Ricordate la metafora dei ponti? Forse ne abusiamo per rappresentare il progetto, o l’illusione di un luogo, un territorio dove l’informazione, le storie, la cultura si riconcilia dopo tante tragedie. Perché raccontare i fatti spesso diventa pericoloso se non peggio. Chi come me ha conservato l’illusione di un mestiere che aiuta il prossimo crede che i ponti per comunicare sono utili e aiutano a collegare culture diverse. Ma non sempre sono utilizzati a fin di bene. Come le notizie.
Perché, detto tra noi, la notizia quella che squarcia i muri d’omertà viene spesso e volentieri ignorata dai signori della comunicazione. Eppure è la notizia che offre nuovi spunti per capire meglio la società in cui viviamo e quando viene “censurata” in soccorso della verità arrivano gli scrittori con i loro racconti. E così anche l’ultimo degli scrittori noir, l’ultimo dei giallisti, l’ultimo degli autori di thriller sa che, per sperare nel successo del proprio libro, occorre fornire ai lettori notizie, quelle stesse che spesso e purtroppo i media dimenticano di scrivere. E se è vero, come è vero, che le parole hanno un senso e un peso. Le stesse, usate in contesti diversi possono essere appropriate o confondere. Ma usare le parole corrette non significa essere buonisti, ma saper leggere la realtà, il che è necessario per “parlare civile”. Insomma, non è un periodo sereno per chi ha a cuore il giornalismo con la G maiuscola e per fare una “fotografia” della situazione dell’informazione abbiamo incontrato una bravissima collega siciliana, Maria Schillirò per dare il nostro contributo al dibattito: che è sempre più utile che limitarsi a sparare sentenze. Perché scrivere è un privilegio: è la speranza che, se non il mondo, si può cambiare – in meglio – almeno il punto di vista di una persona.
Maria Schillirò, viviamo in una società che fatica a distinguere le storie vere dal sentito dire. E’ un problema?
È un problema grave e troppo spesso sottovalutato, che dovrebbe, invece, indurci a una riflessione più profonda. Oggi vogliamo tutti avere ragione, ma non siamo più disposti a dialogare, e senza dialogo non c’è confronto, non c’è comprensione. Pensiamo di camminare sempre con la verità in tasca, eppure inciampiamo così facilmente in quel “sentito dire” all’apparenza innocuo, ma che, spesso, nasconde l’intenzione manipolatrice di qualcun altro. Dovremmo recuperare il desiderio imperante di andare oltre le apparenze e, in un mondo che corre, non aver paura di rallentare, fermarci a pensare e non accettare quindi qualunque notizia solo perché qualcuno la divulga.
Le fake news, l’invadenza dei social, la sfiducia crescente nell’informazione ufficiale e il problema dell’infodemia, l’incapacità di ascoltare… E potremmo continuare. Perché non si va più in profondità e cogliere l’essenza di ciò che si racconta?
Il mondo dell’informazione necessita di un esame di coscienza. Un conto sono le fake news e tutto ciò che le circonda, un altro la superficialità e il pressappochismo di certi giornalisti e di certe testate. Va detto che oggigiorno esercitare questa professione in maniera libera e indipendente sta diventando sempre più difficile, ma l’idea di poter raccontare la realtà comodamente seduti su una poltrona è fantascienza. Questo è un mestiere che si fa consumando le scarpe, inseguendo le notizie per strada, in mezzo alla gente, ma, soprattutto, approfondendole e cercando la verità. Il giornalismo dovrebbe essere uno strumento per comprendere il mondo, ma se tutto ciò continuerà a venire meno, non farà altro che diventare il primo nemico di se stesso.
In una società in cui i dibattiti televisivi sono spesso caratterizzati dal “chiasso” delle parole come si può invertire la rotta?
Rispolverando le nostre capacità critiche, la nostra propensione al discernimento. Le chiacchiere da salotto di certe trasmissioni televisive, dove la deontologia quasi sempre va a farsi benedire, hanno lo scopo di fare spettacolo, non informazione.
Diffondere la cultura aiuta?
L’arte, la letteratura, la musica e il cinema sono fonti inesauribili di valori preziosi e senza tempo, le uniche ancore di salvezza che ci consentono di non sprofondare in questo mare in tempesta in cui navighiamo. Non ho dubbi sul fatto che la cultura ci salverà, resta da capire chi salverà la cultura.
L’ultimo libro letto?
“Denise. Per te, con tutte le mie forze” (Piemme), di Piera Maggio. Un racconto sincero e trasparente di un mistero lungo diciotto anni che ancora oggi resta uno dei casi di cronaca più seguiti in Italia.
Una storia che avresti voluto scrivere?
Questa è una domanda difficile, perché sono tante le storie che amo, ma, dovendo scegliere, ne cito una che ho rispolverato poco tempo fa: “Le notti bianche” di Fëdor Dostoevskij, un libro sempre attuale e nel quale chiunque può rispecchiarsi, perché, in fondo, un po’ di quel Sognatore senza identità, idealista e isolato dal mondo, risiede in ciascuno di noi.
Da donna non ti dà fastidio che i media, in genere, quando si tratta di personaggi femminili, leader politici durante un importante incontro, diventano l’occasione per parlare del loro aspetto fisico. Non succede mai quando si tratta di uomini…
Quando si parla di emancipazione femminile va sottolineato che, sebbene finora tante siano state le conquiste, la strada da percorrere è ancora lunga. Certi atteggiamenti ovviamente mi danno fastidio, ma purtroppo non mi stupiscono, perché viviamo in una società ancora profondamente maschilista e patriarcale, dove la maggior parte degli uomini crede di avere il mondo in pugno e dove spesso sono le stesse donne ad essere nemiche delle donne. Per abbattere certi stereotipi è necessario un lavoro di sensibilizzazione culturale e la vera chiave per il cambiamento sono i giovani: occorre educarli, sin dalla loro infanzia, alla non violenza, al rispetto e alla parità.
“È la stampa, bellezza! E tu non ci puoi fare niente!”, diceva il giornalista Humprey Bogart, facendo sentire al telefono le rotative in azione al criminale di turno. Il film-mito s’intitolava ‘L’ultima minaccia’. Ne è passato di tempo o è ancora così importante il ruolo dei giornali, televisioni, dei social in genere?
Cambiano i tempi, cambiano le mode e aumenta la competizione, ma sono convinta che ciascun mezzo di comunicazione possa ancora svolgere un ruolo prezioso, se usato con criterio. Per migliorare e non soccombere occorre, però, innanzitutto sapersi rinnovare.
L’ironia e il grottesco sono le armi che noi giornalisti dobbiamo usare per combattere la cultura criminale?
L’ironia è uno strumento di comunicazione molto potente ed efficace, bisogna però prestare attenzione a quel confine sottilissimo, superato il quale diventa facile cadere nel ridicolo.
Ti sei mai chiesta come e perché siamo diventati così cinici e opportunisti da non vedere il valore delle idee?
Non lo vediamo o non lo vogliamo vedere? Viviamo in una società che ci vuole egoisti, che premia il cinismo e l’opportunismo, altro non siamo quindi che il suo riflesso.
Che cosa ti inquieta di più?
L’indifferenza, la totale mancanza di empatia, l’ipocrisia, il nostro atteggiamento di passiva accettazione, il fatto che non abbiamo più voglia, o non siamo più in grado, di ribellarci.
L’Italia, la Sicilia celebra, come ogni anno, l’anniversario della Strage di Capaci e a luglio si ricorderà i martiri di via D’Amelio. Falcone e Borsellino eroi per sempre: cos’è rimasto del loro percorso?
Le loro idee continueranno sempre a camminare sulle nostre gambe e sono senza dubbio l’eredità più grande che potessero lasciarci. Per non rendere vano il loro sacrificio, però, non dobbiamo mai stancarci di cercare la verità, la luce in quelle zone d’ombra che ancora offuscano la loro morte. Le ricorrenze sono importanti, coloro che mostrano tanta ammirazione, istituzioni in primis, dovrebbero, però, farsi dei sinceri e profondi esami di coscienza e capire che per combattere davvero la mafia non bastano delle sfilate, ma è necessaria una lotta quotidiana che combatta ogni tipo di mentalità mafiosa e, soprattutto, occorre non abbandonare chi questa battaglia continua a combatterla, ogni giorno, nel silenzio. Diversamente si rischia di sfociare in un’insopportabile retorica.
In Italia, in Sicilia in particolare, ogni storia poco limpida si tinge di giallo? Ma la verità non ci rende liberi come dice Gesù Cristo?
La verità è anche una sedia scomoda, come diceva qualcun altro, e forse è per questo che, piuttosto che scovarla, preferiamo spesso girarle intorno.
Se dovessi spiegare a un ragazzino delle medie la mafia che cosa diresti?
Terrei ovviamente conto della sua età, ma non gli direi nient’altro che la verità, i nomi e le storie di chi l’ha combattuta davvero. Parlare di mafia con i ragazzi è, soprattutto, un’occasione per educarli al rispetto e alla legalità, per renderli cittadini consapevoli e fornire loro tutti gli strumenti necessari per non cadere in certe trappole.
Come si distingue il confine tra la paura e la convenienza?
Non lasciandosi sopraffare dalla prima né tentare dalla seconda. Per essere liberi occorre avere il coraggio di non scendere a compromessi.
“Alla luce dei fatti” Maria si è pentita di aver scelto di intraprendere la professione di giornalista?
Sarò sincera, è un mestiere complicato, quello del giornalista, eppure penso che non ci sia mestiere più bello al mondo. Se è vero che la passione è il motore di ogni cosa, avere un sogno e mettersi in gioco per realizzarlo è quanto di più bello possa capitarci.