L’apporto umano che una guida femminile può dare alle aziende riguarda sia la sfera pratica, che quella relazionale, grazie in primis all’innata sensibilità peculiare alle donne. La diversità di genere migliora i risultati d’impresa e facilita l’attrazione di talenti, lo conferma il rapporto dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro). “Soft skills” che risultano sempre più necessarie in un mondo del lavoro oggi più che mai in grande evoluzione, complici la crisi pandemica e quella geopolitica.
In quanto a gap salariale tra generi, il nostro paese è tra gli ultimi in Europa, con una scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo. Su questo aspetto molti pregiudizi devono ancora essere abbattuti, ma una nuova prospettiva si sta facendo progressivamente spazio.
Ne sa qualcosa Paola Veglio, classe 1979, con studi al Politecnico di Torino in Ingegneria Elettronica; dopo una lunga gavetta iniziata nel 2006 nel laboratorio di elettronica di Brovind Vibratori S.p.A, nel 2011 affianca il padre, Giancarlo Veglio, nella gestione dell’azienda e nel 2013 diventa Amministratore Delegato.
Grazie a Paola, Brovind, azienda specializzata nella movimentazione industriale su base vibrante, ha intrapreso un percorso di crescita, passando da 39 addetti ai 160 attuali, con un aumento del fatturato da 5,4 milioni a 18 milioni di Euro, ma anche un respiro internazionale, con l’apertura di una filiale in Brasile e l’inaugurazione entro il 2023 di una sede commerciale negli Stati Uniti.
Paola Veglio che qualità sono necessarie per tenere il timone di un’azienda metalmeccanica?
Non c’è una ricetta ben precisa, probabilmente se l’avessi avuta mi sarei evitata tanti schiaffi in piena faccia. Ci vogliono tanta determinazione e tanto coraggio in primis. Tanta umiltà, con la consapevolezza che c’è sempre da imparare dagli altri. Bisogna saper ascoltare e mettersi in gioco. Da soli non si va da nessuna parte, riuscire a creare una squadra e sentirsi parte di essa è uno dei più grandi successi per un imprenditore. Non ho mai avuto paura di mettere la faccia in quello che credevo, nel bene e nel male; questo ha permesso di guadagnarmi il rispetto delle persone.
La sua storia: dopo una lunga gavetta iniziata nel laboratorio di elettronica nel 2011 affianca suo padre, Giancarlo, nella gestione dell’azienda e nel 2013 diventa Amministratore Delegato. Un ruolo difficile per una figlia…
Il mio inizio è stato veramente temprante! Ero giovanissima, con zero esperienza e l’azienda in forte crisi, cui è seguito il biennio drammatico 2008-09 che ha dato il colpo di grazia. Nessuno credeva che ci saremmo ripresi, le banche ci hanno mandato quasi tutte al rientro. Non sapevamo veramente come uscirne. Il rating era ai minimi storici, venivamo catalogati come a un passo dal default. Mio papà, amministratore delegato di allora, aveva deciso di non prendere stipendio per tanti anni. Ma ancora non bastava, l’azienda non si riprendeva. Nel frattempo, io stavo facendo tutta la gavetta in azienda, prima in laboratorio, poi nell’ufficio R&S, poi come responsabile IT, mansione questa che mi ha permesso di entrare, attraverso il rinnovamento del gestionale, in tutti i reparti e, senza accorgermene, di comprendere tutti i problemi esistenti. Ad un certo punto, con le unghie e con i denti, mi sono cercata una posizione di leadership, pur avendo contro mio papà, che continuava a ripetermi che era troppo presto. Ho selezionato alcune persone, che mi hanno seguito e da lì è iniziato un bel percorso. Sicuramente non mi è stato regalato nulla, ho sudato tante camicie, ma i risultati hanno cominciato ad arrivare. Non abbiamo preso un euro di finanziamento, non abbiamo fatto un giorno di cassa integrazione, non abbiamo tardato un giorno nel pagare gli stipendi dei dipendenti, ma abbiamo parlato con i fornitori, che ci hanno fatto da principale banca in quegli anni. Con loro abbiamo fatto piani di rientro precisi, mai disattesi, creando un rapporto di fiducia che ancora oggi esiste. Abbiamo investito, sono andata controcorrente in maniera molto pericolosa, ho stravolto l’azienda nell’organigramma e nei processi, abbiamo diversificato i mercati, abbiamo assunto giovani e ampliato le vendite. In tre anni avevo sanato la perdita, dal quarto anno abbiamo cominciato a fare utili e nel 2013 sono diventata amministratore delegato.
In cosa sente di assomigliargli?
Con mio papà non ci siamo parlati per un decennio. Non gli ho mai perdonato la sua assenza nella mia vita. Mi sentivo così diversa da lui, io decisionista, lui sempre dietro la trincea del “vediamo”. Io estroversa, lui ponderato e introverso. Poi la vita mi ha portato a fare un percorso molto simile al suo, così ho capito che era rimasto intrappolato in un labirinto fatto di lavoro e politica. Che non riusciva più a uscirne e raggiungermi. Mia mamma è finita su una sedia a rotelle a 49 anni, io ne avevo 14. Ho perso la mia adolescenza, in una cosa molto più grande di me, che gestivo da sola e senza libretto di istruzioni! Anche se devo ammettere che tanta della mia forza e della mia sensibilità le ho proprio guadagnate in quegli anni così difficili.
Poi mia mamma è mancata ed è arrivato poco dopo l’Alzheimer di mio papà. Forse, paradosso nel paradosso, è stato proprio l’Alzheimer a farmi riavvicinare a lui. Vederlo tornare bambino, con i ruoli invertiti, ha cancellato il mio rancore. Oggi viviamo l’uno per l’altra: lui che ormai riconosce quasi solo me, io che vivo per farlo sorridere. E così mi sono resa conto che quell’enorme distanza tra noi esisteva solo perché in realtà eravamo molto simili, quasi uguali. Lo schierarsi sempre dalla parte del più debole, combattere con il coltello tra i denti, non sopportare le ingiustizie, sognare sono le cose le ho decisamente prese da lui.
Sfizi da ricca che si è tolta?
Non sono ricca, quando lo diventerò vi dirò gli sfizi che vorrò togliermi. Al momento ho deciso di investire tutto, non solo la parte economica, ma la mia stessa vita, per i progetti in cui credo e di cui sono fiera. Progetti per le persone, per il territorio e per i meno fortunati, per i quali mi piace essere la seconda possibilità nella vita. E vi dirò una cosa, questo sfizio ti rimane dentro, ti cambia profondamente, a differenza di tanti altri sfizi più materiali che danno soddisfazione, ma non lasciano nulla.
Cosa si fa per gloria?
Sono ambiziosa, ho imparato a combattere e giocare nel mare tempestoso della vita e del lavoro. Ma senza mai compromettere di una virgola i miei valori. Anche le battaglie più grandi e importanti sono state portate avanti mettendo sempre al primo posto il rispetto per gli altri. Ho sempre desiderato emergere; all’inizio lo facevo per dimostrare agli altri che ne valeva la pena e forse agli occhi di mio papà che ero abbastanza. Oggi lo faccio per me stessa, ribaltando su chi ho vicino parte della fortuna che ho. Sono viva, libera, indipendente e forte. Faccio un lavoro che mi piace e che mi soddisfa. Chi è più fortunato di me?
Di lei si racconta che racchiude una forte determinazione e impegno per la comunità, per lo sviluppo dell’azienda e per l’affermazione personale, in un settore ancora poco avvezzo alle figure femminili. Come si fa a cambiare certi pregiudizi di genere?
Dimostrando il proprio valore. Perché le aziende, quelle serie, quelle per cui vale la pena lavorare, non guardano il sesso, il colore della pelle, il credo politico, la religione; guardano il valore della persona. Io non vorrei entrare in un’azienda per una quota rosa, vorrei entrarci perché ho qualcosa da dimostrare. E sono sicura che facendo un percorso fatto di determinazione e caparbietà, senza paura delle porte in faccia che inevitabilmente si prendono, si arriva dove si vuole. La frase di Walt Disney “Se puoi sognarlo, puoi farlo” è sicuramente l’emblema della mia vita.
Si è mai sentita a disagio sul posto di lavoro?
Dipende cosa si intende per disagio. A disagio mi sono sentita tante volte, quando hanno cercato di farmi credere che non ero all’altezza, quando li sentivo parlare alle mie spalle, o quando venivo presa in giro. Ma il modo migliore per farmi fare qualcosa è dirmi “tanto non ce la fai”. E infatti, eccomi qui, con due aziende metalmeccaniche, un ristorante e un albergo, a gestire circa 200 persone in tutto. Quando mi capita di parlare con i ragazzi delle scuole dico sempre “non lasciatevi mai convincere da nessuno che non ne vale la pena o che non siete abbastanza”. I disagi ci sono, ma ogni magone o battaglia superata ti rendono più forte e sicura e ti preparano per affrontare il mare più pericoloso, in tempesta e senza aiuti: la vita.
Secondo lei, qual è la paura maggiore delle persone al giorno d’oggi?
Quella di apparire. E’ una guerra all’apparenza, si cerca di essere quello che la società vuole. Belli, magri, sportivi, ben vestiti. E invece a me di apparire non è mai importato nulla, a me piace essere vera e spettinata dalla vita.
Poi bisogna dire che gli ultimi anni sono stati particolarmente difficili. Eventi come il Covid o la guerra hanno fatto emergere tantissimi limiti della società attuale. Diamo tutto per scontato, tutto ci è dovuto. E invece dovremmo ritornare ad apprezzare le piccole cose, vivere guardandoci negli occhi, ridere a crepapelle. Cose che la vita frenetica che facciamo, gli smartphone o i social hanno lasciato che morissero.
Mai sottovalutare cosa…?
La cattiveria della gente. A questa non ho ancora trovato l’antidoto! Per noia e per invidia, ho subito cose che avrebbero ucciso psicologicamente tante persone. Ma l’importante è essere sè stessi, non scendere a compromessi con i propri valori e poi i giochi si fanno a lungo termine.
Facciamo un giochino: che ruolo hanno nella sua vita quotidiana il coraggio, la temperanza, la sincerità e la giustizia?
Tre su quattro sono pilastri portanti della mia vita. Il coraggio è quello che mi fa andare avanti, nonostante tutto e tutti. La voglia di cambiare le cose che non mi vanno non è altro che coraggio. La sincerità è fondamentale, essere trasparenti nel bene e nel male porta ad amicizie vere e ti fa tagliare quelle di “convenienza”. Nel mio ruolo sono circondata da tante persone che si avvicinano per convenienza. Ma tanto poi scoprono che sono la pecora nera, quella che si sente sempre diversa da tutti. E si autoeliminano!
La giustizia è quella che ho sempre cercato di portare, in ogni cosa che facessi. Ho preso persino le botte per difendere persone più deboli e lo rifarei altre mille volte.
Sulla temperanza, intesa come virtù della moderazione, devo ancora lavorarci un po’. Vivo a mille, sempre. L’unica cosa che chiedo alla vita è di vivere a colori, non in bianco e nero. Ho bisogno di persone e cose che tengano acceso il sacro fuoco della vita.
Che ruolo ha la politica nella sua vita?
Strano. Credo nella Politica con la P maiuscola. Quella fatta di persone “giuste”, che lavorano con gli altri e per gli altri. Fatta di persone capaci, che parlano poco e agiscono con i fatti. Per me la politica non ha colore, se vedessi qualcuno che ha queste caratteristiche lo voterei subito. Oggi votare per me è difficilissimo. Oggi la politica è annegata in un mare di burocrazia, che annienta chi ha voglia di fare e di lavorare seriamente. Ti fanno proprio perdere la voglia. E se riescono a farla perdere a me, che una ne penso e cento ne faccio, abbiamo proprio detto tutto.
Per quale battaglia civile alzerebbe la voce?
Con chiunque mi togliesse la libertà e i miei diritti.
Quando ha intrapreso questa strada immagino avesse degli obiettivi da raggiungere: è contenta per quello che ha realizzato o ha dei rimorsi per ciò che non è riuscita a fare?
Ho l’enorme fortuna di non avere rimorsi, né rimpianti. Ho fatto delle scelte, non so se giuste o sbagliate, ma ho sempre agito in funzione di ciò che credevo giusto fare in quel momento. Non le ho azzeccate tutte, ho fatto anche sbagli, ma solo chi non fa niente non sbaglia. E se ti muovi seguendo sempre testa e cuore potrai anche accorgerti di avere sbagliato, ma non avrai mai rimorsi.
Altri impegni che l’aspettano?
Mille. L’unico problema in questo momento è il tempo. Ho già mandato una Pec per avere le giornate di 72 ore, ma non mi hanno ancora risposto!
Scherzi a parte, sto portando avanti mille progetti, sia con l’azienda principale, Brovind Vibratori S.p.A., per la quale ci stiamo trasferendo in un polo industriale di oltre 30.000 metri quadrati, con un capannone di oltre 12.000. Ho aperto l’anno scorso un ristorante e da poco un albergo a Cortemilia. A gennaio 2023 ho aperto un’altra azienda metalmeccanica.
Al momento sto lavorando su diversi progetti con azienda, comune e terzo settore, che riguardano il green, il welfare e il territorio.
Ci tolga una curiosità: il sogno più frequente che di solito fa?
Dormo pochissimo! Sono talmente stanca che non me li ricordo proprio i sogni.
A che cosa non smette mai di pensare?
Alla mia mamma. Al suo sorriso, al suo amore infinito. Mi manca tanto, era il mio pilastro. Tutta la parte estroversa e gioiosa l’ho ereditata da lei. Mi diceva sempre che nella vita a tutto c’è un perché. A volte basta un minuto, a volte un mese e a volte un anno. A volte non basta una vita intera per trovare quel perché. Ma c’è sempre. Nulla capita per caso. E allora nell’attesa sorridiamo alla vita.