FISIOTERAPIA E PARKINSON: il ruolo della fisioterapia per il paziente

In Italia sono circa 300mila le persone affette da malattia di Parkinson. Un fenomeno che considerando i caregivers coinvolge circa un milione di persone. In occasione della Giornata del 26 novembre, Elisa Pelosin e Susanna Mezzarobba ci spiegano il ruolo della fisioterapia per il paziente parkinsoniano.

“In questi ultimi anni la fisioterapia sta acquisendo un ruolo molto importante per il paziente parkinsoniano. La novità, prima di tutto, è stata data dalle evidenze scientifiche emerse. Le evidenze scientifiche hanno dimostrato come il ruolo della fisioterapia, fin dagli stadi iniziali, possa permettere un rallentamento della progressione dei sintomi poco responsivi alla terapia farmacologica”. Lo spiega Elisa Pelosin, professore associato presso l’Università degli Studi di Genova e Presidente del Comitato Tecnico Scientifico AIFI, in occasione della Giornata nazionale Parkinson che ricorre sabato 26 novembre.

Secondo quanto rende noto Fondazione LIMPE per il Parkinson Onlus, in Italia sono circa 300mila le persone affette da malattia di Parkinson. Se, però si considerano i caregivers che affiancano i pazienti, è un fenomeno che coinvolge circa un milione di persone. L’età della diagnosi della malattia si sta intanto abbassando: negli ultimi anni si è infatti iniziato a parlare di Parkinson giovanile, dato che la malattia è stata scoperta anche in persone di 40, 50 anni.

“Negli ultimi anni la fisioterapia ha acquisito questo nuovo ruolo- prosegue l’esperta- ovvero quello di essere parte integrante delle terapie farmacologiche e chirurgiche per la malattia di Parkinson, al fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti e di rallentare la progressione dei sintomi. Questo prima non avveniva, perché si tendeva a trattare i pazienti parkinsoniani solo quando i sintomi erano molto più severi. Le nuove evidenze hanno invece dimostrato che partecipando al rallentamento della progressione di malattia è diventato un pilastro nell’ambito terapeutico”.

 

Professoressa Pelosin, si parla sempre più in questi ultimi anni di terapie personalizzate. Si può parlare di medicina di precisione anche in Fisioterapia?
Fortunatamente adesso sì. Si può parlare di medicina di precisione perché gli approcci che si possono usare nei pazienti affetti da malattia di parkinson sono molti e diversi e, soprattutto, perché i fisioterapisti hanno acquisito una grande conoscenza per quanto riguarda la valutazione del paziente e quelle che sono le nuove evidenze scientifiche. Quindi, andando ad analizzare in maniera specifica le capacità non solo motorie ma anche cognitive dei nostri pazienti è possibile creare una medicina di precisione, dunque un trattamento riabilitativo personalizzato che sarà diverso nei vari stadi della malattia

 

Si discute spesso di attività fisica e di esercizio terapeutico. Professoressa Pelosin, possiamo intenderli come sinonimi o dobbiamo fare delle differenze?
“Questa è una domanda bellissima e penso che la risposta possa essere utile soprattutto ai nostri pazienti rispetto a chi lavora in questo ambito e ne conosce la differenza. Sono due cose diverse: l’attività fisica, e parliamo di tutte quelle attività motorie che si fanno anche durante l’attività della vita quotidiana come fare le scale o uscire per andare a fare la spesa oltre a tutti gli esercizi che hanno a che fare con l’attività fisica, come la camminata, la nordic walking, questi sono ambiti più legati all’attività fisica che qualcuno può anche svolgere in palestra. L’esercizio terapeutico fisioterapeutico ha invece lo scopo di andare ad agire sui sintomi specifici, come ad esempio i disturbi dell’equilibrio, del cammino, il freezing, che è un fenomeno molto particolare della malattia di Parkinson, e che quindi richiedono un approccio diverso e specializzato, che in questo caso può dare il fisioterapista. Certamente, la cosa importante da dire è che le due cose non sono scisse: noi diciamo ai nostri pazienti che devono comunque fare attività fisica, perché anche questa è fondamentale per il loro processo di cura e, quando necessario, suggeriamo loro di fare fisioterapia.”

 

Dopo il Covid si parla sempre più di tele-medicina e tele-riabilitazione. Come inserirla nel percorso terapeutico del paziente con malattia di Parkinson? È ugualmente efficace?
“Ormai il Covid ci ha insegnato che, soprattutto per poter distribuire equamente le cure, è importante utilizzare questi nuovi strumenti. Proprio per il paziente parkinsoniano noi vediamo la possibilità, dopo aver fatto un percorso con il fisioterapista, di continuità di tale percorso, perché l’attività deve essere giornaliera, nell’aspetto di tipo riabilitativo ma anche poi per l’attività fisica a domicilio. E la tele-riabilitazione può essere una soluzione. Certo, i dati ci dicono che ci deve essere una minima supervisione e un contatto con il clinico, in modo tale che possa adeguare e personalizzare, come dicevamo prima, questo percorso. Non mettiamo dunque a confronto la parte che il paziente farà con il fisioterapista nella palestra di riabilitazione, ma pensiamo che sia fondamentale per mantenere i benefici ottenuti. Altrimenti anche in questo caso i dati ci dicono che dopo qualche mese, anche perché il Parkinson è una patologia degenerativa, l’effetto della fisioterapia andrà a svanire. È quindi una grande opportunità purché ci sia comunque sempre una supervisione da parte dei clinici”.

 

Negli ultimi anni la fisioterapia ha fatto grandi passi avanti nello studio delle alterazioni del movimento di questi pazienti e delle modalità più efficaci per ridurle e facilitare l’apprendimento di movimenti corretti. A che punto è la ricerca in Italia? E a livello internazionale?
“Sempre di più, negli ultimi anni, il ruolo della ricerca è stato quello di poter verificare che quanto fatto tramite la riabilitazione porti non solo benefici motori, come il miglioramento del cammino o la diminuzione delle cadute, ma che questo riesca a generare cambiamenti neuroplastici, ovvero neuroplasticità a livello del sistema nervoso centrale. Si tratta di modifiche legate proprio all’apprendimento motorio. Quindi l’idea è proprio quella di dimostrare, e i dati fortunatamente sostengono quello che è sempre stato l’obiettivo dei fisioterapisti, che i cambiamenti non sono solo da un punto di vista fisico ma anche a livello neurologico, di meccanismi di neuroplasticità. In Italia stiamo cercando di fare del nostro meglio, purtroppo abbiamo anora pochi accademici fisioterapisti ma cercheremo di migliorare questo aspetto nel tempo. A livello internazionale c’è una grande comunità di scienziati che lavorano su questo e, fortunatamente, i ricercatori in Italia sono coinvolti in moltissimi progetti internazionali. Per questo possiamo dire che la nostra è una comunità con un respiro internazionale in forte crescita”.

In occasione della Giornata Nazionale Parkinson, è stato inoltre sottolineato il ruolo del Gruppo di Interesse Specialistico di AIFI. Secondo la professoressa Susanna Mezzarobba, Presidente del Gis Fisioterapia Neurologica e Neuroscienze e ricercatore presso l’Università degli Studi di Genova “è necessario promuovere conoscenze e formazione nell’ambito della Fisioterapia della Malattia di Parkinson. Il Gis Neuroscienze di AIFI ha fatto del dialogo con il mondo accademico uno dei motori principali per costruire network e divulgazione scientifica. Una collaborazione per garantire alla disciplina delle Scienze Riabilitative supporto alla ricerca e disseminazione di conoscenze aggiornate per risposte di salute sempre più aggiornate”.

 

“Un altro motore fondamentale- conclude Mezzarobba- è il dialogo e la collaborazione con la persona con Malattia di Parkinson, elementi irrinunciabili per costruire conoscenza della malattia e proporre percorsi di salute”.