A volte inciampi in una storia mentre ne segui un’altra. L’incontro (virtuale) con l’avvocato Stefania Crespi, penalista cassazionista milanese, esperta in diritto penale della famiglia e, in particolare, di violenza domestica e stalking è uno di quei fortunati eventi che merita di essere raccontato. Uno dei prossimi libri che vorrei scrivere avrà come sfondo la violenza sulle donne. Un fenomeno complesso, che assume diverse forme.
Se quella fisica (strattonare, picchiare, colpire, ecc.) o quella sessuale (per esempio costringere a un rapporto non consensuale o a pratiche sessuali non condivise) possono essere più facili da identificare, molto più complesso appare riconoscere la violenza psicologica (per esempio le svalutazioni quotidiane, la gelosia e il controllo, l’isolamento progressivo, ecc.) o quella economica (come impedire al/alla partner di disporre del proprio denaro o di acquisire autonomia per esempio tramite un lavoro). Ogni giorno si allunga la catena di delitti, stupri, che nessuna panchina rossa o le di scarpe scarlatte come il sangue riesce a spezzare.
Legami tossici, mai affettivi. Sottoculture che negano a chi nasce femmina libertà e dignità. Ogni giorno troppe donne, in famiglia, sul lavoro, subiscono umiliazioni: persecuzioni maniacali, avances ricattatorie, percosse, stipendi ridotti, licenziamenti ad hoc che impediscono il traguardo dell’autonomia, l’aspirazione naturale a una famiglia. E poi la paura, il buio.
Occorrerebbe in questo senso un’educazione all’affettività e alla sessualità che parta dalla scuola e dalla famiglia in grado di “attrezzare” le persone alle relazioni sane, insegnando loro il rispetto di sé e dell’altro. Questo permetterebbe anche di decostruire pericolose visioni dell’amore e delle sue caratteristiche, per esempio il fatto che la gelosia sia un segnale di attenzione e solidità del legame o che l’amore significhi sacrificio di sé e fusione totale con l’altro/a.
Avvocato Crespi, i freddi numeri dei femminicidi ci dicono che dal 2000 a oggi è costata la vita a più di tremila donne nel nostro Paese: in media in Italia ogni 2 giorni una donna viene uccisa dalla violenza di un compagno, un marito, un amico… Cosa altro si deve aggiungere?
Esatto, cosa si può aggiungere? Il femminicidio è la punta dell’iceberg. Prima di un femminicidio, generalmente, si realizzano altri comportamenti delittuosi: occorre agire proprio in questa fase. Occorre prevenire. E in quest’ottica è necessaria l’educazione dei bambini e dei giovani. Per questo intervengo spesso nelle scuole: parlare ai bambini e adolescenti è essenziale in un’ottica preventiva. I risultati pubblicati da Fondazione Libellula sono terribili. Ne cito alcuni: Toccare o Baciare una persona senza il suo consenso per 1 adolescente su 5 non è violenza, come non lo è inviare messaggi insistentemente, chiamare tantissime volte o geocalizzare (quasi 1 adolescente su 3). Il 14% dei ragazzi (e il 2% delle ragazze) non ritiene sia violenza costringere una persona a un rapporto sessuale. E poi ci stupiamo dell’aumento dei femminicidi?
Se l’uomo continua ad avere un atteggiamento oppressivo, ossessivo e violento, perché la donna fatica a uscire da questa sorta di “dipendenza affettiva”?
In questo caso specifico vi è una relazione tra i soggetti, quindi i reati collegati sono violenza domestica e stalking (relazionale). Nel primo caso c’è convivenza, nel secondo invece no. Non sempre c’è dipendenza affettiva (che impedisce o rende difficile la cessazione della relazione), ma spesso c’è paura: timore delle conseguenze che si potrebbero subire lasciando il proprio fidanzato o compagno.
Perché le donne fanno fatica a parlare, a denunciare?
In primo luogo per paura: in caso di stalking, le vittime hanno timore che gli atti persecutori aumentino. Se si è vittime del reato di maltrattamenti, si prova paura perché il convivente denunciato potrebbe realizzare condotte ancora più violente.
Oltre alla paura, vi sono altri motivi: l’aver imparato a gestire le situazioni problematiche o perché il fatto non era giudicato grave, la sfiducia nelle forze dell’ordine, la vergogna. Infine molte vittime provano il timore della vittimizzazione secondaria (victim blaming).
La violenza di genere è figlia di un certo terreno culturale. Cosa è cambiato, ammesso che sia cambiato qualcosa, nei comportamenti maschili?
Io penso che gli uomini partecipino molto di più alle attività dei figli e alla gestione familiare rispetto al passato. Detto questo, un soggetto violento deve ammettere di esserlo, farsi aiutare, fare percorsi. Coloro che lavorano nei centri per uomini maltrattanti segnalano proprio la difficoltà per gli stessi di definire ’violento’ il loro comportamento, ritenendolo, al contrario, normale.
L’escalation di femminicidi è un fatto reale, o in passato succedeva comunque e se ne parlava poco?
Certamente c’è sempre stato, ma non disponevano di numeri. I numeri degli ultimi anni parlano chiaro: sono aumentati (in modo considerevole) e se ne parla molto di più.
Le cronache giudiziarie raccontano che spesso la farraginosità delle procedure, che i magistrati devono applicare, «a volte lega le mani». C’è qualcosa da cambiare o va bene così?
Gli strumenti ci sono. Vanno applicati (e correttamente). Faccio un esempio: i braccialetti elettronici. I casi che si sono verificati in meno di un mese a Torino San Severo e Civitavecchia per il mancato funzionamento degli stessi sono gravissimi. Roua è stata assassinata dal suo ex, nonostante lui avesse il braccialetto elettronico, che – per un guasto tecnico – non ha funzionato. Celeste aveva ricevuto varie minacce di morte dal suo ex a cui era stato installato il braccialetto elettronico ma non è stato inviato l’allarme ed è stata uccisa. Camelia, vittima di violenza domestica per anni, aveva denunciato il suo ex compagno e per questo gli era stato applicato il braccialetto elettronico. Camelia è stata uccisa perché il dispositivo non ha funzionato. Sul funzionamento dei dispositivi è stata chiesta un’audizione urgente in commissione Femminicidi per Fastweb e per il Ministro degli Interni. Ci sono 20.000 falsi allarmi al giorno e ciò compromette l’efficacia dell’intervento delle Forze dell’Ordine nei casi di reale pericolo.
Il 25 novembre si diventa tutti più buoni, etici e solidali, quasi fosse il Santo Natale. Cosa le dà più fastidio: l’ipocrisia buonista delle istituzioni o l’indifferenza per il dolore delle vittime quando i riflettori si spengono?
Premesso che occorrerebbe parlare della violenza contro le donne non solo il 25 novembre, premesso che le panchine e le scarpe rosse non servono concretamente, tuttavia come si dice a Milano “Piutost che nient, l’è mei piutost !”. Sono appena andata in una scuola che si trova in una delle più belle piazze di Milano: i ragazzi hanno sistemato lì una panchina, dipingendola di rosso e metteranno una frase. Ne sono stata felice. Ribadisco la rilevanza della prevenzione attraverso l’educazione dei ragazzi.
La libertà in una parola?
Più che una parola, una frase di Gabriel García Márquez: “L’amore non è una gabbia, così come libertà non significa stare da soli. L’amore è la libertà di volare insieme. È lasciar essere, senza possedere”.
Seguendo tanti casi di stalking relazionale, questa frase è essenziale.