Partiamo da una verità assoluta: siamo fatti di parole. Epperò la cronaca ci ricorda che troppo spesso si viene espropriati dalla nobile arte di parlare, di leggere, di informarsi. E così spesso l’opinione viene censurata. Il pensiero calpestato! I cittadini dovrebbero unirsi in una sola voce per dire a tutti i politici “dite qualcosa sulla cultura, sul diritto di avere una istruzione”, riconoscendoli appunto come elementi imprescindibili della nostra identità, della nostra storia, del nostro futuro.
Per comprendere lo stato dell’arte abbiamo incontrato Giusi Arimatea, giornalista e critico teatrale. La sua formazione umanistica si pone al servizio d’ogni esplorazione e lavoro in ambito artistico-culturale. Prolungamento accademico specifico dei settori cinematografico e teatrale sono i percorsi di sceneggiatura, scrittura per corti e drammaturgia. Ha scritto saggi storici, testi per il teatro, soggetti, sceneggiature, dialoghi di cortometraggi e film.
Giusi Arimatea davvero siamo fatti di parole?
Non solo siamo fatti di parole, ma proprio grazie alle parole diamo consistenza ai pensieri, a ciò che siamo o che non siamo. Se poi consideriamo che accogliamo o scacciamo le “cose”, siano esse astratte o concrete, adoperando le parole o esercitando il potere dei silenzi, allora se ne comprende ancor di più il valore.
Sei d’accordo che il lessico può unire le persone?
Il lessico connota l’individuo, la società, i luoghi. Il lessico può fungere certamente da collante tra la gente, ma ho come la sensazione che al giorno d’oggi contenga un numero ancora troppo grande di parole divisive. Ecco, divisivo è un esempio di neologismo che rende appieno la mia sensazione in merito all’attuale lessico. Ed è un termine che non uso molto volentieri.
Ti piace leggere racconti di vita vera o di fantasia?
Sono una lettrice onnivora e non leggo mai un libro alla volta. Di solito a un romanzo affianco un saggio e li alterno in base ai luoghi e ai momenti della giornata. È la mia maniera di mescolare il sogno e la realtà, di dondolare tra ciò che un mondo possibile e questo in cui mi trovo, che troppo spesso ammetto di non capire.
Un libro che avresti voluto scrivere e perché?
Avrei voluto scrivere la Recherche di Proust, per accaparrarmi i lettori più caparbi, più pazienti, più tenaci. Sono requisiti da chiamare in causa qualora si desiderasse spiegare la differenza tra sopravvivenza e vita.
A chi devi dire grazie per essere quella che sei?
Dovrei ringraziare il dolore, ma credo di non essere ancora giunta a una pace interiore tale da poterci riuscire. Poi ci sono gli esseri in carne e ossa. Ma a quelli, nel mio piccolo, tento di dimostrare gratitudine quotidianamente. A volte mi riesce meglio, altre peggio.
Nessuno si senta offeso, tutti si sentano chiamati in causa, ciascuno nel proprio ruolo, nella propria professione, come cittadini è vero che noi messinesi siamo ignoranti?
È falso. A Messina soffiano venti straordinari in ambito culturale. Tutt’al più li confondiamo con lo scirocco. O, peggio, ce ne dimentichiamo. O, peggio ancora, volutamente li ignoriamo.
Sono dell’idea che la scrittura è un bellissimo viaggio dentro se stessi con continue possibilità di sperimentare anche nuove forme di espressione. Tornando dai tuoi viaggi letterari cosa conservi nel tuo cuore?
Principalmente conservo i volti della gente con la quale ho condiviso altrove una passione. Poi conservo gli istanti, i particolari, tutto ciò che va ad annidarsi negli interstizi della memoria. E li rivivo con la mente per giorni, per settimane. Credo sia un modo per eludere il rischio di dimenticarli.
Qual è il tuo sentimento rispetto al teatro che ti affascina tanto?
Tra gli altri, vince senz’altro il sentimento di gratitudine. Io al teatro devo molto, forse tutto. Sono partita da lì e poi ho cominciato – compulsivamente se vogliamo – a percorrere tutte le strade che mi si sono materializzate innanzi. Non sapevo dove stessi andando, probabilmente ancora adesso non lo so, ma a ogni passo io mi sentivo un po’ più salva. E se ti senti un po’ più salva quella è senza dubbio la strada giusta.
Qual è il senso di essere un’artista oggi?
Oggi l’arte, declinata in tutte le forme, ha il dovere di opporre strenua resistenza alla realtà, a questa realtà. Di conseguenza spetta all’artista pungolare le coscienze, schiudere orizzonti possibili, benché impensabili. L’arte in genere è un atto rivoluzionario che costa sacrificio, lacrime e sangue. L’artista, per uno scopo talmente nobile, deve essere disposto a perdere financo un po’ di sé.
Andiamo sempre meno al cinema, a teatro e nei musei, solo un messinese su due legge almeno un libro l’anno. Di più: non abbiamo interessi culturali, non investiamo nell’educazione e la causa non è soltanto la crisi economica. Per colpa di chi?
Paradossalmente per colpa dell’opulenza in ogni settore culturale. Escono troppi film, si producono troppi spettacoli a teatro, si pubblicano troppi libri, troppa musica è a portata di mano. E quando tutto è troppo, in molti casi qualitativamente mediocre, passa senza lasciare traccia. La deperibilità della cultura è a mio parere la causa principale della mancata fruizione. Poi si aggiunga che non si educa più a molte cose. Per pigrizia, a non voler pensare male. Ma questo è un altro discorso. O un’altra storia, peraltro d’una tristezza infinita.
Dal mio punto di vista sembriamo una città sulla difensiva, che ha rinunciato a crescere, di lottare per valori alti, ripiegata sulla “sopravvivenza”, disinteressata ad aprire gli occhi e la mente. Una Messina rassegnata (lo sono anche e soprattutto i giovani)… Che idea ti sei fatta?
A Messina ci si rassegna solo all’apparenza. Poi si combatte continuamente, su più fronti. Sono piccole grandi battaglie quotidiane, lontanissime dai riflettori, silenziose. Se le scovassero, le nuove generazioni apprenderebbero una grande lezione di coraggio; apprenderebbero cosa significhi davvero resistere. Ma a nessuno qui, come altrove, conviene che tutto ciò accada.
Hai mai pensato o immaginato un futuro inedito, innestandolo in un passato ancora rigoglioso. Un sogno, un progetto, una politica, una strategia?
Il sogno è quello di tornare al passato. Quello di svegliarmi un giorno e trovarmi nel mondo delle televisioni a tubo catodico, delle partite alla radio, dei primi vinili, della SIP. A questo punto, la sola strategia che mi viene in mente è l’umile ammissione del fallimento di quel progresso a fianco del quale, un po’ arrancando un po’ tenendo il passo, noi siamo essenzialmente regrediti.
Prossimo traguardo da tagliare?
La pubblicazione del mio primo romanzo. Che peraltro ha molto a che fare col recupero di un tempo cui guardo con profonda nostalgia. E chissà che le parole non me lo restituiscano…