Ci vuole coraggio per affrontare la vita di ogni giorno. Ce ne vuole ancora di più per andare in tribunale e tentare di mediare tra un uomo e una donna, che sono stati coppia e che hanno (inconsapevolmente) deciso di farsi del male. E ce ne vuole anche per mettersi in gioco con una tavolozza e dei pennelli. Siccome non c’è come suggerire a qualcuno di non fare qualcosa per fargliela fare eccomi qui pronto a cercare di decifrare l’anima della protagonista della storia: Frida Simona Giuffrida, di professione avvocato, specializzata in diritto di famiglia e minori, pittrice per caso e per passione.
Premessa doverosa: prima di intervistare Frida ho conosciuto i suoi percorsi forensi e le sue iniziative con l’Aiga (Associazione Italiana Giovani Avvocati) oggi Consigliere dell’Ordine degli Avvocati e subito dopo, ho apprezzato – ancor di più – i suoi dipinti.
Si dice che ci siano due rampe di scale a separare la vita di prima da quella di ora e in parte anche per Frida è stato così.
“Trattare certe tematiche in una stanza di tribunale è qualcosa che ti segna dentro perché dalla tua professionalità, dalla tua assistenza, dipendono il destino di una famiglia e il futuro dei figli.”
Per Frida quei figli contesi li sente un po’ suoi, li chiama per nome, li vorrebbe felici e sereni e non un trofeo da contendere in una causa di separazione dove spesso si assiste a una battaglia legale frutto di tradimenti e dolore simile a una guerra all’ultimo sangue che calpesta i sentimenti e la dignità delle persone.
“Sono convinta che ci vuole molta sensibilità nel trattare questa materia che il diritto dovrebbe solo lambire e non è sempre solo la donna vittima di maltrattamenti e violenze. Quella della separazione è una delle decisioni più difficili della vita. La sua gestazione dura anni. Una volta manifestata l’intenzione, i tempi interiori (sia di chi la subisce sia di chi la prende) sono molto lunghi. C’è tutto un carico di sofferenza, risentimento, delusione da smaltire e non sempre è possibile. E poi, ci sono anche i tempi legati alla riorganizzazione della vita: trovare una nuova casa, tenersi o trovare il lavoro, evitare il collasso economico, comunicare la scelta ai figli, quando ci sono, e programmare anche il loro futuro, la condivisione delle responsabilità, comunicare la presenza di eventuali nuovi partner …”.
Ci sono confini in una famiglia che non hanno bisogno di essere tracciati, né di una frontiera e neppure di un giudice, che decida al posto loro, bensì di un professionista che abbia a cuore il loro futuro, in grado di far riflettere le parti sulle conseguenze del conflitto giudiziario e che dia la possibilità loro di renderli protagonisti delle loro scelte:
“Quando due genitori decidono di separarsi i bambini sono quelli che soffrono di più: non è facile per loro parlare della separazione. Quando il risentimento prende il sopravvento la vendetta è l’unico obiettivo e pur di ferire l’altro ci si dimentica di dare spazio e ascolto ai figli e alle loro esigenze così da aiutarli a mettere parola sui loro pensieri, sentimenti e domande”.
La vita è un percorso con tante decisioni da prendere. Trovarsi davanti a una scelta che potrà condizionare l’intera esistenza è il bivio perfetto che costringe un uomo o una donna a scoprire le proprie carte morali. Frida batte ribatte su questo punto: “Qual è il nostro senso di giustizia? Fin dove siamo in grado spingerci per difendere i nostri valori?”.
Un lampo nel buio del dolore. La nostra protagonista parte da qui: indagare il sottile confine tra il dovere di scegliere e la possibilità di non farlo.
“È questo il dilemma dei figli delle coppie separate, quando la separazione è conflittuale e loro sono ancora piccoli per provare a prendere le distanze dalle scelte dei genitori, per capire che non è colpa loro. Magari per comprendere che i sentimenti di mamma e papà, carichi di rancore, di rabbia, di desiderio di risarcimento, riguardano la loro condizione di ex coniugi, anche se finiscono per interferire nel loro ruolo di genitori. Ci sono situazioni in cui la separazione avviene in modo civile e tenendo al riparo i figli: mamma e papà riescono a non parlare male dell’altro, anzi, cercano di salvaguardare la sua immagine agli occhi del figlio. Le tensioni vengono contenute, i motivi reali della separazione, spesso complessi e riguardanti aspetti delicati e personali della coppia, non vengono comunicati ai figli. Ma ci sono anche tante situazioni in cui la piena delle emozioni negative non viene trattenuta, gli atteggiamenti di biasimo verso l’altro sono espliciti e si manifestano con la rabbia, con il sarcasmo, spesso anche con l’insulto, ascoltato nell’altra stanza da piccole orecchie indifese. Per i più piccoli è difficile tenersi al riparo da queste bordate: si parla comunque male della loro mamma o del loro papà, e questo è doloroso. E chi lo fa è l’altro genitore, al quale si è ugualmente legati. E a volte bisogna contenere anche tutto il contorno familiare, la rete parentale che vorrebbe avere voce, a torto o a ragione, ma che voce non ha”.
Il diritto di famiglia secondo Frida non è un giallo né un thriller, né uno spaccato sui magistrati che risolvono o non risolvono casi: è lo spaccato quotidiano di una donna che con il suo amore per questa professione tenta di sciogliere i nodi di un’epoca senza ideali. Ci prova in un modo paradossale di questi tempi, facendo il proprio dovere. L’anima che spinge Frida a mettere il cuore dentro il Codice è qualcosa di semplice: non è a mio avviso il sistema di protezione dei diritti, anche se è necessario informare sulle possibili soluzioni alla coppia in crisi, bensì l’amore per qualcosa che sembra perduto in un rapporto. “Non sempre va bene, ma quando accade che marito e moglie tornano di nuovo insieme, anche grazie al tuo intuito e supporto, ti senti felice e anche se non sempre viene riconosciuto, vai a dormire serena”. Qui sta il centro del racconto, Frida ritrova le radici della sua dedizione al Diritto di famiglia, la possibilità di fare del bene a chi soffre e si sente perduto, concedendo gli strumenti non per ferire, ma per riparare le ferite.
E da cosa nasce la passione per la pittura? Semplice. Capita a tutti concluso il lavoro, di cimentarsi in altre esperienze. Chiamatele prove di coraggio, test di caparbietà, possiamo descriverle in mille modi, ma è soprattutto un rito di passaggio o di paesaggio. E come lo si affronta condiziona un bel po’ la nostra storia professionale o semplicemente di vita quotidiana. Dipingere a mio avviso è una sfida tosta: a scuola l’insegnante ti conosce e si ricorda di te per tanta buona volontà che metti nella prova. Nel quadro che esponi le persone ti valutano solo per quello che hai realizzato. Il risultato finale è un collage di sensazioni. Sorride. “Io non dipingo, coloro. Il mio mondo artistico è un bisogno di liberare su una tela il mio essere interiore, una sorta di sfogo che permette al mio animo di uscire allo scoperto con i colori e di cui ho molto pudore. Diciamo che è un modo di impressionare su tela le tante emozioni che ho dentro, l’altra parte di me. Confesso che spesso quando dipingo mi commuovo: una passione nata quasi per gioco durante il lockdown. Non pensavo di ricevere riscontri positivi per i dipinti che realizzo. Ma se le emozioni che ho dentro trovano lo specchio anche in una sola persona fuori da me, ho fatto centro”.
Ecco a voi Frida l’artista: sotto la toga pulsa forte un cuore.
A tirare le somme cosa aggiungere: per molti la Giustizia ha a che fare con il torto risarcito non riparato. Sotto scandali, tradimenti e dolori si è perso di vista il perdono che cura le ferite, che possono diventare crescita personale e sociale. Frida mi ha ricordato che ci deve pur essere, da qualche parte, un angolo intatto, una promessa di rinascita. Deve pur esserci una speranza viva di vita. Deve. E qualcuno chiamato a difenderla. Questo concetto mi ha trasmesso la sua visione del mondo, la semplicità nel raccontarsi: autentica in ogni parola, un balsamo per la mia anima affaticata.
In fin dei conti sposarsi è da coraggiosi come imbrattare una tela di emozioni.