La protagonista del nostro viaggio si chiama Giulia, Giulia Efisi. Maestra, artista, fotografa, donna curiosa.
La sua bio racconta che ha esposto a Milano, Roma, Firenze, Berlino. Sin dagli esordi Giulia ha esplorato due concetti, l’identità e i momenti di passaggio, che sono divenuti temi centrali del suo percorso espressivo, ma se inizialmente la sua ricerca era incentrata sul corpo, a tratti trasfigurato, dinamico, gioioso, riflessivo, vulnerabile e seducente, in seguito si è dedicata alla riscoperta del suo universo personale, intimo, fatto di persone e oggetti della memoria, e negli ultimi anni si è dedicata alla ricerca sull’identità dell’altro. Dal nostro punto di vista Giulia rappresenta il coraggio e la determinazione di tutte le donne che non si accontentano più di una vita banale e chiusa, ma vogliono sapere, rischiare, trovare finalmente se stesse. Non a caso, Giulia non ama accumulare ricordi, non ama classificarli e non ha paura di deteriorarli, per lei i ricordi sono “materiale quotidiano da vivere” ed è per questo che li seleziona, li scompone, li dilata e riduce ai minimi termini, per meglio valorizzare ciò che resta. Per questa ragione sovraespone, o immerge nell’oscurità, luoghi, contesti, volti di persone incontrate per caso, trattenendo solo ciò che per lei, di quell’incontro o di quell’esperienza, è stato insegnamento di vita. Descrivere un gesto così dinamico del clic è meno facile che non si pensi e io non so proprio se sono riuscito chiaro. Ho tentato di esserlo a costo di cadere in sgradevoli ripetizioni. Quando è invitata a parlare di sé, Giulia afferma “non ho mai creduto nelle biografie, anche perché sono certa che la forza di un’immagine sia indipendente dalle mostre effettuate o dagli studi fatti. Mi è stata richiesta più volte dunque a questo punto non posso esimermi dal compilarla in qualche maniera, consapevole del fatto che sarà sicuramente mancante e lacunosa in più parti e in più modalità. Sono nata il 12 giugno 1971, sono stata una bambina felice, sognante e fantasiosa, ho rincorso le fate e i folletti fino a che ho potuto. Crescendo, ho studiato molto e completato il percorso universitario. La Filosofia è la disciplina a me più consona. Sono un insegnante e solo intorno ai quaranta anni mi sono scoperta fotografa. E la mia vita è cambiata”.
Giulia, che significa il termine fotografa: una vocazione o semplicemente una professione?
Nessuna delle due… solo una passione che sta riempiendo la mia vita sia in termini di tempo che di pensiero. In realtà non potevo aspettarmi niente di meglio dai miei secondi quarant’anni!
La tua sembra una vita tutt’altro che monotona: da cosa nasce questo desiderio di avventura?
Non so se la mia vita sia monotona, avventurosa, elettrizzante o noiosa, so solo che è la mia vita. Una vita che ho voluto e che ho scelto. Talvolta le scelte hanno un prezzo, ma io non sono riuscita a rinunciare alla possibilità di poter scegliere liberamente. Credo che questo implichi una certa dote di coraggio in un mondo così, tutto proteso verso una ridondante omologazione. Credo che anche il tipo di fotografia che io propongo rispecchi pienamente questa mia modalità di vita: credo, infatti, che sia assolutamente in controtendenza rispetto alle immagini che sono apprezzate in questo periodo.
Raccontaci come nasce una tua fotografia
La mia fotografia nasce da me, in me e con me. È per la maggior parte dei casi un gioco di simboli fatto con me stessa, di rimandi di pensieri e situazioni che diventano immagini, messaggi per chi guarda.
È la mia storia personale che mi suggerisce l’immagine che voglio andare a fare: la mia esperienza, il mio amore, il mio dolore, la mia gioia sono l’origine che sta alla base del pensiero che anima una mia immagine.
Quali luoghi vorresti al più presto visitare e perchè?
Non ho più la impellente necessità di visitare luoghi ameni o esotici. Sono riuscita a vedere abbastanza di questo mondo. Tuttavia sono attratta non da paesaggi naturali, ma da quelli antropici. Le metropoli sono i miei luoghi preferiti perché il ventaglio di possibilità che ti offrono è molteplice: una continua seduzione per una persona che “funziona” come me.
Come ci si prepara per una mostra?
Una mostra si prepara avendo un buon progetto fotografico. Avendo la voglia di farlo vedere perché dietro ogni fotografia c’è un messaggio da condividere con un possibile visitatore. Una mostra si prepara avendo cura che il messaggio da veicolare sia presentato con la dovuta preziosità con cui lo hai attentamente costruito: è anche per questo che ogni mia fotografia è stampata con la gelatina d’argento. Una mostra si prepara restando sempre se stessi senza mai montarsi la testa.
Si dice che spesso ciò che un fotografo mostra è la realtà che lui vede nella sua anima…
Credo profondamente che ciò che mostra un fotografo sia dipendente dal suo sguardo, e in particolar modo, come ho più volte ripetuto, da come lo sguardo personale sia stato influenzato. Il mio sguardo è stato influenzato dalle esperienze che ho vissuto: dalla visione delle tombe etrusche, delle innumerevoli opere esposte in musei e gallerie. Il mio sguardo è stato influenzato dalla passione per il nuovo, dall’amore per la vita, dalla gioia della sorpresa, ma anche dalla rabbia e dalla delusione, dalla paura della solitudine… il mio sguardo è stato influenzato soprattutto da quello che accadrà come in una sorta di misteriosa ricerca di una sospesa metafisica che aleggia in ogni mia immagine.
Lo scatto che più ti ha emozionata e quello che più ti ha sconvolto?
L’opera del maestro Mario Giacomelli ha su di me un potere così grande che ogni volta che ho avuto la possibilità di vederla esposta mi ha profondamente commossa perché è forte e potente, ma allo stesso tempo lieve e delicata. Con le sue fotografie riesce a trasmettermi come nessun altro il violento turbamento che evoca solo la bellezza. Lo scatto che più mi ha sconvolto? Mi sconvolgono tutti quegli orribili scatti, maleducati, volgari e supponenti di tutti quei fotografi che di ritorno da una vacanza nel villaggio turistico che più va di moda mostrano, ostentando, le brutture del modo.
Dal tuo obiettivo che Italia osservi?
Dal mio obiettivo osservo le persone più che un paese. Le persona che io ritraggo sono persone e in quanto tali sono un “mondo” affascinante da esplorare. Persone e personaggi, tutti diversi, tutti con una storia propria: sono molto curiosa e questo mi aiuta a scoprirle. Ho fatto molti ritratti fotografici. Il ritratto fotografico solitamente è qualcosa di molto intimo e personale; come dico sempre quando mi accingo a farne uno non è detto che riesca sempre. Dipende dall’intesa che si riesce a instaurare tra me e chi sto ritraendo …è una questione appunto di intesa, condivisione, complicità, fiducia, intimità che si può dischiudere anche solo per pochi istanti.
Se i tuoi scatti fossero versi in quale poeta o scrittore ti rivedi?
In realtà non avevo mai pensato a questa cosa. Per la mia ultima mostra a Firenze ho collaborato, però, con lo scrittore Marco Vichi, uno scrittore che io ammiro molto. Ho conosciuto Marco Vichi a casa di amici e da lì, qualche tempo dopo, è nata l’idea di fare un’esposizione in cui le sue parole hanno accompagnato le mie immagini. In realtà sono stata molto onorata da questa collaborazione che ha sicuramente reso più prezioso il mio lavoro.
Siamo un Paese tollerante o razzista?
Siamo in un paese in cui la massima ambizione è andare la domenica a fare la spesa negli ipermercati, in cui la maggior parte dei bambini non è mai stato in una libreria e in cui il programma preferito è il talent show di moda. Queste mie premesse per dire che il nostro paese, ovvero un paese in cui la maggior parte delle persone hanno dimenticato l’importanza della cultura, non può essere tollerante.
Quale lezione del recente passato non bisogna mai dimenticare?
Non bisogna mai dimenticare che la storia tutta insegna, non solo quella vicina, ma anche quella passata. Vico ci sussurra da lontano nei secoli che ciclicamente la storia si ripete. Credo di non dover aggiungere molto… guardandoci indietro possiamo comprendere errori gravi e disumani che abbiamo commesso e trarne insegnamento per un futuro migliore, anche se (e ne sono sempre più convinta )penso che siamo in un nuovo medioevo in cui la parte più cupa è quella predominante.
Un ritratto per rappresentare l’italiano quale potrebbe essere?
A questa domanda rispondo con il nome di un grande fotografo, Martin Parr, che con il suo lavoro ha messo in evidenza gli aspetti più grotteschi del nostro tempo nella società occidentale.
In che percentuale ti senti davvero appagata per quello che hai fatto?
Non credo che parlare di percentuale sia la cosa più adeguata anche perché io ho un segreto. Il segreto che mi ha accompagnato in questo mio percorso sta nel fatto di non aspettarmi mai molto dal mio stesso percorso, nonostante il mio impegno, la mia determinazione e la mia propositività. Ogni nuova mostra, ogni nuova collaborazione, nonostante sia cercata, voluta e progettata secondo una precisa strategia, mi si palesa come sorpresa e regalo. Questa mia modalità caratteriale mi fa apprezzare sempre, in modo profondo e intenso ciò che la vita mi riserva, non solo a livello fotografico.
C’è una cosa di cui ti senti veramente orgogliosa?
La donna che sono oggi.
Domani dove sarai?
Non lo so. E questo mi piace molto.