Non potevano passare inosservate le pesanti e infelici esternazioni sul lavoro e la questione giovanile del presidente del Consiglio Mario Monti e dei suoi ministri. Niente di straordinario, hanno detto cose sapute e risapute, fuori tempo massimo, soprattutto quello che i giovani non possono aspettare il posto fisso e vicino casa, magari sotto la gonna di mammà. Ormai sono consapevoli anche i giovani che la globalizzazione costringe a darsi da fare e che sono finiti i tempi delle “vacche svizzere”. Forse queste esternazioni un merito l’hanno avuto, quello di accendere finalmente un dibattito sulla questione giovanile, che non sia quella sulmestiere di velina o all’età dell’emancipazione sessuale. Sul tema ho trovato interessante le riflessioni di Giampaolo Pansa su Libero, del professore Luca Ricolfi su La Stampa e di Roberta Vinerba su La Bussolaquotidiana.it. apparentemente potrebbero essere contradditori, masicuramente utili per inquadrare il problema anche se come ha scritto un frequentatore di facebooki problemi giovanili sono molteplici e di molteplici origini… Andiamo per ordine. Comincio dalla riflessione che forse provoca di più, quella di Pansa. I giovani, i figli scrive sono stati ingannati proprio dai loro genitori, dai partiti e dai sindacati. E si mette nei panni di un giovane d’oggi e scrive: “saprei bene con chi prendermela, e chi picchiare, se fossi un ragazzo italiano sui venticinque anni”. I primi colpevoli della crisi giovanile per Pansa sono i genitori che volevano a tutti i costi un figlio laureato, anche se lui era uno studente svogliato. Guai a pensare di fargli imparare un mestiere: il falegname, l’idraulico, il fabbro o l’elettricista, sono mestieri da poveracci e poi uno così non avrebbe trovato mai una ragazza.Così lo hanno lasciato andare avanti anche se prendeva voti bassi e quando si sono resi conto che non gli piaceva studiare, che odiava i libri e gli esami, avrebbero dovuto dirgli basta e impara un mestiere che ti aiuti a campare. Non bisogna pestare solo i genitori, ma anche i capi delle università che “hanno lasciato ingrossare corsi che servivano soltanto a mantenere delle cattedre e dei professori. Non hanno bloccato gli studenti che correvano ad iscriversi, avvertendoli: guardate che qui fabbrichiamo soltanto disoccupati. Laurearsi in storia, lettere e filosofia, psicologia, scienze della comunicazione, sociologia, per fare soltanto qualche esempio, non vi aiuterà mai a trovare un lavoro”. (Giampaolo Pansa, I genitori hanno ingannato i loto figli: più del prof Monti, picchiati sindacati e papà, 4.2.12, Libero).Tesi simili li scrive Paola Mastrocola, nell’ottimo libro, Togliamo il disturbo. Altri da pestare sono i partiti e i sindacati: “quando vedo i loro capi gridare alla televisione che è stato rubato il futuro ai giovani, mi verrebbe voglia di aspettarli sotto casa”. Sono pochi quelli che hanno cercato di aiutare i giovani, magari dandogli consigli giusti, scegliere un istituto tecnico che li addestri a un mestiere: “avete mai incontrato un idraulico o un elettrotecnico disoccupati? Io mai – scrive Pansa – E un esperto di coltivazioni agricole, uno che sa tutto di uliveti e di vigneti, l’avete mai visto a mani vuote? Io no”. Pansa incalza: “purtroppo, i partiti e i sindacati sono vecchie cattedrali zeppe di celebranti superati: cardinali, vescovi, parroci rimasti fermi a un tempo che non esiste più. Dovrebbero spiegare ai loro iscritti e ai loro elettori che anche l’Italia, come il resto del mondo, è coinvolta in una gigantesca rivoluzione culturale. Che cambierà il senso di parole antiche: lavoro, posto fisso o mobile, pensione, titolo di studio, attitudine a svolgere una professione piuttosto che un’altra”. Il giornalista conclude consigliando i giovani a studiare molto e a darsi da fare. Il prof. Ricolfi , sulla disoccupazione giovanile offre dei dati originali: non sono 1 su 3 i giovani disoccupati, non il 33%, bensì il 7,1% della popolazione, in pratica negli altri Paesi europei sono molto di più. I media italiani dimenticano che si sta parlando “di una minoranza attiva (1 giovane su 4), e si parla del tasso di disoccupazione giovanile come se descrivesse la condizione dei giovani in generale, anziché quella dei giovani che hanno scelto di lavorare”. Le tesi di Ricolfi mi sembrano interessanti, però non incontrano il favore dei media, proprio perché controcorrente: “L’anomalia dell’Italia non è che i suoi giovani non trovano lavoro, ma il fatto che non lo cercano. Fortunatamente non sono presidente del Consiglio, e quindi non sarò costretto a smentire quella che – detta da un politico – suonerebbe come una tremenda gaffe, ma che invece è la pura verità: nel confronto internazionale i nostri giovani si distaccano da quelli della maggior parte dei Paesi avanzati non certo perché più colpiti dalla tragedia della disoccupazione, ma precisamente per la ragione opposta: perché ritardano enormemente il loro ingresso nel mercato del lavoro”. (Luca Ricolfi, Disoccupati e la strada verso il nulla, 5.2.12, La Stampa).
Ricolfi ricorda che negli altri Paesi ci si laurea a 22-23 anni e si comincia a lavorare presto, in Italia, invece, ci si laurea tardi, spesso in prossimità dei 30 anni, e si comincia la ricerca di un lavoro a un’età in cui negli altri Paesi si è accumulata una cospicua esperienza professionale. In più, i giovani italiani, sono molto indietro nei livelli di apprendimento e hanno maggiori difficoltà a conseguire una laurea, per quanto a lungo ci provino. E infatti la gioventù italiana un primato ce l’ha: è quello del numero di giovani perfettamente inattivi, in quanto non lavorano, né studiano, né stanno apprendendo un mestiere (sono i cosiddetti Neet: Not in Education, Employment or Training).
Come per Antonio Polito, anche per Ricolfi, la colpa di tutto questo non è dei giovani, ma nostra (partiti e sindacati). Sono“la generazione dei baby boomer, la prima generazione ad aver disobbedito ai padri e la prima ad aver obbedito ai figli”. Siamo stati noi scrive Ricolfi che abbiamo edificato un sistema per garantire il lavoro, l’inamovibilità, la pensione ai più organizzati fra noi stessi. Siamo noi che, nella scuola e nell’università, abbiamo permesso che si abbassasse drammaticamente l’asticella del livello degli studi, trasformando istituzioni un tempo funzionanti in vere e proprie fabbriche di ignoranza. E siamo sempre noi che, nella famiglia, «invece di fare i genitori ci siamo trasformati a poco a poco nei sindacalisti della nostra prole, sempre pronti a batterci perché venga loro spianata la strada verso il nulla». Anni fa avevo letto una paginata intera de Il Domenicale (non più in edicola) che aveva centrato il problema dei giovani traditi dai cinquantenni. Pertanto il professore torinese conclude che nessuna riforma del mercato del lavoro riuscirà a cambiare davvero le “cose se anche noi, tutti noi, giovani e adulti, non ci renderemo conto che un intero modo di pensare, un’intera mentalità tipica del nostro Paese è giunta al capolinea. Continuare come in passato non è più possibile. Far credere ai giovani che potranno godere degli stessi privilegi della nostra generazione significa solo prolungare l’inganno che ci ha condotto alla situazione attuale. Una situazione retta da un patto scellerato fra due generazioni: la generazione dei padri e delle madri, iperprotettiva e per nulla esigente, e la generazione dei figli, spensierata finché l’età e le risorse familiari glielo consentono, e disperata quando deve cominciare a marciare sulle proprie gambe”. L’ultimo intervento, è abbastanza critico nei confronti delle esternazioni dei ministri del governo Monti: ”Lor signori il posto fisso ce l’hanno da anni e non sembrano né annoiati né illusi. I loro figli sono anch’essi felicemente sistemati con posto fisso, dicono le cronache”. E’ inammissibile che un governo si permetta di insultare così pesantemente i giovani che vivono spesso un dramma. Roberta Vinerba, si sente di essere dalla parte dei giovani, anche perché è autrice di un libro, dove scrive che la precarietà e immobilità dei giovani oltre ad essere indotta dal sistema economico, è colpa di una forma mentale che affonda le radici in un relativismo etico e culturale, che mette sullo stesso piano bene e male.
Anche per Vinerba “i veri incapaci, i veri cialtroni, sono i cinquantenni, ma anche quelli più vecchi, chehanno cresciuto i propri figli facendogli credere che la vita dovesse consistere in un evitare la fatica, in un sopraffare gli altri pensando al mondo e alla società come ad un personalissimo pièd-à-tèrre, in una emancipazione da ogni tradizione e regola che arginasse il narcisismo libertario ed edonistico del voglio-tutto-subito. Coloro che sono andati in pensione a quarant’anni, quelli convinti che lo Stato, la grande mamma, dovesse pensare a tutto, che hanno investito speculando facendosi beffe di ogni regola morale in campo finanziario ed economico; coloro che hanno fatto dei sindacati un tesserificio autoreferenziale e conservatore di diritti antichi e inutili per chi il posto ce l’aveva dimentichi di chi lo cercava. Coloro che hanno vampirizzato l’economia succhiandole il sangue con una finanza perversa e pervertitrice”. (Roberta Vinerba, Non chiamateli mammoni, 9.2.12 Labussolaquotidiana.it). Concludendo, i giovani non sono fannulloni, non sono mammoni, neancheirresponsabili, quasi sempre la colpa è nostra degli adulti.
DOMENICO BONVEGNA
domenicobonvegna@alice.it