“Il carcere non deve essere una discarica sociale. Servono educatori, psicologi, occorre non abbandonare le persone ristrette perché in carcere entrano gli uomini, non i reati. Uscire morti dalla restrizione rappresenta una sconfitta per la convivenza civile”.
Sabrina Renna, siciliana ed esponente autonomista e componente del consiglio direttivo di Nessuno tocchi Caino, è in prima linea a difesa dell’articolo 27 della costituzione. Perché sostiene, a gran voce, che serve rispettare lo stato di diritto. “Sergio d’Elia, Elisabetta Zamparutti, Rita Bernardini conducono una battaglia imprescindibile sulla giustizia che ho apprezzato e continuo ad apprezzare perché nutrimento del nostro patto sociale democratico”.
Per fare chiarezza e andare oltre alla sterile polemica politica che spesso fa da sponda a una emergenza grave e drammatica l’abbiamo intervistata per comprendere meglio come si vive all’interno di una struttura penitenziaria. Sono tantissime le storie da raccontare di quanti vivono in cella. Attenzione la parola vivere è sopravvalutata dietro le sbarre: è duro vivere da annientati. Anche parlare, scrivere o meglio ancora urlare è utile per portare in Parlamento la nuda e cruda realtà del fine pena mai!
Sabrina Renna, il numero dei suicidi è solo uno degli indicatori sulle condizioni carcerarie in Italia?
Il suicidio é l’apice di una condizione insostenibile: sovraffollamento, mancanza di psicologi, educatori. Il detenuto é solo e da soli ci si suicida.
Sovraffollamento e condizioni igienico-sanitarie estranee a un Paese civile. Come si rimedia a questa emergenza?
Capendo che il carcere è lo strumento estremo. Dei 60000 detenuti, dovrebbero essere ristretti solo una percentuale minima. Il resto dovrebbe accedere alle misure alternative. La soluzione non é costruire nuove carceri, è superare il carcere come principale del sistema penitenziario.
In questa emergenza cosa inquieta di più?
Che si possa perdere la vita, in uno stato di diritto. Uno stato che diventa caino.
La sua denuncia è una presa di coscienza che qualcosa si è rotto tra la politica e il rispetto della dignità delle persone?
Credo che una politica che non metta al centro l’uomo non serva. Ricordiamo l’art. 27 della Costituzione: la pena non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.
Eppure, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio aveva dichiarato: “Le carceri la mia priorità. Pena non solo in cella”. Non ci sembra sia cambiato qualcosa…
Il ministro Nordio é condizionato dalle forze di governo. Non deve però tradire la cosa più importante: la sua storia.
Altra tematica sensibile è l’organizzazione delle strutture penitenziarie del volontariato che deve aiutare le persone ristrette nella formazione professionale, nell’istruzione, nel lavoro, nelle attività culturali. Siamo pronti a venire incontro a queste esigenze?
L’unica nota positiva sono proprio queste realtà che vengono dal basso. Cercando di colmare il vuoto della politica. Quest’ultima dovrebbe fornire i mezzi e non lo fa.
Ha mai pensato o immaginato un futuro inedito, innestandolo in un passato ancora rigoglioso. Un sogno, un progetto, una politica, una strategia?
Il futuro é il superamento della pena di morte e del carcere come strumento di tortura. Senza questo, non c’è futuro. Si rimane imprigionati a un passato che dovremmo scacciare via.
La Sicilia celebra ogni anno, l’anniversario della Strage di Capaci e di via D’Amelio. Falcone e Borsellino eroi per sempre: cos’è rimasto del loro percorso?
É rimasta una grande lezione oltre il sacrificio: i reati si perseguono senza rinunciare alla cultura delle garanzie. Viceversa c’è la forca: non é lo stato di diritto. Dovremmo meditare sulla loro cura nel preparare le indagini, sulla capacità di non buttare l’acqua sporca e il bambino.
Se dovesse spiegare a un ragazzino la mafia che cosa direbbe?
La mafia é figlia del sottosviluppo e della subcultura che conducono alla violenza. Si sconfigge, come diceva Bufalino, con un esercito di maestri elementari.
La rivoluzione del cuore, oggi più che mai necessaria, può anche manifestarsi in un adeguato uso del social network, alla ricerca del bene proprio e altrui?
I social sono fondamentali perché consentono un accesso democratico alle informazioni. Vanno utilizzati per veicolare buone notizie che non conducono verso il basso l’opinione pubblica. É fondamentale superare il leit motiv del “buttiamo la chiave” e combattere la mafia sul terreno della cultura.
A chi deve dire grazie per essere quella che oggi si batte per gli ultimi e le persone fragili?
A Nessuno tocchi Caino. A Sergio d’Elia, Elisabetta Zamparutti, Rita Bernardini. Al loro coraggio. A Marco Panella che li ha ispirati…
Chiudiamo con la speranza: ci può raccontare qualche storia positiva che ha vissuto sul campo?
Ne potrei raccontare tante. Detenuti ostativi che entrano in carcere con la 5 elementare, oggi sono laureati. Con loro puoi parlare di filosofia, di coscienza. Se aprissimo il carcere alla società, capiremmo che il detenuto non é un mostro. É un uomo che ha sbagliato. Non c’è il bene e il male. Quello é il manicheismo, un cancro da scacciare via.