Tre grandi donne, due guerre mondiali, un sottile fil rouge a unirle: uno stesso nome, un unico destino. Letizia va alla guerra è un racconto tragicomico, di tenerezza e verità. Agnese, come definirebbe la relazione tra questi personaggi?
Le tre protagoniste sono legate da un unico comun denominatore: l’Amore. Amore inteso nella sua più ampia e variegata accezione del termine: quello carnale di una coppia di innamorati, quello viscerale di una madre e di una figlia, quello amicale fra due donne che condividono un’esperienza deflagrante come la guerra, fino a quello ultra terreno verso Dio. La suora, la sposa e la puttana, ognuna a proprio modo, cercano di alleviare il dolore di chi gli è vicino, accomunate da quella dinamica femminile del portare “letizia” nelle vite altrui anche a costo di annientare la propria.
La prima Letizia è una giovane sposa, partita dalla Sicilia per il fronte carnico durante la Prima Guerra Mondiale, nella speranza di ritrovare suo marito Michele. La seconda Letizia, invece, è un’orfanella cresciuta a Littoria (Latina) dalle suore e riconosciuta dalla zia solo dopo aver raggiunto la maggiore età. Giungerà a Roma in concomitanza con l’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale. Infine Suor Letizia, un’anziana sorella dalle origini venete e dai modi bruschi che, presi i voti in tarda età, si rivelerà essere il sorprendente trait d’union dei destini di queste donne tanto lontane quanto unite. Sono donne che lottano per l’emancipazione: tema molto attuale anche oggi. Cosa andrebbe ancora fatto per mettere fine a questa diseguaglianza culturale?
Bisognerebbe educare al bello, alla gentilezza, allo sviluppo di un senso critico e all’inclusione di tutto quello che socialmente viene considerato “diverso”. Non ne faccio soltanto una questione femminista, ma umana ad ampio spettro. Inoltre, se le parole sono il frutto dei pensieri, andrebbero utilizzate in maniera consapevole e coraggiosa. Citando Michela Murgia, che di coraggio ne aveva da vendere, se “Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva”, io dico che la prima cosa da fare per mettere fine a questa piaga secolare che è la “disuguaglianza culturale” è parlare, parlarne e ancora parlare, nella speranza che non rimanga soltanto “la battaglia delle donne”, ma che diventi la battaglia di tutti.
Come è stato lavorare con Tiziano Caputo?
Tiziano è straordinario, un vero e proprio artigiano del teatro. Attore, autore, cantante e musicista polistrumentista è un essere umano pieno di talenti, oltre che un interprete generoso e sempre affidabile sulla scena. In altre parole il compagno di scena che tutti vorrebbero. Ma è insieme ad Adriano Evangelisti e a Raffaele Latagliata, entrambi attori e registi, che abbiamo creato, negli ultimi anni, un sodalizio artistico davvero prezioso per il nostro percorso teatrale e che ci ha permesso di creare la “Trilogia degli Ultimi” (di cui “Letizia va alla Guerra” è la prima pièce).
Quale regola vi siete imposti per rendere efficace la storia?
L’obiettivo che ci prefiggiamo come compagnia, ogni volta che intavoliamo un nuovo processo creativo, è quello di lavorare a servizio della storia e mai in funzione del nostro ego. L’intento primario è quello di procedere con onestà intellettuale e di arrivare al cuore del pubblico in maniera autentica, senza sovrastrutture di sorta. Se l’urgenza è reale il resto viene da sé.
Agnese ha mai sentito, in quanto donna, di avere delle limitazioni?
Più che limitata mi sono sentita spesso vittima di pregiudizi solo per il fatto di “essere donna”. Anche quei continui luoghi comuni sulla contrapposizione fra la genitorialità e la carriera, sul famoso orologio biologico perché… “sbrigati che a un certo punto è troppo tardi” o sul fatto che “se non diventi madre non sei una donna” li trovo aberranti. Continuo a sentir parlare di capofamiglia, di maschile e femminile come Hulk e Barbie, di donne che valgono a seconda del peso dell’uomo che hanno al proprio fianco o di quelle che parlano troppo e che quindi “è per questo che nessuno se le piglia!”. Io mi reputo una privilegiata perché nel mio percorso di vita ho incontrato uomini disgustosi ma anche uomini meravigliosi, che tutt’oggi mi sostengono nel mio lavoro e nel mio privato. Purtroppo però, sono stata troppo spesso confidente di violenze fisiche e psicologiche ai danni di altre donne a me vicine. È proprio per questo che mi schiero apertamente di fronte a questa forma di ingiustizia che, a tutti gli effetti, genera una differenza sociale solo sulla base di una differenza biologica.
Perché per le donne gli esami non finiscono mai?
Perché bisogna continuamente dimostrare di essere all’altezza, di “avere gli attributi.” È inutile girarci intorno, siamo ancora lontani dal poter godere degli stessi diritti. Ce lo mostra con grande talento Paola Cortellesi nel suo film “C’è ancora domani!” dove il suono che sentiamo più spesso è quello delle sberle di un marito violento, seguito da quel continuo e irritante “Stai zitta tu!”. È proprio per questo che, oggi più che mai, dobbiamo armarci degli strumenti culturali acquisiti e continuare a dire la nostra e a lottare e a denunciare, se necessario. Perché, come ci esorta la canzone di Daniele Silvestri, nessuna rimanga più “a bocca chiusa”.
Quali consigli si sentirebbe di dare a chi prova a trovare uno spazio nel teatro?
Purtroppo, la crisi che imperversa nel settore teatrale italiano è innegabile ed è molto complesso, per un giovane artista, trovare il proprio spazio in questo panorama così disgregante e disgregato. Il consiglio che mi sento dare è quello di essere tenaci e di avere cura. Bisogna custodire, coltivare e alimentare costantemente il proprio fuoco creativo per tenere la fiammella vivida e non permettere a certi venti inopportuni di spegnerla con ferocia. Il teatro è una vocazione e la qualità, alla lunga, paga sempre. Non seguite le mode, ma siate autentici: proponete spettacoli che rispecchino la vostra urgenza creativa e cercate di intessere relazioni con colleghi che sposino la vostra poetica. Il teatro non si fa da soli!
Quali sono a suo parere le differenze imposte dall’esterno, dalla società?
Innanzitutto ci sono pochissime donne ai vertici delle istituzioni e, quelle che ci sono, ricalcano modelli di leadership maschili, in pratica non sono donne che non difendono la libertà delle donne. Ma al di là della politica, la percentuale di donne ai vertici della magistratura, delle università, delle aziende, della cultura e dell’istruzione è ancora innegabilmente squilibrata rispetto a quella maschile. Molti dei ruoli decisionali e di potere ci vengono ancora preclusi e, per entrarci, bisogna necessariamente essere una “donna con le palle”! Praticamente un ossimoro vivente! Per non addentrarci nel discorso della maternità dove il pensiero sotteso è sempre lo stesso: “Vuoi essere sia una madre che una donna lavorativamente appagata?” Eh, però quante ne vuoi.
Che cosa pensa delle storiacce di violenza che puntualmente la cronaca ci riporta?
Ogni volta è una ferita che si riapre e che non s rimargina mai veramente. La storia di Giulia Cecchettin, la più recente, mi ha profondamente scosso, addolorato, infiammato di rabbia. Eppure, il grido di sua sorella Elena è stato un grido di luce, che mi fa ben sperare per le generazioni a venire. Bisogna partire dalla scuola, bisogna garantire un’educazione sentimentale che aiuti a discernere fra amore e possesso.
Per fortuna che a volte basta un libro – o nel suo caso uno spettacolo teatrale per far tornare il sorriso. Tre motivi per andare al Teatro Basilica per assistere a Letizia va alla guerra. La suora, la sposa e la puttana?
Quello che mi muove a scrivere una storia è sempre il desiderio di offrire al pubblico ciò che mi piacerebbe vivere come spettatrice: momenti emotivi, ironici e riflessivi. Io c’ho messo il mio cuore e spero vivamente che chi verrà a vedere “Letizia va alla guerra” possa uscire da teatro un po’ diverso da come è entrato.
TeatroBasilica
dal 9 al 14 gennaio 2023
Agnese Fallongo e Tiziano Caputo in
Letizia va alla guerra
La suora, la sposa e la puttana
Drammaturgia Agnese Fallongo
Ideazione e regia Adriano Evangelisti
Coordinamento Creativo Raffaele Latagliata
Accompagnamento Musicale dal vivo Tiziano Caputo
Aiuto Regia Luigi Di Raimo
Costumi Giorgia Marras
Scene Tiludrji
Foto Tommaso Le Pera
Distribuzione PigrecoDelta
Teatro degli Incamminati in collaborazione con ARS