Se la cattiva politica si autoassolve

Abbondano le prove sul malcostume che imperversa sovrano nella vita pubblica di questo paese. Sarà la Procura che dovrà far luce sulle vicende che hanno coinvolto la Lega negli ultimi giorni e sul ruolo avuto dai suoi membri, come protagonisti, comprimari, o vittime.
Tuttavia, la corruzione, l’uso di fondi pubblici per spese personali, l’abuso di potere non sono una novità. Neanche l’ipocrisia di chi dovrebbe esercitare la funzione di garante delle aspettative e istanze dei cittadini che confidano in lui o lei, dando il loro voto affinché li rappresenti nel migliore dei modi.
Tante, troppe volte quest’Italia – che annaspa in una crisi di indicatori economici, ma soprattutto una crisi di valori e identità – ha assistito alle urla da osteria di quei capipopolo che si ergevano come tali, provetti difensori di valori sbandierati come veri e autentici, portati in processione lungo il Po su un barcone con il vento di un imminente cambio – così lo si voleva vendere – in poppa. È il populismo alla padana, fatto di offese alla costituzione, alle istituzioni, alle minoranze, agli accenti al di qua del Rubicone, condito di insulti e parole sciatte che servivano tanto a far sentire la massa ai piedi del palco più vicina ai leader, come a sottolineare una differenza con i formalismi e i complotti di palazzo di una Roma che era buona solo a mettere mani nelle tasche dei bravi contribuenti lavoratori del ricco Nord.
È questa l’ipocrisia di chi mente sapendo di mentire, di chi critica un sistema occulto di cui in realtà è parte integrante, un ingranaggio vitale per una macchina che si autoriproduce nutrendosi di costumi malsani e truffaldini, irrispettosi verso coloro che faticano ad arrivare a fine mese.
Lo scandalo per le coscienze di chi ancora si reputa e vive come gente perbene non risiede in quest’ipocrisia, ma nella sua accettazione a tutti i livelli della società.
L’essere ipocriti nell’usare lo Stato – formato dai cittadini e, in termini pratici, dai loro soldi – a proprio beneficio, mentre ci si presenta come un’alternativa a tale malcostume, è diventata una dinamica comune e diffusa trasversalmente a tutte le forze partitiche.
E come tale è stata tacitamente accettata dalla coscienza del cittadino italiano, non domo, ma senza dubbio sopito. E non perché poco sensibile o connivente, ma, al contrario, sfiancato dall’immondizia accumulatasi nei corridoi della vita pubblica che ammorba la dignità di un popolo. Troppo poco tempo è passato da quando il popolo italiano dovette vivere l’impotenza dinanzi agli ultimi bagordi del basso impero berlusconiano, trasformatasi prontamente in un’accettazione fatale degli avvenimenti.
Non stupisce, non indigna il comportamento dei nostri rappresentanti, non ci sono grandi manifestazioni di piazza per chiedere un cambio, né si mobilitano quelle forze che hanno fatto della questione morale una bandiera. Forse perché nessuno può considerarsi totalmente al riparo. Nessun leader, presidente o segretario di partito può scagliare la prima pietra, non sapendo se un domani qualche procura filtri informazioni su una qualche indagine che coinvolge il partito di cui è a capo. Nessuno si azzarda a dichiararsi totalmente innocente, a condannare duramente, senza "se" e senza "ma", a protestare e canalizzare la protesta contro pratiche ignominiose.
"C’era da aspettarselo", "Sono tutti uguali", o ancora "Di cosa ti stupisci", "Si sapeva", "Era solo questione di tempo". sono i commenti che si potrebbero sentire sui tram, nei bar. "È normale".

Lettera firmata