Dolore pulsante alle tempie, nausea, vomito, sensibilità alla luce e ai suoni. Questa è la sintomatologia che spesso accompagna l’emicrania. Spesso è classificata come ‘semplice mal di testa’, ma non sempre è così. Il soggetto colpito da un attacco deve ricorrere al riposo completo in un ambiente silenzioso, isolato e buio. Chi ne soffre può davvero essere ‘limitato’ nella vita di tutti i giorni. Ma quali sono i campanelli d’allarme che devono spingere il paziente a rivolgersi ad uno specialista? Ci sono esami clinici che completano il quadro clinico? E che ruolo svolgono gli stili di vita corretti e quanto è importante dormire le giuste ore di sonno? L’agenzia di stampa Dire ha approfondito l’argomento con Licia Grazzi, neurologa e responsabile del Centro Cefalee della Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Neurologico ‘Carlo Besta’ di Milano che ha recentemente scritto con il collega Paul Rizzoli, neurologo del John R. Graham Headache Center del Brigham and Women’s Faulkner Hospital, Harvard Medical School di Boston, l’articolo ‘Lessons from lockdown – behavioural interventions in migraine’ pubblicato sulla rivista ‘Nature Review Neurology’.
– Spesso l’emicrania viene associata al comune mal di testa il più delle volte passeggero. Ma non è detto sia sempre così, molte volte si tratta di un problema invalidante. Quanti tipi di emicrania esistono? Quali sono i sintomi che devono mettere in allarme il paziente e indirizzarlo da uno specialista?
“La sintomatologia emicranica è particolare. Non si tratta di un semplice mal di testa ma la sua manifestazione è molto violenta monolaterale e si presenta con un dolore pulsante che spesso si associa a nausea e vomito. Esistono due tipi di emicrania come descritti dalla classificazione internazionale delle cefalee e sono: emicranie senza aura e con aura. Le ultime sono contraddistinte da una serie di sintomi neurologici che possono precedere o accompagnare l’attacco di dolore. La classificazione nella sua globalità annovera anche l’emicrania cronica cioè che ha avuto una evoluzione peggiorativa nel tempo diventando plurisettimanale quasi quotidiana con degli attacchi invalidanti e che spesso si associa a uno uso di analgesici”.
–Come viene effettuata la diagnosi e quali sono i trattamenti più utilizzati?
“Generalmente i pazienti hanno una insorgenza dell’emicrania in età giovanile. Spesso nelle ragazze coincide con il menarca e il sintomo spesso viene riconosciuto dalle loro mamme che ne hanno sofferto perché può esserci una certa familiarità. Un mal di testa può diventare ‘sospetto’ quando per le sue caratteristiche si discosta in maniera significativa dal ‘solito’ mal di testa di cui un soggetto puo’ soffrire. Una insorgenza in tarda età o attacchi particolarmente violenti che non rispondono agli usuali farmaci associati a vomito e con esordio in orario notturno sono tutti elementi che devono mettere in allarme il paziente che prima a rivolgersi medico curante e poi, se necessario, allo specialista. Il paziente segnala gli aspetti atipici che possono comportare un cambiamento della diagnosi per questo è importante che lo specialista si metta in ascolto. La diagnosi di emicrania è una diagnosi clinica che viene condotta con raccolta di dati attraverso l’anamnesi coadiuvata da una intervista al paziente. Ma in ogni caso gli esami strumentali come una Tac o una Risonanza magnetica ci aiutano ad escludere tutte quelle cause di mal di testa di tipo secondario come nel caso di problemi vascolari cerebrali o tumori cerebrali sono molto importanti prima di concludere che una forma di mal di testa coincida con una cefalea primaria che non sottende nessuna patologia organica e servono a concludere l’iter diagnostico”.
–Un connubio inaugurato purtroppo in questo anno di pandemia è ’emicrania e lockdown’. Lei cosa ha potuto osservare sui suoi pazienti e quali sono state le strategie messe in campo durante questo anno?
“Certamente quest’anno è stato un periodo difficile e drammatico per tutti. Sicuramente durante il primo lockdown un numero significativo di pazienti sia adulti che adolescenti hanno segnalato un miglioramento e diradamento della frequenza dei loro attacchi. Probabilmente il fatto di lavorare da casa e organizzare meglio i ritmi di lavoro in maniera più consona e tranquilla ha influito positivamente. Anche sei soggetti hanno riferito di aver lavorato alla fine della giornata molte più ma avvalendosi di ritmi personalizzati hanno avuto un miglioramento degli attacchi emicranici. Viceversa, in questo periodo, il continuo riassestamento dei ritmi lavoro o studio da casa alternato a quello in presenza sta comportando una destabilizzazione e il paziente emicranico di questo ne può risentire. Il risultato allora e’ il peggioramento della sintomatologia con una frequenza degli attacchi ed una intensità più importante del disturbo”.
– A tal proposito è stato pubblicato su ‘Nature Review Neurology’, un lavoro a quattro mani con il suo collega Paul Rizzoli. Ce ne parla?
“Il nostro lavoro consiste in un commento ad una osservazione che è stata fatta in uno studio olandese. I colleghi hanno osservato e verificato, durante il primo lockdown, come una ampia popolazione di adulti con emicrania avessero manifestato un miglioramento della sintomatologia. Collateralmente, in Italia, è stato realizzato uno studio capeggiato dal gruppo romano del Professor Valeriani, a cui abbiamo partecipato anche noi, che ha evidenziato lo stesso tipo di situazione però in età pediatrica- adolescenziali. E successo un po’ quello che descrivevo prima ossia il cambiamento dei comportamenti di questi pazienti ha favorito un miglioramento clinico. Organizzarsi a casa, effettuare meno chilometri per raggiungere i luoghi di lavoro o di studio, maggiore ore di sonno nonostante la paura del contagio hanno dato esito positivo sulle loro emicranie. Dunque si è creata una situazione paradossale che ha portato ad un miglioramento clinico che noi abbiamo cercato di spiegare in questo modo negli studi olandesi e italiani. Un discorso a parte va fatto per le donne. Per il sesso femminile lavorare da casa con figli piccoli magari in Dad e una casa da accudire può aver comportato un maggiore stress. In ogni caso anche questi studi hanno messo in evidenza come i comportamenti e gli stili di vita influiscono sulla sintomatologia e ciò può portare a un potenziamento delle terapie farmacologiche somministrate. Adesso molti pazienti soffrono il fatto che le palestre e le piscine sono chiuse e sono costretti a posture alla scrivania che originano dolori alle spalle e al collo. Ricordiamo poi che anche le cefalee di tipo tensivo possono dipendere da contratture muscolari dovuti a una cattiva postura e una mancanza di attività fisica. E’ per questo che nei nostri ambulatori poniamo molto l’accento sull’importanza di corrette e sane abitudini di vita. Non è banale mangiare correttamente e cibi di qualità, eseguire una costante attività fisica e dormire le giuste ore di sonno. Queste abitudini nel loro insieme sono già una terapia per essere più sani e prendere meno farmaci”.