Nechita è arrivata in Italia dalla Romania 15 anni fa. “Scrivo per il grande popolo degli invisibili”. E sul suo impiego di assistente familiare rivela: “Mi mettevo al pc quando la signora che aiutavo dormicchiava” Antioco Fois, Repubblica.it.
Liliana Nechita è nata nel 1968 in Romania, vive in Italia da più di 15 anni . Esordisce nel 2013 con un libro sul drammatico fenomeno migratorio delle donne e delle madri romene, Cireşe amare, che ottiene grande attenzione da parte del pubblico e della critica, pubblicato in Italia nel 2017 dall’editore Laterza con il titolo “Ciliegie amare”. Nel 2013 in Romania le viene conferito il Premio Donna dell’anno per la promozione e la difesa dei diritti delle donne. I suoi libri sono tutti caratterizzati da forti tematiche sociali e impegno civile: “Bambole di fango” (2019) e “Piccola mamma” (2020), suo primo lavoro scritto in lingua italiana. Împărăteasa è stato pubblicato nel 2017 in Romania e ora approda in Italia con il titolo “L’imperatrice”.
“Scrivo per il grande popolo degli invisibili. Sono una cenerentola che nei libri ha trovato la sua salvezza, ma là da qualche parte ci sono tanti altri senza voce. Mi raccomando, questo lo scriva”.
Liliana Nechita risponde dalla sua casa di Terni. La scrittrice 53enne, nata in Romania, abita in Italia da 15 anni, dove per vivere ha fatto la badante. Un amore sconfinato per la lettura, suo rifugio più intimo, è autrice di diversi libri, tradotti in italiano, tutti al servizio di tematiche sociali e impegno civile. L’ultimo, “L’imperatrice”, sta uscendo in Italia per Fve editori.
Dopo il primo lavoro, “Ciliegie amare”, poi pubblicato in Italia da Laterza, ha ricevuto in Romania nel 2013 il Premio Donna dell’anno per la promozione e la difesa dei diritti delle donne. Quindici anni fa è arrivata in Italia, un percorso tra speranza e sofferenza. “L’ho fatto per Nina e Raluca, le mie figlie. Per farle studiare, per mandare i soldi a casa ogni mese. La fabbrica di abbigliamento dove facevo il tecnico di produzione aveva delocalizzato. Ero una madre divorziata, è stata un’amica a portarmi qua. Non sapevo l’italiano, ma amavo l’Italia, l’arte e la cultura che avevo studiato al Liceo filologico”.
Non voleva lasciare la Romania?
“Piangevo, non mi rassegnavo a quella separazione terribile, ma la mia amica mi disse: ‘Potrai vedere il Colosseo. Come una bambina ho risposto: ‘Davvero potrò vederlo? In televisione avevo visto un servizio su Eurochocolate a Perugia e pensavo: ‘Beati, vivono tra fiumi di cioccolato’.
E invece?
“E invece mi sono ritrovata in Basilicata, sulla cima di una montagna, a fare la badante in una casa dove non c’era nemmeno un libro. Non avevo il giorno libero, il mio momento di svago era uscire a gettare via la spazzatura. L’unico testo a disposizione era un almanacco, che leggevo di nascosto da quando la padrona di casa mi aveva detto: ‘Leggi? Credi di essere una signora?’.
Sono andata via e la prima tappa è stata Roma, per vedere la Pietà di Michelangelo. Poi i Musei vaticani e tutta Firenze. Era come togliermi di dosso la polvere della quotidianità, per entrare in un’altra dimensione”.
Si è stabilita in Umbria e ha pubblicato il primo libro.
“Prima a Perugia, da una famiglia molto sensibile. Mi ha aiutata, regalandomi un vecchio computer e mi incoraggiava: ‘Vedrai, un giorno arriverà la televisione’. Così è stato, ‘Ciliegie amare’ ha fatto il boom in Romania e una troupe della televisione di Stato è venuta a intervistarmi per un documentario sull’esodo delle mamme in Italia.
Com’è riuscita a conciliare il lavoro di assistenza agli anziani con la scrittura?
“Appena avevo un attimo dal lavoro mi rifugiavo nella lettura e scrivevo. Anche l’ultimo libro l’ho scritto lavorando a ore da una famiglia. Il pomeriggio, quando la signora che assistevo dormicchiava, aprivo il portatile e mi mettevo all’opera”.
Singolare che una badante faccia la scrittrice o che una scrittrice faccia la badante?
“Singolare che si giudichino le persone per il lavoro che fanno. Assisto gli anziani perché non riesco a trovare un impiego come commerciale con l’estero, anche se in Romania ho maturato un’esperienza di venti anni. Fare la badante è un marchio, quando cerco un’altra occupazione non mi prendono in considerazione. Sono rimasta senza lavoro e ho messo un annuncio su Internet, sempre come badante”.
Da dove nasce l’amore per la lettura?
“Il rapporto con i libri c’è sempre stato. Era l’unica cosa che avevo durante il regime di Ceausescu e continuiamo a esserci. In biblioteca a Perugia non riuscivo a fare la tessera perché il sistema non prevedeva il lavoro di badante. Poi sono riuscita ad avere in prestito ‘Novelle per un anno’ di Pirandello e mi è sembrato di volare. Quando torno dalle visite in Romania distribuisco libri a tante donne che fanno le pulizie. Mi chiedono di portare loro Platone o Amos Oz. A Terni ho trovato mio marito, Nicola, direttore di tipografia in pensione e appassionato di fotografia. Abitiamo vicino alla biblioteca, dove ho fatto amicizia col personale”.
Fare la scrittrice diventerà la sua occupazione principale?
“Non posso dire di fare la scrittrice perché dai miei libri non guadagno abbastanza. Scrivere non è un mestiere, è avere qualcosa da dire.
Nei suoi libri racconta di sé?
“Le ‘ciliegie amare’ sono piccole lettere dove racconto la sofferenza del distacco e della lontananza da casa. Confidenze che non si vorrebbero fare nemmeno alle persone più care”.
Ne “L’imperatrice” descrive una Romania intrisa di un’atmosfera grigia. La “vita a colori” emerge solo quando parla della consapevolezza e della capacità di autodeterminazione di Olga, sua suocera, la protagonista del romanzo.
“Quando avevo dieci anni interrompevamo l’anno scolastico per lavorare nei campi. Il comunismo ha lasciato un’impronta su tutti noi. Solo a casa di Olga si percepiva un po’ di colore. Mia suocera diceva: ‘Se avessi studiato di più sarei stata imperatrice. Forse aveva ragione, se ci fosse ancora sarebbe orgogliosa di me. Il libro è un omaggio ai valori della vita contadina. Olga viveva in campagna, l’unica isola libera dalle imposizioni del regime, dove le persone seguivano solo le regole della terra, liberi dalle logiche di governi e partiti”.
Parlerà ancora di questo nel suo prossimo libro?
“Probabilmente si intitolerà ‘La libertà è come un buccia d’arancia. Una volta, quando ero bambina, mia madre tornò a casa piena di entusiasmo perché in strada aveva visto una buccia d’arancia. Da qualche parte c’erano ancora le arance, qualcuno a Focsani, nella nostra città, le stava mangiando. Scrivo per non dimenticare quanto è brutto sottostare a una dittatura e nel mio nuovo progetto posso contare su una casa editrice che crede in me”.