Sfogliando di buon mattino il ‘Giornale’, i peggiori sospetti dei colonnelli del Popolo della libertà hanno pericolosamente preso forma. Quel titolo a tutta pagina, ‘Berlusconi lascia il Pdl’, ha reso evidente una volta di più che la partita sul futuro del Pdl resta tutta da giocare. E che, al momento, non esiste un esito scontato. Perché una cosa è immaginare un reset pilotato del partito, altro un semplice addio senza rimpianti alla creatura politica nata nel 2009 e alla sua classe dirigente. Una mossa traumatica, associata forse a un’altra decisione, quella di lasciare in piedi la struttura di un Pdl trasformato a quel punto in un guscio vuoto. Si tratterebbe di una rivoluzione degli attuali equilibri, del via libera a un contenitore pronto a esprimere il meglio della società civile e del mondo delle professioni. Ben attento, soprattutto, a non richiamare in alcun modo il mondo della politica.
Fra il dire e il fare, si sa, c’è di mezzo il mare. In questo caso c’è di mezzo soprattutto un gruppo dirigente sempre più lacerato e indebolito, che resiste con tutte le sue forze al pensionamento anticipato. Berlusconi è stufo di vertici e litigi, scandali e compromessi. L’inchiesta che ha travolto la Regione Lazio è stata forse la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma il reset è un sogno che Silvio coltiva da tempo. Pensare di poter ripartire con una semplice operazione di restyling, magari supportata da dieci punti programmatici targati Alfano, non è opzione sufficiente per Berlusconi. Nonostante il pressing intenso dei big del partito, evidente già solo scorrendo i lanci di agenzia odierni.
In realtà, il Cavaliere questa nuova fase pensata dallo stato maggiore del Pdl l’avrebbe anche avallata, tre giorni fa nel corso di un vertice a Palazzo Grazioli. Il problema è che Berlusconi non è andato oltre un via libera di massima, spargendo dubbi su forma, modalità e tempi di questa operazione rinnovamento. E’ possibile che davvero il prossimo due dicembre – in occasione dell’anniversario della grande manifestazione del 2006 a piazza san Giovanni – il Pdl organizzi come ha proposto il segretario una convention per chiudere un’era. Ma Berlusconi nicchia, preoccupato soprattutto dal rischio di far apparire la svolta come l’ennesima operazione di nomenklatura di partito, lontana dal sentire della gente. Meglio – è una delle ipotesi – allungare quanto più possibile i tempi, presentando un marchio credibile il più possibile a ridosso delle elezioni.
Classe dirigente nuova e novità nelle liste elettorali sono gli ingredienti capaci di favorire – secondo il progetto che ha in mente l’ex premier – l’ingresso del berlusconismo nella nuova fase politica. Un segnale per cercare di agevolare, questo almeno l’obiettivo, quel patto con Montezemolo che per ora appare ufficialmente lontano. Ma sul quale l’ex premier investe energie e risorse e che per il quale sarebbe disposto a ritirarsi dalla ‘corsa’.
Tutti questi ragionamenti scontano però un’incognita, che resterà tale ancora per un po’. E’ la legge elettorale, quella complessa partita a scacchi dalla quale dipende la riuscita del nuovo predellino berlusconiano. Con il Porcellum, un eventuale guscio vuoto del Pdl alleato alla nuova creatura potrebbe comunque agevolare i piani del Cav. Tutto, infine, potrebbe ancora essere messo in discussione dallo tsunami Renzi. Un’eventuale vittoria del candidato alle primarie del Pd nella corsa per Palazzo Chigi rappresenterebbe il fischio d’inizio di un’altra partita. Tutta da giocare.