L’evidente avvitamento dei partiti attorno alla scelta del possibile candidato alla carica di sindaco di Messina è un fatto che i cittadini stentano a comprendere, presi come sono dai mille problemi quotidiani causati da una crisi che non intende mollare la propria morsa su una società duramente messa alla prova. Tuttavia la scelta del prossimo candidato sindaco è una scelta che influenzerà non poco il futuro della città nella quale viviamo e dunque opportuno risulta sviluppare delle riflessioni che possano tornare utili a chi avrà il compito di dipanare una matassa che, allo stato attuale, appare inestricabile. Riflessioni che non possono prescindere dall’aver chiaro il fondamentale ruolo che, in linea di principio, i partiti devono o dovrebbero svolgere nella società, essere cioè strumenti destinati a servire il bene pubblico.
Nel “Manifesto per la soppressione dei partiti politici” – recentemente pubblicato da Castelvecchi Editore – Simone Weil scrive che per “apprezzare i partiti secondo il criterio della verità, della giustizia, del bene pubblico, conviene cominciare distinguendone i caratteri essenziali” che – secondo l’intellettuale francese – sono principalmente tre: "1) un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva; 2) un partito politico è un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte; 3) il fine primo e, in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la sua propria crescita, e questo senza alcun limite".
Se le considerazioni di Simone Weil ci paiono plausibili, allora non possiamo non osservare che nei meccanismi dei partiti, soprattutto per ciò che attiene Pd e Pdl, c’è qualche ingranaggio che non sta girando per il verso giusto. Sembra proprio che a non credere più nel potere demiurgico dei partiti siano per primi gli stessi dirigenti e militanti che ne compongono le fila. Ultimamente che sia questo l’approccio psicologico ai partiti, soprattutto in area Pd e Pdl, lo dimostra l’affanno vissuto nella ricerca spasmodica di un candidato esterno ai partiti, come se essere un tecnico o un rappresentante della società civile bastasse di per sé per essere espressione di buona politica.
In un contesto come quello attuale, fortemente caratterizzato da un sentimento antipolitico, l’errore da non commettere è assecondare il massimalismo ideologico di gruppi sociali i quali, per la risoluzione dei problemi della società, non hanno null’altro da proporre se non l’annientamento della politica, salvo poi – come dimostrato dall’elezione di Grasso alla presidenza del Senato – farsi essi stessi politica, dimostrando con ciò che senza rappresentanza partitica una società civile non è in grado di reggersi in piedi.
La crisi che sta vivendo l’Europa e l’Italia in particolare si risolve con più politica e non con meno; si risolve facendo molta più politica di quanto non ne sia stata fatta fino ad oggi. Inseguire i Grillini sul terreno dell’antipolitica significa dare sempre più ampi spazi di manovra a quei poteri economici i quali prosperano e si sviluppano grazie al vuoto politico che oggi risulta poco incisivo nell’esercitare poteri di controllo sui mercati finanziari.
Proprio per questi motivi chi scrive ritiene che i partiti la soluzione ai loro problemi e ai problemi della società devono trovarli al loro interno. In tale ottica, considerato che tutti gli altri attori politici hanno già individuato il loro candidato, per il Pd e il Pdl due buoni candidati sarebbero, rispettivamente, Felice Calabrò e Dario Caroniti, due personalità che hanno dimostrato competenza e soprattutto conoscono bene il funzionamento della macchina amministrativa. Ogni altra soluzione avrebbe l’amaro sapore della rinuncia e finirebbe per consegnare la città a un periodo forse ancor più peggiore di quelli vissuti sino ad oggi.
Nicola Currò