di Stefano Lenzi
E’ stata staccata la spina sul Ponte. Il 2 marzo scorso non è stato raggiunto l’accordo sull’atto aggiuntivo riguardo il progetto del ponte sullo Stretto di Messina: l’ha comunicato ufficialmente la concessionaria pubblica Stretto di Messina SpA al Governo, dopo che il General Contractor, Eurolink SpA, capeggiato dal gigante delle costruzioni Impregilo – che aveva l’incarico di fare la progettazione definitiva e quella esecutiva, nonché di realizzare l’opera – non ha sottoscritto l’accordo.
Ora, quindi, come viene stabilito dal decreto sviluppo-bis (d.l. 179/2012), varato dal Governo Monti, si potrà porre fine a tutti le convenzioni e contratti esistenti e si potrà sciogliere quella sorta di ente inutile parastatale (alimentato tutto con fondi pubblici, attraverso la quota di controllo di ANAS e la partecipazione delle Regioni Sicilia e Calabria) che è la concessionaria pubblica Stretto di Messina SpA.
Infatti, la legge prevede che: 1. siano caducati tutti gli atti che regolano i rapporti di concessione, nonché le convenzioni ed ogni altro rapporto contrattuale, 2. si proceda con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri alla liquidazione della Stretto di Messina SpA. Impregilo sicuramente tenterà in qualche modo di contestare la legittimità della noma per cercare di avere una contropartita economica, ma oggi, allo stato dell’arte, stanno scorrendo i titoli di coda di un film scadente.
Finisce così al momento una telenovela che dura da 42 anni e che da 9 ha visto presentare un progetto indifendibile. Infatti, nasce nel 1971 la società Stretto di Messina nel 2003 viene presentato un progetto che a detta del WWF Italia, in prima fila tra le associazioni ambientaliste, è stato sin dall’origine insostenibile dal punto di vista tecnico, trasportistico, economico-finanziario ed ambientale.
E’ questo l’ennesima controprova dell’approssimazione con cui il nostro Paese va avanti nel programmare e concepire le cosiddette infrastrutture strategiche, che dal 2001 ad oggi si sono rivelate un vero flop: a oggi su 375 miliardi di euro stimati complessivamente per la realizzazione del Programma, sono state ultimate opere per soli 7 miliardi di euro (equivalenti all’1.8% del totale). E’ ora quindi di abbandonare progetti che ipotecano velleitariamente il bilancio dello Stato, a causa di amministratori e politici compiacenti che si arrendono incondizionatamente alle lobby dei grandi costruttori e alle clientele locali. E’ una situazione insopportabile che ormai va stretta alle stesse medie piccole aziende edili che, invece. vorrebbero maggiori finanziamenti per le piccole e medie opere, in funzione anticongiunturale per rilanciare l’economia.
La vicenda del ponte è stata a questo proposito una storia esemplare: ha già fatto sprecare almeno 250 milioni di euro (del 2010) in studi e progettazioni inutili. La Stretto di Messina SpA dal 2003 ha sostento a spada tratta la necessità di realizzare, alla modica cifra di 8,5 miliardi di euro (oltre mezzo punto del PIL), un ponte sospeso, ad unica campata di 3,3 km di lunghezza, sorretto da torri di circa 400 metri di altezza, che serva a far passare sia le auto che i treni (quando il ponte con analoghe caratteristiche più lungo al mondo, il Minami Bisan-Seto in Giappone, raggiunge a malapena i 1.100 metri di lunghezza!), in una delle aree a più elevato rischio sismico del Mediterraneo e di maggior pregio naturalistico e paesaggistico d’Europa. Un’opera che tra l’altro non è mai stato dimostrato che sarebbe stata ripagata dagli introiti derivanti dalla gestione (pedaggi), visto che a regime, secondo le stime degli stessi progettisti, l’utilizzo del ponte si sarebbe aggirato attorno all’11% della sua capacità complessiva (11,6 milioni di auto l’anno, a fronte, appunto, di una capacità complessiva teorica dell’opera di 105 milioni di auto l’anno nelle due direzioni). Un progetto definitivo che fin dalla sua presentazione nel 2011 era evidente che faceva acqua da tutte le parti, come dimostrano le 223 richieste di integrazioni su aspetti sostanziali richieste dalla Commissione speciale di Valutazione di Impatto Ambientale del Ministero dell’ambiente.
E’ mai possibile, ci sarebbe da domandarsi, che fino al 2 marzo scorso non sia servito il semplice buon senso a scoraggiare tale immensa corbelleria realizzativa?
Ci voleva poco ad accorgersi che ben altri erano e sono i problemi. Calabria che la Sicilia sono praticamente scollegate dal sistema dei trasporti nazionali, a meno che non si prenda l’aereo, dato che i viaggi in treno da Palermo, Messina o Reggio Calabria sono un incubo, le corse dei traghetti sono ridotte all’osso e avventurarsi in pullman sull’A3 Salerno-Reggio Calabria è sconsigliabile.
Forse, finalmente, dopo il marzo saremo liberati da un incubo e potranno essere meglio impiegati gli 8,5 miliardi di euro finora destinati al ponte che potrebbero essere meglio utilizzati secondo il WWF per risanare il territorio e intervenire sul dissesto idrogeologico, potenziare la linea tirrenica ferroviaria tra Battipaglia e Reggio Calabria, potenziare la linea ferroviaria esistente tra Napoli e Bari, intervenire sul sistema dei porti tra Gioia Tauro, Villa San Giovanni, Reggio Calabria e Messina, garantire un sistema di traghettamento veloce e frequente per l’Area dello Stretto e chiudere i cantieri dell’A3 Salerno-Reggio Calabria e della SS106 Ionica o a potenziare le linee ferroviarie che collegano Messina a Palermo e Catania.