Contributi di accesso ai test premilitari da 50, 100, 120 euro, tasse di iscrizione ai corsi da 2.500 euro in su, un giro d’affari complessivo da circa 100 milioni di euro. Ecco il business pensato dalle Università Italiane, da Trento a Palermo, alle spalle di coloro che ambiscono a frequentare il cosiddetto Tirocinio formativo attivo, canale ormai inderogabile per entrare come insegnanti nel mondo della scuola, quanto meno alle medie e alle superiori. Ieri, dopo una prima analisi, era balzato all’occhio il caso dell’Università degli studi di Messina che chiede agli aspiranti “professori”, per il solo accesso al test preliminare predisposto dal ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (Miur), un obolo di 100 euro per ogni classe di abilitazione e un’ulteriore salasso da ben 2.600 euro a titolo di tassa per il diritto allo studio. Una partita, nel solo caso dell’ateneo peloritano, da non meno di 1.512.000 euro se si considera che i posti disponibili sono 560. Un autentico scandalo se si pensa che in pratica, in tutta la Penisola, con l’avallo di tutte le istituzioni – dalle Regioni al Governo centrale – si chiedono ingenti somme di denaro a persone che chiedono di lavorare. O quanto meno di entrare in graduatoria per aspirare un giorno o l’altro a un posto sicuro. Monotono ma sicuro. Sondando le “tariffe” dei principali atenei italiani, in effetti, si scopre che Messina, come il resto della Sicilia, non è il peggio che il Paese offre ma solo una sua fedele espressione.
Se, restando nei confini isolani, si ha la conferma che l’Università di Palermo, con i suoi 490 posti, pretende 100 euro per ciascuna classe di abilitazione per l’accesso ai test e 2.600 euro a titolo di tassa per il diritto allo Studio (per un introito garantito di non meno di 1.323.000 euro), le sorprese arrivano da dove meno uno se lo aspetta. L’Università di Trento – anche qui come in Sicilia vige lo Statuto speciale – che mette a disposizione appena 153 posti, chiede solamente 50 euro per ogni classe di concorso per sostenere i test preliminari ma ben 3.000 euro a titolo di tassa e contributo di iscrizione al tirocinio, metà dei quali da versare al momento dell’iscrizione stessa. Totale minimo garantito: 466.650 euro.
Passando alla “dotta”, leggendo il bando dell’Università degli studi bolognese parrebbe di capire che il contributo di 100 ero sia a prescindere dal numero di classi di concorso cui si intende partecipare. Proprio qui sembra si registri il trattamento economico migliore, considerato che la tassa per l’immatricolazione – 2.500 euro di cui 910 da versare immediatamente – se corrisposta in un’unica soluzione scende a 2.392 euro. Visto che il tirocinio è aperto a non più di 580 persone, le entrate minime saranno di 1.445.360 euro. Alla Statale di Milano – 895 posti, 100 euro per ogni classe di abilitazione, tassa regionale per il diritto allo studio pari a 2.500 euro – il guadagno minimo dovrebbe essere di 2.327.000 euro. Di 1.070.055 a Padova, dove i posti sono 395, l’obolo per l’iscrizione ai test 100 euro per ogni classe di abilitazione e la tassa per accedere al tirocinio, una volta superati gli esami, 2.609 euro.
Il pegno più alto per l’accesso ai test preliminari del Miur lo richiede la Sapienza di Roma – 120 euro – che dai 650 “eletti” che frequenteranno il tirocinio pretenderà altri 2.500 euro a capoccia. Totale minimo assicurato: 1.703.000 euro. Duemilacinquecento euro di tassa in caso di ammissione ai corsi e 100 euro per ogni classe di abilitazione per partecipare al test preliminare anche alla Aldo Moro di Bari. Considerando gli 855 posti disponibili, si tratta di un affare da non meno di 2.223.000 euro. La palma dell’estro e dell’originalità, come sempre, va ai napoletani. La Federico II, che contempla un numero chiuso di 503 unità, chiede, per prendere parte ai test iniziali del ministero, 100 euro per ogni classe di concorso “quale contributo per l’organizzazione della selezione”. Non specifica, astutamente, quanto costerà l’eventuale partecipazione al corso, rimandando alla pubblicazione di un ulteriore decreto.
Stando ai numeri e alla luce del fatto che in Italia ci sono 62 università statali, o pubbliche, il giro d’affari dovrebbe aggirarsi attorno al centinaio di milioni di euro. Magari, se il supertecnico Enrico Bondi si fosse informato, avrebbe trovato qui una nuova fonte d’ispirazione per la cosiddetta spending review, senza bisogno di aspettare i suggerimenti dei contribuenti.
Ultimissime curiosità: i 100 euro richiesti per accedere al test preliminare non sono rimborsabili per nessuna ragione e al momento del pagamento prevedono anche l’aggiunta della relativa commissione bancaria. Tra i siti web in cui la notizia della pubblicazione del bando è più oscura spiccano, infine, la Statale di Milano, la Sapienza di Roma e l’ateneo trentino. Tutti sopra la sufficienza gli altri. Almeno sotto il profilo della comunicazione. Ma considerando quanto si fanno pagare è il minimo che possano fare.
Fabio Bonasera