CAPITALISMO: SIAMO ALLA FINE?

Egregio Direttore,
Se l’imprenditoria capitalistica, la finanza e il sistema bancario internazionale ritengono la soppressione dell’art. 18, cioè in pratica la riduzione in schiavitù dei lavoratori, “conditio sine qua non” per fare nuovi investimenti produttivi, in altre parole se pretendono la resa incondizionata e la completa sottomissione delle classi lavoratrici ai loro diktat, significa che il capitalismo sta volgendo alla fine. Un regime che per mantenere e accrescere il benessere di pochi (i detentori dei capitali) sacrifica quello di molti (i lavoratori) si fonda evidentemente su basi di profonda ingiustizia sociale e di negazione dei principi democratici. Principi sanciti anche dalle “Dichiarazioni dei diritti dell’uomo” del 1789 (Assemblea Nazionale Costituente Francese Rivoluzionaria) e del 1948 (O.N.U.), che dalla Rivoluzione Francese in poi hanno costituito il fondamento della civiltà europea e sono stati faro di civiltà per tutte le Nazioni.
Evidentemente la nostra civiltà occidentale si sta involvendo per cedere il posto ad una “nuova barbarie”, quella capitalistica. Infatti se il Capitalismo ha generato queste macroscopiche diseguaglianze sociali, se l’economia “pura”, cioè disgiunta da ogni principio di etica sociale, non è stata in grado di dare risposte soddisfacenti ai problemi complessi che attanagliano le moderne civiltà occidentali, significa che l’attuale sistema è stato un fallimento.
E’ forse giunto il momento di pensare ad una “economia etica”, che si basi cioè non unicamente su principi utilitaristici e contabili, ma anche e sopratutto su principi etici e di armonizzazione delle varie componenti sociali.
La storia purtroppo insegna che chi troppo tira la corda spezza e che una situazione così drammatica per una parte tanto importante della società non può durare a lungo. Si è ancora in tempo per cambiare? Non lo sappiamo. Dipende dalla volontà e dalla lungimiranza dei nostri governanti e delle nostre classi dirigenti il cambiare rotta ed intraprendere politiche virtuose atte a evitare quei sovvertimenti sociali che altrimenti sarebbero inevitabili.

Giovanni Dotti – Martino Pirone