di ANDREA FILLORAMO
Per capire quello che sta succedendo in Italia con l’apparizione di un personaggio come Matteo Salvini alla guida di un partito, che, dopo essersi proclamato pagano e anticlericale nel suo primo periodo di vita, adesso si riscopre difensore delle radici cristiane e fa campagna elettorale sul Vangelo, brandendo crocifissi, votandosi al “Cuore Immacolato di Maria”, occorre necessariamente andare indietro di molti anni, anzi di secoli e ricostruire, anche se in sintesi, la storia del Cattolicesimo italiano.
Partiamo, quindi, dall’inizio del Cinquecento quando la Chiesa Cattolica attraversava una crisi profonda, determinata dalla corruzione di molti ecclesiastici, che sceglievano la vita religiosa solo per avere potere e ricchezza. Fu allora che tra i cristiani si diffuse un desiderio di RIFORMA, cioè di un rinnovamento della Chiesa, “in capite et in membris”.
Una delle cose più scandalose fu “la vendita delle indulgenze”, quando, cioè, papa Leone X, per la costruzione della basilica di San Pietro a Roma, previo pagamento concedeva delle indulgenze e, quindi il perdono dei peccati.
Questo fu uno dei motivi che determinò la protesta di MARTIN LUTERO, un monaco agostiniano, professore di teologia.
Ha avuto così inizio quella che è chiamata la “Riforma protestante”, che ha portato ad una separazione di diverse nazioni dalla Chiesa Cattolica.
Ciò che è avvenuto altrove non si avverò, però, in Italia, sede del Papato, che è stata toccata solo marginalmente dalla Riforma, anche per il rigore della cosiddetta Controriforma Cattolica, che in modo drastico, accentuò, in Italia, il clima di intolleranza.
Si affermò allora il principio che occorreva limitare i diritti soggettivi e subordinarli sempre e dovunque alla dottrina cattolica, che dettava le norme che regolavano la vita di ciascuno.
Tali norme hanno avuto un ruolo importante anche nella vita politica e hanno, così, influenzato le istituzioni, intervenendo in modo sistematico su diversi aspetti della vita pubblica. Inoltre, in un singolare intreccio, conflittuale ma anche complementare fra Stato e Chiesa, si è sviluppato un rapporto articolato e complesso che ha determinato la variegata realtà della società italiana.
Non poche, in realtà, sono state le voci che si sono alzate contro questo modo di vedere la Chiesa e lo Stato in rapporto fra di loro e ciò fino all’affermarsi della modernità e della secolarizzazione, in cui si affermava, in particolare durante il periodo dell’Illuminismo, il pensiero laico, cioè quel pensiero, che, in senso politico, sociale e morale, affermava lo stato di autonomia e indipendenza rispetto ad ogni condizionamento ideologico, morale o religioso altrui o proprio.
Dopo quel periodo, il principio di laicità rappresenta per tutti il principio secondo cui le decisioni umane devono essere basate solo su considerazioni che discendono da dati di fatto, in quanto questi sono slegati da opinioni personali.
Generalmente quando si parla di principio di laicità, ci si riferisce alla laicità dello Stato e delle Istituzioni per indicare lo stato di neutralità e separazione del sistema istituzionale nei confronti delle convinzioni religiose e delle religioni, inteso, quindi, come autonomia dello Stato, aconfessionalità e neutralità dell’ordinamento giuridico e completo controllo temporale dello Stato, capace di limitare le ingerenze religiose e garantire la libertà religiosa individuale, senza tuttavia al contrario imporre uno stato etico.
Su queste basi si dovrebbe, dunque, rivedere il rapporto tra Cristianesimo e modernità inquadrandolo nel “processo di razionalizzazione”.
Tale è stata sempre, almeno a parole, la posizione della Conferenza Episcopale Italiana, anche se, più volte la CEI ha “scantonato” da una posizione che sembrava e doveva essere acquisita.
Tale è stata la posizione anche dell’Azione Cattolica e di qualche altro movimento cattolico.
Questa visione fu anche di un partito almeno statutariamente che era la Democrazia Cristiana, che ha occupato un ruolo centrale sia nella storia del cattolicesimo italiano – e, più in generale, dei cristiani d’Italia – sia nella storia del paese nel suo complesso.
Nell’intenzione del suo fondatore, don Sturzo, infatti, non doveva essere un partito politico come tanti altri che, in numero assai cospicuo, sono emersi nel corso della storia unitaria, ma un partito, totalmente laico, anche se si ispirava alla dottrina sociale della Chiesa.
Per un cinquantennio, da una parte, la Democrazia cristiana è stata, però, il partito che ha goduto del sostegno della gerarchia ecclesiastica e ha raccolto gran parte del voto cattolico: malgrado le profonde evoluzioni del rapporto tra mondo cattolico e partito democristiano, questo legame è sopravvissuto in parte fino alla fine. In nessun’altro periodo di tale storia i cattolici hanno avuto un ruolo così importante nella vita politica, hanno influenzato tanto le istituzioni, sono intervenuti in modo così sistematico su diversi aspetti della vita pubblica.
Inoltre, intorno a questo partito – in un singolare intreccio, conflittuale ma anche complementare, con gli altri grandi partiti di massa – si è sviluppato un rapporto articolato e complesso tra istituzioni politiche e la variegata realtà della società italiana, che ha conferito una peculiare solidità alla cosiddetta Prima repubblica, sconosciuta a periodi precedenti e successivi della storia unitaria.
Giungiamo così a Matteo Salvini e alla sua svolta religiosa, almeno quella pubblica, che ha una data precisa: 24 febbraio 2018, a pochi giorni dalle elezioni che più tardi gli diedero il governo e il Viminale, quando chiuse la campagna in Piazza del Duomo a Milano estraendo una rosario e giurando di «servire il mio popolo con onestà e coraggio, giuro di applicare davvero la Costituzione italiana. E giuro di farlo rispettando gli insegnamenti contenuti in questo sacro Vangelo. Io lo giuro, giurate insieme a me?…». Ricordiamo che poco prima aveva ricordato, con Benedetto Croce, perché «non possiamo non dirci cristiani».
L’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, non sembrò apprezzare, e chiese che «nei comizi si parli di politica», mentre Mario Adinolfi, leader del Popolo della Famiglia, consigliò a Salvini «prima di giurare sul Vangelo, di leggerlo. Non scherzi con il Vangelo e il Rosario. Non sono l’ampolla delle sorgenti del Po».
Leggo in Italialaica.it: “Salvini, alla guida di un partito, che dopo essersi proclamato pagano e anticlericale nel suo primo periodo di vita, adesso si riscopre difensore delle radici cristiane e fa campagna elettorale sul Vangelo brandendo crocifissi, è una costante fonte di vergogna per ogni prete di strada che ogni giorno aiuta ragazzi di ogni nazionalità nel suo oratorio. D’altra parte, la mossa della Caritas che si dice felice di accogliere i profughi delle navi bloccate più o meno illegalmente da Salvini è il minimo che ci si poteva aspettare”.
Continua ancora Italialaica: “Ecco, pensare che in quarant’anni di governi democristiani non avevamo mai assistito a populisti che giuravano sul Vangelo o brandivano feticci religiosi per raccoglier voti, deve far riflettere, perché adesso la situazione non può che peggiorare. L’incapacità della Chiesa di dire chi è «dentro» e chi è «fuori» i suoi canoni, la volontà di tenere i piedi non in due ma in venti staffe senza nessuno che vada a prendere per un orecchio il Salvini di turno dicendogli che se vuole fomentare l’odio verso i migranti non lo deve fare in nome di Cristo, o, se si stabilisce che la ragione «teologica» è dall’altra parte butti fuori dagli oratori tutti gli immigrati irregolari, rende la figura del Papa e della Chiesa priva di ogni residua autorevolezza”.
La smetta, quindi, Matteo Salvini a ingannare gli italiani attraverso retoriche elettoralistiche vergognose, alle quali abboccano quanti sono lontani anni luce da una anacronistica visione della vita cristiana.