Berlusconi e l’invidia

All’indomani dell’aggressione subita in piazza Duomo a Milano, l’entourage di Silvio Berlusconi pubblicò il libro “L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio”: sintesi dei messaggi di sostegno pervenuti dai suoi elettori. Nella prefazione Berlusconi scrisse: “nei giorni della mia convalescenza, mi sono ancora più persuaso che davvero l’amore vince su tutto, non solo sull’odio che rende violente contro l’avversario politico le menti più fragili”. Parole che evidenziano l’animo ottimista e affettuoso del personaggio. Ebbene, se il più amato-odiato dagli italiani si fosse dato meno al bel mondo e più alla ricerca dell’essere, avrebbe scoperto che i sentimenti dell’odio e dell’invidia albergano nella quasi totalità degli esseri umani. I detrattori di Silvio, vale a dire coloro che lo ritengono la causa prima delle catastrofi finanziarie e atmosferiche del pianeta terra, non hanno iniziato ad odiarlo per le sue idee politiche, bensì muovendo da banali premesse del tipo: perché lui è stato il più votato dagli italiani ed io no?; perché lui è un imprenditore di successo ed io no?; perché lui è diventato il presidente del consiglio ed io no?; perché lui è molto amato della donne ed io no?; in parole semplici: perché lui si e io no? Interrogativi che nei mediocri si traducono inesorabilmente in invidia ed odio. Le scienze umane spiegano che l’invidia, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non nasce da afflati di uguaglianza e giustizia verso gli ultimi e gli indigenti, ma da quell’inconfessato desiderio di depredare il prossimo (vedi comunismo) che Nietzsche definiva prosaicamente Umano, troppo umano. L’invidia, precisa inoltre la morale cattolica, è un vizio capitale che non dipende da cause esterne, ma dalla malvagità del cuore dell’uomo e laddove l’uomo pone il suo tesoro. Gesù lo disse ai suoi discepoli: “Dal cuore provengono propositi malvagi, omicidi, adulteri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie.” (Mt15,19). La teologia evidenzia che chi pone al centro di tutto il proprio “io” è spinto alla tristezza per il bene degli altri. San Tommaso, qualificò l’invidia come “la tristezza dei beni altrui” (II-II, q.36, a.1) e rilevò che mentre è logico che la tristezza sorga per il male proprio, con l’invidia accade il contrario: il bene altrui è creduto un male proprio perché si pensa possa sminuire “la propria gloria o la propria eccellenza”. Berlusconi stia dunque sereno: l’odio e l’invidia che gli piovono addosso, sono umani, troppo umani.
Gianni Toffali