La RASSEGNAZIONE e l’AZIONE

Se l’indifferenza è un male pernicioso purtroppo assai diffuso nella odierna società, non lo è meno la RASSEGNAZIONE, virtù (?) negativa, per “difetto”, che impedisce l’azione, isola il soggetto dalla società e lo relega alla funzione di spettatore passivo della realtà circostante. E’ un sentimento che talora subentra dopo la “Indignazione” (= ribellione dell’animo contro le ingiustizie, la corruzione, le sopraffazioni, l’arroganza del potere, ecc.), quando si constata l’inutilità di combattere contro forze che sono più forti di noi, contro situazioni che ci sovrastano e che pensiamo non si possano modificare. In altre parole, com’è stato detto, è’ “la paziente accettazione di ciò che si ritiene inevitabile”. Ma se la “pazienza” è da considerarsi una virtù, non così la rassegnazione, che è passività, abulia, ”tristitia” (per dirla alla S. Tommaso), asservimento della coscienza al potere dominante, è resa incondizionata e rinuncia ad agire per cercare di cambiare in meglio la situazione contingente. Equivale a “gettare la spugna”, è mettersi completamente nelle mani di altri (che furbescamente carpiscono la tua fiducia a loro vantaggio) ed affidarsi completamente alle loro decisioni, è rinunciare a qualsiasi senso critico ed a qualsiasi intervento non gradito al potere. La rassegnazione è la morte dell’anima, è isolamento, è solitudine che uccide ogni voglia di vivere ed ogni speranza. Per vivere BISOGNA REAGIRE, battersi non già con la spada ma con quei mezzi (ricordarsi il detto “uccide più la penna della spada”) che la tecnologia moderna e le nostre leggi democratiche finora ci consentono per favorire quel CAMBIAMENTO di MENTALITÀ indispensabile (in ogni tempo e in ogni nazione) per aprire la strada al cambiamento della Società, perché le “rivoluzioni” avvengono solo quando la maggioranza dei Cittadini sono preparati ad accettarle (ricordate il detto di Voltaire: “Volete buone leggi? Bruciate le vecchie e fatene di nuove”). E questo si può fare solo con la Politica, quella vera e degna della P maiuscola, che oggi purtroppo ancora scarseggia nel nostro Paese (e ne subiamo tutti le conseguenze!).

Giovanni Dotti