio, il comportamento dell’essere umano.
M – Ascoltandole, vivendole serenamente, apprezzandole nel pensiero, nel coraggio delle loro azioni, essendone complici e non rivali.
Perché bisogna andare a teatro per vedere “FIGLIO, NON SEI PIÙ GIGLIO”?
D – Nessun imperativo, solo il desiderio di leggere una storia che parte da un animo umano profondamente ferito nella propria maternità. La nostra storia appartiene a tutte noi donne, in questo caso una madre, che si trova di fronte alla tragedia più grande: un figlio colpevole di omicidio verso una donna e la richiesta del perdono. Per la prima volta in uno spettacolo teatrale la vittima non è soltanto colei che non c’è più ma colei che resta ai piedi della sua croce.
M – Perché affronta l’argomento da più visuali. Ci si chiede i perché del cedere a un impulso omicida. Ci si chiede quale sia il tassello mancante in quel processo educativo necessario, di una madre e di un figlio, perché sappia relazionarsi a una compagna in modo corretto, con il giusto rispetto che poi è alla base di ogni relazione.
La storia da quale suggestione nasce?
D – L’idea nasce da una mia domanda ossessiva: coloro che uccidono, guardano negli occhi la donna mentre la stanno uccidendo? Ho chiesto alla scrittrice Stefania Porrino di dare vita a questa mia idea e lei proprio sulla scia di quel perdono richiesto dal colpevole si è agganciata alle Laudi di Iacopone da Todi.
M – Dall’impotenza e dal senso di sconfitta che proviamo ogni volta che la cronaca ci parla di spietati femminicidi e reiterate violenze perpetrate sulle donne. Il fatto è che sembrano seguire un copione preciso tutte le volte. È sconcertante. Quello che abbiamo immaginato è l’eco di una disperazione inascoltata, il rimbalzo di un lamento che non si placa, e non accenna a sfumare. A Daniela è venuto poi in mente il doppio pianto di donna e di madre di cui il più alto esempio è quello di Maria per suo figlio in duplice lettura con riferimento ai versi di Iacopone da Todi.
Perché ci sono persone che hanno paura dei sentimenti forti?
D – Il sentimento forte e profondo scatena insicurezze e fragilità mettendo in dubbio le nostre piccole certezze. Affrontare i propri dubbi e confrontarsi con i nostri vuoti è un cammino spesso doloroso e faticoso. Ma solo percorrendo quella via si può giungere a conoscere il significato vero dell’amore che è sinonimo di libertà e felicità altrui.
M – Perché sono veri. Gli unici che ci fanno sentire vivi. Si tende a sfuggirli per non affrontarli. Per far finta che non abbiano importanza o che non ci tocchino direttamente. Il fatto grave, però, è che prima o poi quei sentimenti grideranno fortemente dentro di noi ed evitarli sarà stato dannoso.
Giusto per sdrammatizzare: qual è stata la prima pena d’amore?
D – Menomale che non ha chiesto l’ultima (ride).
M – Quella di tutte e di tutti penso. Il fallimento del primo amore. Averci messo credito e poi scoprire che non era così. Ma nel vivere scopri che quella ferita era poi fortificante e serviva anche a capire dove investire le proprie aspettative e dove no, anche se in amore niente si impara mai abbastanza.
Purtroppo la violenza tra le mura domestiche non diminuisce?
D – No. Basti pensare che il 25 ottobre 2023 in Italia siamo arrivati a 100 femminicidi, quindi 100 vittime in 10 mesi.
M – Diminuirà quando torneremo a parlare di sentimenti e di civiltà. Quando avremo il coraggio di distinguere ciò che è giusto diffondere come messaggio da ciò che sporca, devia e risulta effimero. Vede è un tempo difficile per l’Arte e gli Artisti e sa perché? Perché noi ci cibiamo di emozioni per offrirle agli altri. Ma questo transfert è stato volutamente interrotto. Si predilige una società che “consumi”. Gli antichi greci avevano capito che la ricchezza d’animo appaga più di quella materiale e tra l’altro è a disposizione di tutti. Una società ricca d’animo è quindi meno violenta. Attraverso l’Arte, quella di contenuto, fin dai tempi antichi si educava, si insegnava a vivere. Poi lo abbiamo dimenticato o sottovalutato. A noi Artisti hanno legato mani e piedi. Spengono le luci, chiudono i teatri, la musica rappresenta solo superficialità, ballettini e non pensiero, insomma tutto quello che è indagine intima, profondità, è messo al bando. Il gap è questo. Non tutti capiscono che l’Arte non è qualcosa di inutile, ma basilare e dovrebbe tornare a riempirsi di significati. Oggi tutto ci invita a non sentirci. Noi siamo più automi che esseri umani. Ci svegliamo e seguiamo dettami. Poi un giorno quell’ anima che aspetta di essere ascoltata viene fuori prepotente e allora sono guai seri !!!
Cosa si prova a dare speranza?
D – Più che speranza quello che cerco è dare consapevolezza attraverso le domande che ognuno di noi deve avere il coraggio di farsi senza giudicarsi.
M – Per servirla bisogna averla in sé ed è bellissimo. È riuscire a vedere quell’arcobaleno pazzesco che spunta tra i nuvoloni neri nel mezzo di una tempesta. Bisogna guardarlo il cielo. Sa che non tutti lo scorgono? Forse perché stanno guardando un cellulare. Si soffrirà tutti di cervicale con quelle teste sempre in giù!
La scrittura come la musica, aiuta a capire la propria indole. Avete mai sentito la pressione di raggiungere determinate tappe nella vita personale?
D – Mille e più volte. Poi uno deve anche trovare pace con se stessa e con la vita.
M – Ho sempre solo seguito la passione ed il richiamo forte della musica. Seguendo questo bisogno interiore, i risultati sono arrivati da soli, in maniera spontanea, come fosse una giusta e bastante ricompensa.
Cosa è cambiato, se è cambiato, dai primi passi del vostro impegno?
D – Personalmente pur essendo sempre in prima linea a difendere i diritti dei più deboli, mi sento ogni giorno schiacciare da una società che vive solo per il potere, il successo e il denaro calpestando sentimenti e vite umane. Se appaiono squarci di luce, sembra che ci sia sempre qualcuno che voglia riportaci nel buio. Ma ribellione, resistenza e resilienza mi appartengono, quindi continuerò a stare sempre dalla parte dei più deboli, delle vittime e di coloro che non hanno voce. Esseri animali compresi.
M – Direi che per quanto riguarda me non è mai cambiato nulla. Se mai solamente che, con l’aumento della mia popolarità, sono chiamata spesso in più situazioni dove la musica può aiutare a dare risalto alle urgenze inascoltate, ma questo, in fondo, è quello che mi piace di più del mio scrivere e cantare.
Nei vostri lavori teatrali c’è una parola, una emozione che torna spesso?
D – Se parliamo dei miei monologhi le parole sono AMORE, CONDIVISIONE e RISPETTO, altrimenti sono una scritturata quindi porto in scena parole di altri autori.
M – Sì, ci sono spesso parole che esortano a ricordare, ad avere memoria, a guardarci negli occhi.
Fatti non foste a viver come bruti… a chi lo vorreste ricordare?
D – A tutti coloro che non conoscono o hanno perso il vero senso della vita: l’unica certezza che dopo essere nati moriremo.
M – Dante aveva raggiunto un punto di saggezza altissima dovremmo ogni tanto rileggerlo per migliorarci.
Educando i ragazzi e i giovani si riesce ad arrivare anche dentro le famiglie. Può essere una soluzione?
D – Assolutamente sì. A mio parere è la soluzione. Attraverso la scuola con le famiglie è l’unica strada che dobbiamo percorrere. E attraverso i mezzi di comunicazione…vedi media e social media.
M – Il lockdown forzato in tempi di pandemia ha messo in evidenza quanto pur vivendo insieme, non ci si conoscesse a fondo. Credo che sia stato l’unico aspetto buono di quel periodo. Ci ha imposto di convivere non evitandoci. Il parlarsi l’un l’altro, l’incontrarsi, credo sia fondamentale per ogni famiglia. Io conservo il ricordo del mio ritorno da scuola, era un rito quel sederci insieme a tavola e l’ascolto attento dei nostri racconti di come fosse andata la mattinata di tutti, ricordo anche le nostre risate su alcuni episodi, una liturgia quotidiana che mi ha aiutata a crescere nel modo migliore e capire cosa sia la condivisione di ogni situazione e momento all’interno di una casa.
C’è chi sostiene che la cultura è il dono più bello che si possa dare ai giovani. La vostra opinione dei ragazzi di oggi?
D – Sostengo fortemente il potere della cultura perché ognuno sia un individuo libero di scegliere e decidere. Per questo motivo ho costituito una società impresa sociale iscritta al terzo settore Bottega Poggi proprio per diffondere quella cultura che può raggiungere i ragazzi nelle scuole sui grandi temi della nostra esistenza. La politica da troppi anni ha messo la cultura sempre all’ultimo posto, calpestando quella crescita individuale che avrebbe potuto costruire in questi anni un Paese riconosciuto nel mondo per la sua scuola, per la sua Università, per la ricerca quindi per le sue nuove generazioni. Oggi purtroppo ci troviamo giovani che non sanno leggere, che non sanno scrivere, che non conoscono la matematica e che sono abituati solo a usare la calcolatrice, quindi anime solitarie che non riescono a interagire tra di loro se non attraverso i social, quindi direi una generazione culturalmente vuota con rare eccezioni.
M – Sono molto attenti, intelligenti, più atti a praticare che stare sulle teorie, ma sono presto molto disincantati. Un po’ poco lungimiranti. La mia sensazione è che molti di loro credono che gli sia stato rubato il futuro. Per questi sono pessimisti. Non hanno avuto esempi di amori duraturi come noi, non credono in questi sentimenti, l’amore non lo frequentano, non lo conoscono, sanno parlare molto bene di sesso ma non lo collegano. Non sanno che è la nostra fortezza, non è moderno dirglielo, spiegarglielo. Nessuno mostra loro che è scientificamente la più potente e sana droga in natura se vissuta a pieno e così loro si riempiono di altro, cercano sensazioni surrogate in alcool o altre sostanze tossiche. Questo è un grande vuoto nel loro tempo. Nessun palazzo si erge e resiste senza fondamenta.
Qual è l’età migliore della vita?
D – Ogni età ha la sua bellezza…basta saperla riconoscere e accettare nelle sue prove.
M – Ogni età ha la sua bellezza. Basta capirla. Vivere seguendo le onde del tempo e non ostinarsi a non sentirlo.
Rimpianti e rimorsi?
D – La mancanza di un figlio biologico sublimata però, grazie a Dio, da maternità del cuore.
M – Si hanno quando si vive alla giornata. Ma se si segue un indirizzo o una scelta precisa è difficile averne. Io ho impostato il mio navigatore dentro.
Emozionate per il debutto dello spettacolo teatrale?
D – Moltissimo, come sempre d’altronde. Gli esami non finiscono mai.
M – Molto, come sempre, c’ è voglia però di iniziare perché siamo convinte di aver preparato qualcosa sul tema, di prezioso, nuovo e interessante.
Le foto di scena sono di Carlo Bellincampi