Vittoria Lorenzetti è stata in giro per il mondo a fotografare le donne. La vita, la gioia, la paura, il dolore, la speranza. Ne ha ricavato emozioni, immagini, esperienze. Vittoria ha dato loro visibilità e contemplato i tanti scatti in cui si spezza un cuore se a prevalere è la forza e non l’amore. La lotta per i diritti delle donne non è mai abbastanza! Dopo aver visto di cosa è capace abbiamo voluto intervistarla per dare forza a tutte quelle donne che non hanno la sua sicurezza nell’affrontare la quotidianità.
Quando un problema rischia di diventare un dramma ognuno reagisce in modo imprevedibile: “La mia felicità esiste solo per il fatto di essere qui”, ci risponde Vittoria. “Con tutto ciò che fino a ora ho vissuto. Accetto tutto ciò che la vita mi propone, il dolore, la rabbia, la tristezza, i momenti no, le difficoltà che con forza devo superare. Fa tutto parte di me, della persona che sono ed è cosi per tutti. Penso che non ci possa essere felicità senza tutto il resto“.
Il pensiero corre alle tante donne che durante la loro esistenza hanno perso per strada il coraggio di dire “no”, o la voglia di sorridere e progettare qualcosa d’importante perché incapaci di lottare per i propri diritti. Non occorre andare in Sud Sudan per scoprire che ci sono dei mostri. Anche in Italia ci sono ragazze che hanno visto morire sogni e speranze e subito violenze. Vittoria è la risposta vivente e sorridente agli sguardi pietosi, curiosi o inorriditi di chi regala solo cinque minuti alla violenza contro le donne. Non è mai troppo tardi per aprire gli occhi davanti alla cattiveria umana.
“La fotografia è ciò che mi permette di farlo con un immensa profondità. E’ incredibile come senta spesso che la macchina fotografica sia ormai estremamente parte di me. Sento e scatto. Quando qualcosa di emoziona, quando sento che quel qualcosa davanti a me è importante e degno di essere vissuto e ricordato allora scatto. Scatto sempre. Mi emoziono sempre e scatto sempre“. svela Vittoria.
“Negli ultimi anni sono stata in India per la realizzazione di un reportage sul tema della violenza sessuale nel paese. Sono stati anni intesi che mi hanno fatto entrare in contatto con meravigliose donne dall’anima perduta. Sono stata accolta nelle loro case, ho ascoltato le loro storie. Storie che meritano di essere conosciute e raccontate. Mi hanno permesso di entrare nelle loro vite come donna e come fotografa. Tornata dal India ho iniziato a focalizzare la mia attenzione sulle storie del mio paese”.
Anche l’ambiente, il territorio fa parte della sua sensibilità.
“Mi sono interrogata su come le strutture ad alta quota e gli ambienti di montagna potesse funzionare in modo sostenibile, facendo riferimento agli obiettivi sostenibili dell’Agenda Onu 2030. Ho realizzato tra ottobre 2019 e gennaio 2020 un reportage sul tema della sostenibilità in Italia. Une delle fotografie realizzate per questo progetto è la fotografia vincitrice all’Italian Sustainability Report Award (ISPA2020), il primo concorso interamente dedicata alla sostenibilità in Italia, presentato da Parallelozero, agenzia fotogiornalistica internazionale specializzata nella produzione di contenuti visuali per il mondo dell’editoria e del corporate realizzato in collaborazione con Pimco. La foto che ho scattato rappresenta la stazione più alta dello Skyway di Punta Helbronner, che si trova 3466 metri di altezza. Sin dalla sia costruzione nel 2011 l’obiettivo è sempre stato quello di rendere le sue vette accessibili a tutti, rispettandone l’ambiente e preservandone il patrimonio. Proprio in questa direzione skyway si è impegnata a creare un dialogo aperto tra le montagne e la struttura, con azioni in grado di minimizzare l’impatto generato dalle sue attività, sia inn termini di sostenibilità sociale che economica. A oggi sono diverse le scelte sostenibili che skyway mette in atto. Dal punto di vista energetico l’impianto prevede il recupero dell’energia elettrica prodotta dalle funivie ed è vietato l’utilizzo di combustibili fossili, riducendo cosi le emissioni di CO2. Da punto di vista architettonica Punta Helbronner sembra un diamante di vetro incastonato tra le montagne; le sue vetrate non solo permettono di godersi la vista, ma raccolgono il calore evitandone la dispersione. Una scelta non solo quindi puramente estetica ma anche funzionale.
Vittoria Lorenzetti giri il mondo raccontando attraverso il tuo obiettivo storie delicate: siamo un pianete popolato da sopravvissuti?
Il nostro è un pianeta frenetico, che ci spinge a vivere vite frenetiche. Sempre più connessi, ma nello stesso tempo sempre più distanti. Sempre più portati ad avere paura di tutto: del nostro aspetto fisico, del nostro futuro, della politica, dell’amore, dei figli, dei soldi. In tutto ciò ognuno cerca di vivere come meglio riesce.
La prima scintilla della tua straordinaria vocazione quando scattò?
Onestamente non mi ricordo il momento esatto in cui ho scoperto che la macchina fotografica potesse essere lo strumento attraverso il quale avrei voluto vivere e indagare ciò che mi circonda. E’ accaduto, cosi, con il tempo, crescendo e formandomi come persona. Adoro il mio lavoro, la macchina fotografica è il pretesto per raccontare il mondo dal mio punto di vista. E sono molto curiosa di scoprirlo, ci sono cosi tante cose e situazioni che meritano di essere raccontate.
Una delle tue inchieste riguarda il tema della violenza sessuale nell’India: non è che in Italia siano rose e viole…
In ogni paese del mondo le donne vengono violate. In questi anni di lavoro in india ho elaborato questo pensiero: chi violenta le donne non è malato, non ha problemi psicologici. Io, personalmente, e il mio pensiero non è necessariamente corretto, penso che si debba porre l’accento sulla matrice culturale. L’India è un paese in cui le sacre scritture dicono e insegnano che la donna è sottomessa a qualsiasi autorità maschile all’interno della famiglia. I matrimoni sono combinati, le donne conoscono i mariti il giorno prima del matrimonio e dal quel momento diventano di loro proprietà. Gli uomini giustificano il loro comportamento facendo alla loro cultura e alle loro tradizioni. Inoltre, parlando in India con diversi uomini, ho notato di come loro siano terrorizzati dall’influenza della donna occidentale. Non vogliono che le donne siano indipendente e autonome, e la violenza diventa lo strumento per mantenere il controllo e l’autorità su di loro.
Le foto quanto sono così forti?
Ci sono fotografie molto forti che hanno fatto la storia, in modo diverso. Basta pensare alla fotografia di Nick Ut, una delle immagini più memorabili delle atrocità della guerra del Vietnam. La fotografia ritrae una bambina di 9 anni che corre nuda per strada, urlando per il dolore delle ustione riportate a seguito di un bombardamento al napalm. Una foto che è diventata il simbolo degli orrori della guerra e che ha scioccato tutto il mondo. E poi abbiamo la foto di Steve McCurry, la ragazza Afghana, scattata in un campo profughi in Pakistan durante la guerra in Afghanistan. La forza comunicativa di questa foto è nello sguardo; si avverte rabbia, dolore, ma anche forza e abnegazione.
Ogni persona nasconde delle cicatrici: come si superano certe violenze, se si superano davvero?
Ognuno di noi porta nella propria anima delle cicatrici, più o meno profonde, ma la profondità del proprio dolore è sempre comunque soggettiva, perché è il nostro di dolore. Da fuori può essere percepito come non giustificato o esagerato, ma fatto sta che questo dolore sta dentro di noi e noi abbiamo TUTTO IL DIRITTO di sentirlo forte, immenso e gigante. Per questo bisogna sempre rispettare il dolore degli altri. Sempre. Il dolore non si cancella, e mi verrebbe da dire che non si supera. Ma piuttosto si assimila, si impara a conviverci, si impara a tirare fuori delle nuove armi che sono dentro di noi e che ci aiutano a convivere con ciò che ci ha fatto soffrire. Le donne che ho conosciuto non dimenticheranno mai quello che hanno vissuto, mai. Ma vanno avanti, vanno avanti perché sono donne, madri, hanno dei figli di cui occuparsi, hanno dovuto raccogliere e trovare dentro loro stesse quella magica forza che le consente di andare avanti. Quando mi raccontano la loro storia piangono ancora, a distanza di anni e anni, e dopo sorridono, abbracciano i loro figli, escono a bere un the, puliscono la casa. Conviviamo tutti con il nostro dolore, ognuno in modo diverso.
Quando guardi l’abisso, l’abisso ti guarda dentro, diceva Nietzsche. Tu come ne sei uscita?
Ammetto che il lavoro che ho realizzato in india non sia stato semplice a livello emotivo. Posso onestamente dire che sono una persona meno serena di prima. Ma questo non ha importanza; per me ciò che è veramente importante è che queste storie vengano raccontate, e il mio obiettivo è quello di raccogliere storie e testimonianze su questa tematica in quanti più paesi possibili. Con alcune difficoltà burocratiche sto iniziando a raccontare di questa tematica in Italia.
Cosa distingue un uomo da una donna?
Forse sono la persona sbagliata a cui fare questa domanda in quanto mi reputo un po’ ‘’ femminista ‘’, passatemi il termine. Ammiro e stimo immensamente le donne. Tutte le donne. Ammiro la sensibilità che abbiamo, il fatto che siamo donne, madri, amiche, confidenti e a volte anche uomini. La donna è un essere speciale, è vita che produce vita. Questo concetto mi emoziona sempre molto. Questo non vuol dire che io non stimi gli uomini in quanto uomini.. ma… la donna ! La donna è magica in quello che è e per tutto ciò che rappresenta.
Da uno a cento quanto sei felice?
Direi cento! Non perché io sia sempre felice, serena e di ottimo umore. Ma più di tutto perché sento che la felicità non è fatta solo dai momenti di spensieratezza. La mia felicità esiste solo per il fatto di essere qui, con tutto ciò che fino ad ora ho vissuto. Accetto tutto ciò che la vita mi propone, il dolore, la rabbia, la tristezza, i momenti no, le difficoltà che con forza devo superare. Fa tutto parte di me, della persona che sono ed è cosi per tutti. Penso che non ci possa essere felicità senza tutto il resto.
Una famigli perfetta come l’immagini?
Rispondo prendendo come esempio la mia famiglia. I miei genitori si sono separati quando avevo 8 anni. Sono cresciuta con il dolore di sentire di non avere la famiglia perfetta, e vedevo perfetta invece quella degli altri, che avevano i genitori che stavano ancora insieme, seduti tutti insieme a tavola il giorno di Natale o per cena in un normale giorno della settimana. Ora ho 31 anni, non ti so dire come sia successo, ma ora penso che la mia famiglia sia perfetta. Ho imparato col tempo a rispettare e a comprendere le scelte fatte dai miei genitori, che come ogni essere umano non sono perfetti. Ma perfetto è l’amore che mi hanno dato e ciò che mi hanno insegnato. Perfetto è solo il massimo che una persona , una famiglia, può fare e dare entro le sue possibilità (e non parlo di possibilità economiche). Quindi, la mia è una famiglia perfetta, perché ha fatto il massimo entro le sue possibilità.
Guardando indietro ti bastano le cose riuscite o sono più i rimorsi per le occasioni perdute?
Guardando indietro rifarei tutto quello che ho fatto fino a ora. Rifarei ogni errore commesso, probabilmente ti direi che avrei voluto evitare i traumi subiti, ma va bene cosi, è successo quel che è successo perché evidentemente doveva succedere, era parte del mio cammino e del mio percorso. Quindi sì, mi bastano le cose riuscite e non riuscite fatte fino a ora.
E’ stato detto che l’unica cosa di cui valga la pena scrivere è il cuore umano in conflitto con se stesso…
Penso che siano varie le tematiche di cui vale la pena scrivere. Sicuramente le tematiche che riguardano il cuore umano, le emozioni, i fallimenti e le vittorie personali fanno sentire chi legge meno solo e più vicino alla collettività. Ma reputo molto importante raccontare anche storie che apparentemente appaiono molto lontane a noi e al contesto in cui viviamo.. perché ci fanno capire quanto in realtà siano più vicine a noi di quello che pensiamo. Ci sono storie che arrivano dall’altra parte del mondo, contestualizzate in tradizioni e culture differenti dalle nostre. Ed è proprio con queste storie che si può creare un legame, un unione con noi e il nostro mondo.
C’è chi sostiene che i giovani di casa nostra abitano in una prateria di privilegi: in che cosa i nostri genitori hanno sbagliato?
Sono una privilegiata, nata in una parte del mondo ‘’più fortunata’’ rispetto a tanti altri. Ho ricevuto una buona educazione e possibilità che sicuramente non tutti hanno potuto avere. Ho conosciuto donne in india che si sentivano privilegiate rispetto alla vicina di casa perché avevano il bagno, mentre le vicine dovevano andare nel bosco per fare i propri bisogni. Anche qui, essere privilegiati è soggettivo.
Il 2020 sarà ricordato per il dramma del virus Covid 19. Anche per te ha cambiato la nostra vita per sempre? Tutti guardiamo al nuovo anno con tante speranze o sarà l’ennesima stagione di un esperimento a tempo determinato?
Penso che la difficoltà di questo momento, oltre naturalmente a quella economica su cui non c’è nemmeno da discutere, sia che per la prima volta ognuno di noi è stato costretto a stare con se stesso. Abbiamo una vita molto frenetica, giornate riempite da lavoro, svago, vizi, aperitivi.. raramente ci ritroviamo da soli con noi stessi e questa situazione probabilmente ci ha costretti non solo a reinventarci ma anche a conoscerci. E non per tutti è stato facile. E’ un periodo in cui bisogna affrontare molte emozioni nuove, la paura di perdere qualcuno a cui teniamo, la paura di non riuscire a rialzarci emotivamente, economicamente e come collettività. A tutto ciò non vi è una risposta, se non quella, come sempre nella vita, di non mollare.
Il sogno nel cassetto?
Non ho nessun sogno in particolare. Vado avanti con passione e dedizione impegnandomi per avere una vita e un lavoro che mi facciano stare bene e che mi soddisfino. Forse il mio sogno più grande è quello di non perdere mai questa forza che sento di aver dentro, questo entusiasmo per la vita e per il mondo. Spero di non perdere mai questa sensazione. Questo è il mio sogno.