Non è una storia banale. Anzi, è una storia che ti mette in difficoltà perché ti obbliga a pensare. L’amore ai tempi del covid è complicato o forse lo è sempre, a prescindere. Giada Lo Porto, giornalista, scrittrice siciliana usa le parole per descrivere ciò che abbiamo passato durante la fase più cruda dell’emergenza Coronavirus. E riflettendo sul racconto Portami ancora al mare mi viene da dire che, almeno per me, qualcosa deve morire per sempre prima di poter rinascere.
L’amore è in fondo questo: darsi e ricevere, a costo di morire d’amore. Ma, per fortuna, la vita offre seconde, terze, possibilità. Stare dalla parte giusta. Amare, capire, non dubitare. Credere, obbedire e far finta di fuggire. in un mondo che allena a maneggiare preziosità, destini compresi. E se allora il racconto di Giada si legge con gli occhi del cuore la storia emana una serenità disarmante, pure in questa grigia giornata di settembre. Perché anche se si parla di uomini il tocco della scrittrice è femminile, dunque, delicato, ironico, pungente ma stimolante. Ecco perché ciononostante i dolori, le avversità, le malinconie di una storia d’amore priva di passione, sono ottimista: ci sarà sempre qualcosa da vivere intensamente che colorerà il nostro quotidiano. Bisogna solo imparare a sbagliare senza nostalgia del passato. Tutti vorremmo la vita dei nostri sogni in un paese che esista davvero. Naturalmente dentro un castello, come nei sogni e nelle fiabe. Con i merli, le torri, i passaggi segreti e soprattutto una principessa. Ma il sale della vita è proprio l’imprevedibilità dei rapporti che genera il fuoco della passione. E’ una questione di metafisica e come tale irresolubile.
Giada la prima domanda è d’obbligo: Portami ancora al mare è una storia d’amore vera e scorretta?
Se l’amore è vero non è mai scorretto. L’amore è amore. Il problema nasce quando ci si fanno delle aspettative sull’altra persona. Capita a tutti: aspettarsi qualcosa dagli altri. Qui risiede l’errore. L’amore è libero. Ed è vero solo quando è dato senza aspettarsi niente in cambio. Ma in tutti i tipi di relazione, anche in amicizia, non ci si deve aspettare nulla in cambio. Viceversa non è amore, è un’altra cosa: possesso, aspettativa, pretesa. Questa premessa è fatta per arrivare al nocciolo della questione. Bisogna essere sinceri, veri, riuscire a dire quello che si sente davvero, nel profondo del cuore, il senso è: io sono libero di dire quello che provo o non provo, tu sei libero di restare o andare via. Possiamo anche diventare due estranei ma conta essere sinceri. È così che funzionano i rapporti. Non è semplice da attuare, non lo fa quasi nessuno, ci vuole tempo per imparare a osservare, ci vuole cura nei dettagli, ci vogliono le batoste, e ci vuole la disponibilità a mettere da parte il proprio egoismo, sono pochissime le persone che oggi riescono a essere spontanee e non comprendono che è proprio la spontaneità la qualità più bella che una persona possa avere. Portami ancora al mare è una storia di affetto lungo vent’anni, una storia delicata, è amore, vero, solo che uno dei due deve ancora capirlo, così in nome di quella libertà di cui parlavo prima, l’altro si allontana, ci si perde, e forse quando lo capirà sarà il momento a essere sbagliato. O forse no.
La scintilla che ha fatto scoccare questo viaggio?
È nato in quarantena, un sabato sera in cui eravamo tutti, o quasi, collegati su Facebook a vedere l’ennesima diretta di Conte a ora di cena (magari qualcuno stava pure preparando la pizza). Scherzi a parte ho pensato: siamo tutti nella medesima situazione, è stata una sfida l’indagare cosa poteva partorire in questo periodo l’animo umano, ho aperto una pagina word, è stato un flusso ininterrotto, l’ho terminato in poco meno di due mesi. Il contesto attuale è solo un pretesto per raccontare cosa succede quando ci troviamo costretti a guardarci dentro, senza essere travolti da tutte le distrazioni di cui ci riempiamo nel quotidiano. La sfida è stata anche raccontarla dal punto di vista maschile, perché credo che l’uomo abbia più difficoltà della donna a fare i conti con se stesso. Ovviamente non voglio generalizzare, ci sono uomini perfettamente in grado di guardarsi dentro e capire cosa vogliono e che sanno comunicarlo benissimo, viceversa ci sono donne molto insicure e indecise. Se fossimo tutti uguali del resto, non esisterebbero i romanzi e le poesie che indagano i sentimenti e l’animo umano dalle mille sfaccettature.
La malattia, la sofferenza, il dolore ma anche l’amore, la passione, l’emozione, la gioia e la speranza provocano lacrime. Quanto bisogna versarne per essere se stessi in una società di valori usa e getta?
Tante. Le cose che ci fanno male servono a farci capire quelle che ci fanno bene. Ance in questo caso il nocciolo della questione è: scegliere di vivere quella sofferenza e imparare da essa, diventare una persona migliore, o distrarsi con altro, restare sempre lo stesso, non evolvere. La sofferenza deve essere attraversata per essere superata e per trasformare noi stessi da bozzolo in farfalla. Serve a farci crescere, a farci comprendere i nostri limiti e a superarli, ad ampliare la nostra mente, a essere compassionevoli, empatici. Solo divenendo consapevoli di ciò che si merita e di ciò che si vuole nella vita si può afferrarlo, ma questo comporta il rischio, comporta l’analisi di sé, non è da tutti, le persone di valore lo fanno e sono meravigliose per questo, quando le incontri le riconosci dalla scintilla dello sguardo, hanno sofferto e sono sopravvissute, e ora vogliono mangiarsela a morsi la vita. Tutto il resto si accontenta dell’usa e getta, come hai ben detto tu. Delle emozioni controllate. Uso appositamente l’ossimoro, perché per me non esistono emozioni controllate.
Durante la quarantena causa Covid hai mai avuto paura di non farcela?
No mai. Sinceramente, al netto del terribile periodo, l’ho vissuta come una vacanza. Sono riuscita a fare tutto quello che di solito presa dal caos quotidiano metto da parte. Come scrivere un libro ad esempio.
Perché voi donne, al di là dell’apparente fragilità, siete delle guerriere mentre gli uomini si perdono nei dettagli?
Anche qui non voglio generalizzare (anche se credo che gli uomini si perdano più facilmente). Quindi parlo dell’incapacità della maggior parte delle persone – uomini e donne – di interrogarsi, di chiedersi: ma io cos’è che voglio davvero? E prenderselo e se non è più tempo pazienza, l’importante è aver imparato la lezione. Chiedersi: Cosa merito? Ed eliminare tutto il resto. Ma molte persone accettano tutto perché stare da soli fa più paura, dovrebbero comprendere che accontentarsi per non restare da soli è la mancanza di rispetto più grande che possono farsi, così non si danno valore. Torno sul guardarsi dentro perché credo sia l’atto d’amore più grande che ognuno di noi può fare nei confronti di se stesso.
Le fasi della nostra vita ci portano sempre a dover prendere delle scelte. Decisioni da cui spesso è difficile tornare indietro. Visto dal di fuori Andrea chi identifica nella realtà?
Andrea è un indeciso, è l’esempio perfetto di chi non sa ascoltarsi. Crede di avere tanto tempo a disposizione e che la vita è tutta lì fuori per lui, così la vive senza interrogarsi più di tanto. Pagina dopo pagina però inizia a poco a poco questo percorso di lettura di sé, ho scelto un personaggio maschile di proposito, volevo mettere nero su bianco il flusso di pensieri che colpisce tutti, uomini e donne, ma che spesso negli uomini resta sospeso a metà dello stomaco e non riesce a uscire. Volevo svelarlo. E magari, chissà, che questo percorso interiore non serva al protagonista per crescere e imparare la lezione…
Storie come questa servono ad aprire gli occhi: è successo pure a Giada Lo Porto?
Servono da trampolino di lancio per capire cosa si vuole dalla vita. Qui non c’è la mia storia, perché per il modo in cui sono fatta e per i valori che ho non mi sarei mai messa in niente del genere, ci sono però tutte le emozioni e le sensazioni che si provano nella vita e in cui spero i lettori si riconoscano.
Sinossi – Andrea è un giovane medico all’ultimo anno di specializzazione in medicina interna. Ha trent’anni e una carriera spianata, è fidanzato con Irene, la figlia del suo capo, il dottor Martini, il Professore come lo chiamano tutti, un uomo tutto d’un pezzo in cui Andrea ricerca l’approvazione che gli è mancata da ragazzo visto che il padre un giorno, di punto in bianco, ha deciso di abbandonare lui e la madre. Accanto a lui per vent’anni c’è sempre stata Annalisa, sono amici da sempre, da quando facevano il bagno nella stessa vasca, sempre insieme, non adesso, non parlano da sette mesi, da quando tra loro è cambiato tutto, il falò sulla spiaggia, una birra grande per due, non si sono fermati. Pensa a lei ma è troppo rischioso mettere a repentaglio il suo futuro per il brivido di una notte, non la cerca neppure adesso che fuori c’è un nemico invisibile che mangia il respiro alle persone. Fino a quando non se la ritrova lì, stesa su un letto d’ospedale, a lottare affinché il suo corpo torni sano. Un’amicizia. Un nemico invisibile. La paura di perdersi. La voglia di ritrovarsi. Giada Lo Porto dipinge con delicatezza una storia di affetto e lealtà sullo sfondo di un’emergenza mondiale capace di stravolgere la vita di ognuno.