In un intervento di qualche settimana fa sul giornale online Jonia Life, l’amico Massimo Cicala mi chiamava in causa attribuendomi buone doti riflessive per eventuali dibattiti politico sociali. Lo ringrazio per l’attenzione e accetto la sua sollecitazione provando a fare qualche riflessione in merito alle prossime elezioni comunali a S. Teresa di Riva nel messinese. Intanto condivido in toto l’analisi ben fatta il 29 febbraio scorso da trinacrio, non poteva farla meglio, forse ha insistito un po’ troppo con la retorica, ma ci sono dei passaggi che fotografano l’ambiente umano e politico di S.Teresa in modo splendido. Ne cito qualcuno a proposito dei novelli candidati alla cosa pubblica: “I tanti corvi affamati nell’impaziente attesa di afferrare la preda(…) gracchiano le solite tiritere velenose (…) mercanteggiano per spuntare le migliori condizioni (…) Ricordo sempre la frase che mi raccontava un amico aspirante a sindaco da parte di un futuro candidato che gli diceva: “Avvocato Pi ‘mmia chicc’è”. Precisi anche quei passaggi di analisi psicologica sugli aspiranti politici santateresini: “I senza mestiere sono animelle che non avendo speranze di migliorare le proprie condizioni, si rifugiano nella politica, sotto l’ala protettiva dell’onorevole, cercando il sistema per continuare a vivere alla meglio sulle spalle della comunità (…)opportunisti bandiere che sventolano dove soffia il vento, tentano di azzeccare quale sarà la coalizione vincente per potersi ingraziare il Sindaco in pectore prima che salga agli onori della poltrona (…)quattro sprovveduti che hanno la goffa presunzione di fare politica, insieme con i ladri, sono i veri nemici del Popolo: forti ognuno di un pugno di ingenui voti, una volta entrati nell’aula consiliare, se non agguantano un più che laudo tornaconto, bloccano il Consiglio Comunale e di conseguenza rallentano fortemente la crescita della Città!”
Ho trovato patetiche, quasi comiche, le dimissioni di qualche mese fa, di due esponenti della giunta Morabito, non conosco i retroscena “politici”, (le mie fonti sono la tv locale, quando non egemonizza il suo tg su Taormina, e i siti online), tanto meno non sono “tifoso” di nessuno, del resto vivo da cinque anni a Milano. Comunque sia, quelle dimissioni, prima di finire il proprio mandato, assomigliano tanto a quei marinai che abbandonano la nave prima che affondi definitivamente e ancora più sconcertanti sembrano le giustificazioni dei due protagonisti, del resto in linea col malcostume a cui faceva riferimento Trinacrio. Intanto, mentre le elezioni si avvicinano, come d’incanto, sorgono come funghi le associazioni, le liste ad hoc (meglio scrivere raccoglitori di voti), con vacui programmi simili alla lista della spesa, per poi, a seguito di un’eventuale sconfitta, scomparire il giorno dopo. Brutta e deleteria abitudine quella di non impegnarsi pazientemente a fare, magari per cinque anni, una sana e costruttiva opposizione, anche perché sarebbe un diritto democratico degli elettori “sconfitti” avere un riferimento politico.
A questo punto provo a fare alcune domande elementari, del resto insegno alla scuola elementare (ora Primaria), che spero possano aiutare qualcuno a fare delle riflessioni. Semplici e nello stesso tempo domande fondamentali e magari provare a dare semplici risposte.
Comincio con la prima: che cos’è la Politica? Che significa occuparsi di Politica? Cosa significa candidarsi? Qual è lo scopo di una candidatura? Perché mi candido? Provo a farne un’altra più profonda: ho la vocazione (spero di non innescare ilarità) a fare politica? Qualche anno fa, casualmente ascoltando una trasmissione radiofonica, un noto esponente politico, ex sindaco di S. Teresa, lamentava la scarsa preparazione “politica” di certi assessori, consiglieri, come non essere d’accordo con lui. Infatti ogni cinque anni si assiste spesso, almeno per S. Teresa, a una corsa alla candidatura. Pertanto è opportuno chiedersi quali dovrebbero essere i requisiti per una candidatura, per fare il sindaco, l’assessore, il consigliere e via dicendo. Sono domande banali? Sicuramente elementari, o meglio fondamentali, che forse pochi si pongono prima di mettersi a disposizione della comunità, un passo molto impegnativo e di grandi responsabilità.
Leggiamo e sentiamo che la Politica è malata, di sicuro è in crisi, così come lo è la famiglia, la scuola, la società. E allora il problema della mala politica, è soprattutto una questione morale e culturale, diciamo etica. E’ una mancanza di uomini ben formati, una mancanza di classi dirigenti.
Da molti anni la mancanza di classe dirigente, soprattutto nel Meridione d’Italia è una emergenza ben nota, tutti ne parlano, però nessuno se ne cura, nessuno pensa a preparare uomini per la politica. Per fare il centometrista ci si allena, per fare il professore, si studia, per ogni professione ci si prepara, soltanto per la politica si improvvisa, può bastare il fatidico pacchetto di voti? Tra i tanti incontri privati e pubblici che ho organizzato insieme alla mia associazione negli anni tra il 1992 e il 2003 a S. Teresa e non solo, la questione della formazione e quindi della preparazione di uomini alla politica è stato un argomento che ho sempre privilegiato nella mia attività di animazione socioculturale (ci tengo a scrivere gratuita e volontaria).
In questi giorni mi è capitato di leggere sul sito online, zammerumaskil.com, un ottimo servizio dell’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Francesco Maria Greco pubblicato sul sito dell’Osservatore Romano del 14 marzo. L’ambasciatore presenta il libro dell’arcivescovo di Chieti-Vasto, monsignor Bruno Forte, Perché il Vangelo può salvare l’Italia.
Il libro racconta della decadenza etica dell’Occidente e quindi dell’Italia. “E’ indubbio che l’Italia viva una fase acuta di deficit etico e identitario sfociata in una contrapposizione violenta fra le forze politiche che ha portato la normale dialettica a livelli esasperati e insostenibili. Monsignor Forte prende le mosse proprio dalla crisi morale che ha investito la nostra società. La storia recente ha difatti messo in luce una progressiva distorsione del rapporto di rappresentanza fra elettore ed eletto e del rapporto di servizio fra amministratore e amministrato”.
Il deficit etico, secondo il vescovo, conduce allo «lo smarrimento delle regole minime del bene comune», a quella politica che invece di mettersi al servizio del cittadino finisce per asservire il cittadino agli interessi di oligarchie, di censo o di casta. “Ne consegue un deficit identitario, perché i cittadini, non riconoscendosi in questa politica, smarriscono anche il senso di comune appartenenza a una nazione, a un sistema, a un progetto condiviso. Da qui le pulsioni anti-politiche e anti-nazionali che attraversano trasversalmente la nostra società”.
Per monsignor Forte, c’è una sola via per contrastare questa degenerazione: una nuova pedagogia politica che torni agostinianamente a privilegiare la veritas invece che la vanitas: la prima misura le scelte sui valori etici permanenti; la seconda crea una «civiltà della maschera che indulge all’assuefazione davanti al male, al perbenismo di facciata, alla ricerca del facile consenso, al consumismo esasperato e all’edonismo rampante».
Pertanto, l’arcivescovo di Vasto-Chieti auspica un ritorno alla politica come servizio gratuito, disinteressato e temporaneo secondo l’esempio dei padri fondatori della nostra Repubblica e del grande progetto europeo (molti dei quali non a caso — Adenauer, Schuman, De Gasperi — erano genuinamente cristiani).
Più in dettaglio: nella sfera politico-amministrativa si deve colmare il divario creatosi “fra autorità ed effettiva autorevolezza dei comportamenti, fra rappresentanza democratica e reale rappresentatività dei bisogni e degli interessi dei cittadini”; nell’ambito culturale-educativo, investire in formazione e privilegiare il rispetto del patrimonio culturale, artistico, religioso a scapito dell’effimero dilagante; nel campo ecologico-territoriale, favorire modelli che non siano avulsi dalla considerazione dell’ambiente, delle risorse umane, delle componenti spirituali; nel settore economico, ispirare “un’azione orientata alla partecipazione di tutti ai beni e al coinvolgimento dei più deboli” e non alla semplice massimizzazione del profitto e dell’interesse privato.
L’etica, respinge una morale individualista e utilitaristica finalizzata all’interesse di pochi e afferma il primato della responsabilità verso gli altri, della solidarietà, dei diritti dei più sfavoriti.
Del “resto le due grandi encicliche di Papa Benedetto (Deus caritas est e Caritas in veritate) – scrive l’ambasciatore Francesco Maria Greco – sembrano echeggiare come musica di fondo di questo scenario, nell’assunto che ogni decisione di carattere politico, economico, sociale non può prescindere da una dimensione etica. Questa è in definitiva l’essenza stessa della caritas paolina che deve sempre coincidere con la veritas, quella Verità che — nelle parole di Gesù riprese nel Vangelo di Giovanni — ci rende liberi” .
DOMENICO BONVEGNA
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