La chiamata dei superconsulenti Bondi, Amato e Giavazzi significa che la missione del governo tecnico Monti-Napolitano sta fallendo. In questo modo Monti “certifica l’insufficienza del suo esecutivo – scrive Mario Sechi – Siamo al paradigma dei "tecnici dei tecnici” (…) Il governo tecnico nomina dei tecnici per fare quello che i tecnici non riescono a fare: tagliare la spesa e rilanciare la crescita. A che cosa serve allora il governo dei tecnici?” (Mario Sechi, L’insufficienza tecnocratica, 1.5.12. Il Tempo) Tra l’altro uno di questi supertecnici, è Giuliano Amato, proveniente da quella malapolitica del passato, (leggete Sanguisughe di Mario Giordano, nelle prime pagine, trovate uno spaccato interessante, sulla figura di Giuliano Amato) che ha prodotto l’imponente debito pubblico, che ci impedisce di uscire dalla crisi. Ma per vincere la crisi economica, occorre affrontare il problema dei tagli alla spesa pubblica. Di “’enti inutili’, «spendingreview», sprechi della Pubblica Amministrazione, si parla da decenni, almeno dai tempi di Ugo La Malfa, e di studi settoriali sull’efficienza della macchina amministrativa pubblica se ne contano ormai a bizzeffe. E il quadro generale è piuttosto chiaro. La spesa pubblica totale, al netto delle pensioni e degli interessi sul debito, ammonta a circa 500 miliardi di euro”. (Luca Ricolfi, L’utopia della lotta agli sprechi, 30.4.12. La Stampa)
Il quadro è chiaro, ma non avviene nulla, né con i governi di sinistra, né con quelli di destra, né con i governi tecnici, ma perché? Per il professore Ricolfi i motivi sono tre: Il primo,è più facile aumentare le tasse che ridurre la spesa. “I tagli alla spesa invece toccano categorie molto specifiche, e così creano una saldatura fra corporazioni, sindacati e ceto politico (specie locale), una sorta di patto nascosto o implicito che blocca qualsiasi decisione presa dal governo centrale”. Il secondo, il blocco dei tagli avviene perché in questi anni, il ceto politico “non ha mai commissionato studi analitici. Di un comparto come la sanità, o come la giustizia, o come la burocrazia comunale, si sa con discreta precisione quanto spreca, a vari livelli: a livello nazionale, a livello regionale, spesso anche a livello provinciale. Ma non si sa dove esattamente gli sprechi si annidino, perché per saperlo occorrerebbe effettuare centinaia di studi locali e dettagliati – «studi analitici» appunto – che di norma richiedono un tempo (da 1 a 3 anni) che va al di là del miope orizzonte dei nostri partiti politici. Questo spiega perché, arrivati al dunque, i tagli sono sempre lineari e piccoli. Si dice a tutti: risparmia il 2% subito, mentre si dovrebbe dire: avete tempo 5 anni, ma tu – amministrazione abbastanza virtuosa – devi risparmiare il 4% in 5 anni, mentre tu – amministrazione cicala – devi risparmiare il 40%”. Il terzo motivo riguarda le regioni virtuose e quelle viziose e qui forse si annidano i motivi, per cui, non si riuscirà mai ad eliminare gli sprechi. E’ noto che nelle regioni del Centro-Nord sono concentrate le amministrazioni virtuose, mentre in quelle del Centro-Sud, le viziose.“Una politica di risparmi di spesa seria dovrebbe avere il coraggio di dire: caro Lombardo-Veneto, cara Emilia Romagna, avete già fatto molto per razionalizzare la spesa, quindi a voi chiediamo solo una ulteriore limatura del 5% (cifra indicativa, ma non lontana dalla realtà). Caro Piemonte, cara Liguria, cara Umbria, voi siete state meno brave, a voi dobbiamo chiedere di tagliare il 15%. E poi dovrebbe farsi forza e dire: care Sicilia, Calabria e Campania, voi buttate via i soldi, vi diamo 5 anni di tempo ma voi la spesa la dovete ridurre del 40%. Mentre voi, Puglia, Abruzzo, Sardegna, di soldi ne buttate via un po’ di meno, e quindi a voi chiediamo risparmi minori, diciamo del 25% in 5 anni”. Il professore Ricolfi però ci tiene a scrivere che i numeri sono indicativi e che la graduatoria degli sprechi non è la stessa in tutti i campi: “un territorio può essere inefficiente nella sanità ma abbastanza efficiente nella giustizia; una regione sprecona può contenere isole di efficienza, così come una regione virtuosa può contenere sacche di inefficienza”.E’ proprio per questo, per evitare di fare tagli lineari, gli studi devono essere il più analitici possibile e soprattutto un governo centrale serio dovrebbe almeno darsi 4 o 5 anni di tempo per ridurre gli sprechi e fissarsi precisi obiettivi territoriali nei vari comparti della Pubblica Amministrazione. Con un po’ di pessimismo il prof Ricolfi è convinto che con questo ceto politico, questa opinione pubblica, queste forze sociali, probabilmente non si farà nulla di tutto quello che ha auspicato. Del resto leggendo l’ultimo libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, Licenziare i Padreterni, Rizzoli (2011), quattro anni dopo La Casta, gli sprechi, le ingordigie e le prepotenze continuano ancora nonostante le promesse di sobrietà. Il problema è la inadeguatezza della classe politica che, nonostante l’impegno e la generosità di tanti parlamentari e amministratori perbene e generosi, (non voglio essere arruolato nell’antipolitica) non riesce a essere davvero classe dirigente. Interessante i dati riportati nell’ultimo capitolo, il 6° sullo spreco delle Regioni, Province, Comuni. Per quanto riguarda, la regione Sicilia, emerge una situazione desolante, “definir drammatica risulta perfino un eufemismo”, secondo il magistrato contabile, Giovanni Coppola. La regione ha il più alto tasso di disoccupazione d’Italia, quello giovanile, il più alto in Europa. Stella e Rizzo, fanno degli esempi significativi di sprechi e privilegi all’ombra dell’amministrazione regionale. Intanto, essendo diminuite le entrate, la Regione Sicilia è stata costretta a fare con la Cassa Depositi e Prestiti un mutuo trentennale mostruoso: 862 milioni e mezzo di euro. “Come li pagherà? Chi li pagherà? Quando li pagherà? Si chiedono i due giornalisti, pensano che la Madonna del Tindari possa far ritrovare giacimenti d’oro sui Nebrodi o sulle Madonie?” Il governatore Raffaele Lombardo, chiede dieci anni per mettere a posto i conti, ma così, secondo Stella e Rizzo, non ne basteranno mille e continuano a dare dei numeri che riguardano le spese della regione. “Circa 37.000 persone a busta paga, tra dipendenti e pensionati, con un costo annuo nel 2010 di quasi 1,7 miliardi di euro. Lo sproposito di 2033 dirigenti: uno ogni 10 ‘regionali’ e un rapporto 10 volte più alto che in Lombardia, dove i ‘colonnelli’ sono 212”.(pag. 154) Nell’isola ci sono, “unico caso al mondo, 12.300 pensionati che negli ultimi dieci anni hanno visto lievitare l’assegno mensile come un soufflè: più 40.57%. Ognuno di loro intasca in media 45.447 euro l’anno, il triplo di una pensione media dell’Imps”. Persone che hanno avuto fortuna, assunti, spesso, per motivi clientelari. Le loro buonuscite in dieci anni, sono aumentate del 64% e rimangono da favola. Il record spetta ai direttori regionali, che vanno in pensione incassando un assegno medio di 420.133 euro, come certificato dalla Corte dei Conti. Il caso limite, quello dell’ex direttore dell’Agenzia dei rifiuti, che da pensionato riceve dalla Regione un assegno quasi di 500.000 euro l’anno. E poi i cosiddetti pensionati-baby, il caso clamoroso dell’assessore Carmelo Russo. Intanto, mentre in tutto il comparto pubblico, le assunzioni, sono bloccate da anni, la regione Sicilia, indebitata e stracarica di dipendenti, faccia un concorso nell’autunno 2010 per stabilizzare una quantità spropositata di precari e aumenta 4851 nella selezione finale. Queste notizie giustamente secondo gli autori de La casta, rischiano di disintegrare, ogni disponibilità degli altri cittadini italiani a comprendere la specificità siciliana. Anche se grossolane, come non essere d’accordo con le rimostranze di certo leghismo. Tuttavia, occorre ribadire che tra le regioni che sprecano non c’è solo la Sicilia, e non è neanche un problema di amministrazione di destra o di sinistra..
Rozzano, MI, 5 maggio 2012
S. Giuseppe Benedetto Cottolengo DOMENICO BONVEGNA
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