Ricorre la Giornata Mondiale dell’obesità, una malattia severa che colpisce sempre di piu’ anche i giovanissimi con conseguenze sulla durata e qualità della vita molto importanti. A questo quadro negativo vanno ad aggiungersi gli ultimi studi internazionali, che a un anno dall’esordio della pandemia hanno ampiamente dimostrato un rischio maggiore per tali pazienti di sviluppare una forma grave di infezione da Sars- CoV- 2 fino a determinare la morte. Dell’entità del problema in Italia, dello stigma che ne deriva ma anche delle terapie chirurgiche in grado di risolvere il problema nei grandi obesi, l’agenzia di stampa Dire ha parlato con il professor Paolo Gentileschi, Direttore del Dipartimento di Chirurgia Bariatrica e Metabolica dell’Ospedale San Carlo di Nancy di Roma.
– Qual è la situazione relativa all’obesità nel nostro Paese? E che ruolo gioca la prevenzione?“
L’obesità è considerata una malattia epidemica con una incidenza molto alta nella popolazione italiana. Basti pensare che da dati Istat piuttosto recenti si stima che un terzo degli italiani, pari al 35%, è in sovrappeso mentre un 10% è affetto da obesità grave. L’obesità grave si basa su un indice internazionale di massa corporea superiore a 35. Seppur registriamo delle variazioni a seconda delle Regioni, i dati sono piuttosto costanti con una frequenza maggiore che si registra al Sud rispetto al Nord. Dati altrettanto preoccupanti sono quelli relativi all’obesità adolescenziale, perché abbiamo alti indici di incidenza della malattia che porta gravi conseguenze cardiovascolari, metaboliche, respiratorie, digestive e tumorali che incidono sulla stessa sopravvivenza dei pazienti. La prevenzione dunque è la prima arma e si basa su alcuni capisaldi essenziali quali la dieta, iniziata in età infantile per poi essere proseguita in età adulta, nonché il cambiamento degli stili di vita. Dunque è altrettanto fondamentale l’esercizio fisico continuo, seppur non intenso, per ridurre l’incidenza dell’obesità. Qualora non si riesca ad affrontare il problema con queste armi, interviene la terapia chirurgica”.
– Molti studi hanno evidenziato che la presenza di obesità aumenta il rischio di complicanze e anche la morte in persone affette da Covid-19. E’ così?
“Assolutamente sì. Abbiamo dei dati inconfutabili che ci provengono da molti lavori scientifici internazionali. L’infezione da Coronavirus sappiamo essere più grave in particolari categorie di soggetti che sono gli anziani, i fragili e anche gli obesi. Si è visto che i pazienti positivi al virus e obesi si ammalano di più e gravemente rispetto al resto della popolazione generale”.
– Lei dirige il Dipartimento di Bariatrica che si avvale di una equipe multidisciplinare. Che tipo di interventi vengono effettuati e quali sono le nuove tecniche usate? E quali sono le figure che entrano in gioco per prendere in carico il paziente a 360 gradi?
“La chirurgia dell’obesità deve essere eseguita in istituti che abbiano la possibilità di avere una equipe multidisciplinare. Le figure in gioco nel trattamento sono l’obesiologo, che quasi sempre è un endocrinologo, poi il nutrizionista, il chirurgo e lo psichiatra. Poi sono altrettanto importanti lo pneumologo, il cardiologo, il radiologo e l’anestesista che intervengono in seconda battuta quando il paziente è stato ritenuto idoneo all’intervento chirurgico. L’equipe multidisciplinare valuta se non esistono controindicazioni mediche o psichiatriche all’intervento, se c’è un buon consenso informato ovvero se il paziente comprende quel che deve fare. Altrettanto importante è seguire il paziente con i follow up dopo l’intervento stesso. I controlli post operatori sono fondamentali alla riuscita dell’intervento. Dal un punto di vista chirurgico, nel nostro centro d’eccellenza – come tutti quelli associati alla Sicob – eseguiamo tutti gli interventi, a partire dai più semplici come il bendaggio gastrico, quello per via endoscopica, resezione gastrica o l’esecuzione di bypass gastrointestinali che servono a creare una restrizione ma anche un malassorbimento dei nutrienti. Quindi il paziente perde peso perché non assorbe quello che mangia. La chirurgia è complessa ma eseguita ormai solo in via laparoscopica quindi è minivasiva. Quest’ultimo elemento è fondamentale perché permette al paziente di mettersi in piedi in maniera precoce e di camminare, vista l’assenza di dolore dal giorno dopo e dopo due di essere dimesso dall’ospedale. Meno l’intervento è invasivo, più il paziente lo tollera e torna a casa senza problematiche particolari”.
– Esiste il problema della prevenzione. Infatti si sente sempre parlare dell’importanza di uno stile di vita attivo e di una alimentazione sana ma nella realtà la popolazione è sedentaria e si nutre in modo scorretto. Quali sono i consigli concreti e utili che vuole offrire a chi ci segue per scongiurare l’obesità ma anche il sovrappeso?
“L’obesità, ribadisco, è una malattia. Oggi per fortuna siamo lontani dall’idea di colpa che veniva inflitta a questi pazienti tempo fa e cioè di essere così obesi perché non in grado di seguire diete e fare attività motoria. Bisogna invece considerare che ci sono delle persone che non sono realmente in grado di eseguire attività fisica perché non ‘ce la fanno proprio’. Anche dal punto di vista dietetico molti pazienti che sono sottoposti a diete ben fatte non riescono comunque a perdere peso. Quindi ci sono dei meccanismi biologici che noi ancora oggi non conosciamo e quindi non esiste in realtà a tutt’oggi una dimostrazione chiara di quella che è l’eziopatogenesi, ovvero la causa della patologia. E’ chiaro che una volta che si è instaurata l’obesità bisogna fare in modo che il paziente venga messo nelle migliori condizioni di perdere peso. Quindi dieta e attività fisica. Ma per tutti i grandi obesi, cioè che coloro che hanno un indice di massa corporea molto alto, non sono molti che riescono a risolvere il problema in maniera conservativa e cioè senza intervento chirurgico: parliamo di una percentuale inferiore al 5% dei casi. La chirurgia dell’obesità è una terapia. Purtroppo c’è scarsa conoscenza anche tra il personale medico e tra i medici di medicina generale del fatto che le conseguenze dell’obesità possono essere molto serie. Bisogna che a tutti i livelli venga innalzato il livello di conoscenza di questa patologia. Non bisogna perciò stigmatizzare il paziente obeso e occorre non metterlo in condizione di isolamento sociale. Tutto questo affinché il paziente venga indirizzato verso un intervento che migliora e allunga la durata della vita”.