Dalla sindrome della quarta settimana alla sindrome del day by day

Famiglie in difficoltà. Secondo le ultime rilevazioni dell’Eurispes, 7 italiani su 10 hanno visto peggiorare la situazione economica personale (per il 40,2% di molto, per il 33,3% in parte), il 60,6%, 3 su 5, è costretto a intaccare i propri risparmi per arrivare alla fine del mese; il 62,8% ha grandi difficoltà ad affrontare la quarta (quando non la terza) settimana; il 79,2% non riesce a risparmiare, questo vuol dire che solo 1 su 5 riesce a mettere qualcosa da parte. La perdita del proprio potere d’acquisto è invece una realtà per il 73,4% degli italiani che nel corso dell’ultimo anno ne hanno constatato una diminuzione (il 31% molto, il 42,4% abbastanza).

In piena sindrome del day by day. Il reddito netto medio per famiglia nel lungo periodo tende progressivamente a ridursi. La debolezza dei consumi e la continua riduzione del potere d’acquisto delle famiglie sono ormai un dato acclarato. Ciò è testimoniato anche dalla contrazione delle “attività finanziarie delle famiglie” monitorata ed elaborata dalle banche. La sindrome della quarta settimana e la difficoltà di far quadrare i conti e arrivare con il proprio reddito alla fine del mese hanno rappresentato a partire dai primi anni del Duemila, il primo sintomo di una crisi complessa e spesso sottovalutata che l’Eurispes, per primo, ha segnalato. L’escalation di un andamento economico costantemente negativo ha acuito le caratteristiche di questo fenomeno che si è tradotto nella difficoltà reale delle famiglie ad affrontare la terza settimana. Tutti i segnali e i dati indicano che oggi si è innescato un ulteriore meccanismo negativo e si può ormai parlare di una condizione che spinge le famiglie alla “sindrome del day by day”, a vivere alla giornata insomma, senza alcuna previsione per un futuro, anche solo a breve termine, e con la consapevolezza di doversi barcamenare nel quotidiano.

Pane raffermo e 10 euro di benzina. Spesso un solo pasto al giorno. Sopravvivere alla giornata. Si tagliano non solo le spese superflue, ma si inizia a limitare fortemente le uscite per beni primari come quelli alimentari, di vestiario, di trasporto e per la salute. Questa è di certo una delle indicazioni più preoccupanti della situazione economica italiana.
Sono molti gli escamotage messi in atto dagli italiani “presi” da questa sindrome per la quale il risparmio non è più una componente delle spese da sostenere mensilmente, ma diventa l’arte di districarsi nelle piccole ristrettezze quotidiane.
Dal punto di vista alimentare, è in aumento il numero di quanti risparmiano recandosi ai discount, ma anche ai mercati rionali dopo mezzogiorno, quando in chiusura i prodotti vengono svenduti. Gli stessi supermercati rispondono alle “nuove esigenze” del mercato con offerte anticrisi come l’acquisto scontato di prodotti in scadenza.
Benzinai e panettieri sono alcuni dei "supervisori" del tasso di sofferenza delle famiglie e vedono attuata questa nuova strategia di consumo. Non il pieno per l’auto, ma un rifornimento con piccole somme dai 5 ai 10 euro per non privarsi del contante. Meno sprechi e più risparmio significa anche acquistare mezzo filone piuttosto che uno intero o attendere il tardo pomeriggio quando il prezzo cala. Ancora più estrema un’idea che alcune realtà in Italia stanno già sperimentando, ossia la panetteria che vende il prodotto del giorno precedente (con i dovuti suggerimenti per “rinfrescarlo”) ad un prezzo fortemente calmierato.
Ritorna anche uno stile di vita da dopoguerra per quanti si trovano in condizioni di grave indigenza o a rischio di povertà costretti a dover rinunciare ad un pasto, passando da due a uno al giorno, eliminando dalla propria dieta gli alimenti più costosi come carne o pesce.
La stessa Caritas, dal suo osservatorio privilegiato, segnala la sempre maggiore e preoccupante presenza di italiani che siedono ai tavoli delle mense per i poveri.
La sindrome del day by day spinge a comportamenti e stili di consumo dettati dalla necessità di arrivare a fine giornata senza previsioni di miglioramento per il giorno successivo. Insomma “oggi è così, domani si vedrà”.Un circolo vizioso: indebitamento, insolvenze, vendita dei propri beni e rischio usura. Negli ultimi tre anni, circa un terzo degli italiani hanno chiesto un prestito alle banche indebitandosi (35,7%). Le categorie più bisognose di aiuti finanziari sono quelle con contratti a tempo determinato (atipico o subordinato), in particolare il popolo delle partite Iva (44,2%), contro il 35,2% dei lavoratori subordinati a tempo indeterminato.
Ben il 62,3% dei prestiti è stato chiesto per pagare debiti pregressi e il 44,4% invece per saldare altri prestiti precedentemente contratti con altre banche o finanziare, ma che evidentemente i contraenti non sono riusciti a saldare.
In parallelo, le stime di Bankitalia indicano che le sofferenze bancarie a fine 2012 ammontano ad un importo di 125 miliardi di euro (lordi), con un tasso di crescita sui 12 mesi aumentato al 17,5%.
Difficile anche la situazione abitativa delle famiglie: la difficoltà di far fronte alle rate del muto per la casa si somma all’aumento del costo degli affitti e alla conseguente morosità. I pignoramenti e le esecuzioni immobiliari sono cresciuti, nel periodo tra il 2008 e il 2011, del 75% circa.
Appare evidente come la spirale che si innesca è sintomatica della crisi che l’Italia sta affrontando e che attanaglia i cittadini in una condizione di disagio profondo dalla quale sembra non vi sia altra via d’uscita se non quella di alimentare l’indebitamento. Nella continua ricerca di liquidità cui sono costrette le famiglie abbiamo individuato e rilevato l’affermarsi di fenomeni socio-economici da non sottovalutare e da monitorare costantemente.
Primo fra tutti appare in vertiginoso aumento il fenomeno dei compro oro. Un chiaro segnale di affanno dei cittadini che nel corso dell’ultimo anno si sono rivolti ad un “compro oro” nel 28,1% dei casi, con una vera e propria impennata rispetto all’8,5% registrato l’anno precedente.
Nel 26,8% dei casi invece si ricorre a lavori informali, in nero, per arrotondare svolgendo servizi presso conoscenti (assistenza ad anziani, sartoria, baby-sitter, vendita di oggetti autoprodotti, pulizie, giardinaggio).
Aumenta in parallelo il rischio di cadere nelle maglie dell’usura. Molti ormai ammettono di aver chiesto denaro in prestito a privati (non parenti o amici) non potendo accedere a prestiti bancari: 14,4% più del doppio rispetto al 6,3% rilevato un anno fa. Redditi insufficienti. La mancanza di benessere fa crescere il sommerso. Per potercela fare e vivere dignitosamente una famiglia di quattro persone ha bisogno di almeno 2.500 euro al mese. I calcoli dell’Eurispes si basano su una famiglia tipo (idealmente composta da due adulti e due bambini) che risparmia su tutto ma non fa mancare nulla ai figli e conduce un’esistenza quasi spartana ma dignitosa. Quasi la metà dei contribuenti nel 2011 ha dichiarato un reddito mediano annuale complessivo inferiore a 15.700 euro. Eppure, la sola spesa alimentare per una famiglia tipo è pari in media a 825 euro mese. Per le altre voci di spesa, i costi da sostenere sono mediamente 890 euro al mese per la casa e 240 euro per l’abbigliamento.
I redditi di una famiglia tipo non sono sufficienti a fare fronte alle spese necessarie per condurre una vita dignitosa. Questo è uno dei fattori che spinge un numero sempre maggiore di persone a cercare risorse aggiuntive attraverso soprattutto un doppio lavoro o ad accettare lavori completamente in nero. È il caso di almeno il 35% dei lavoratori dipendenti ormai costretto ad effettuare altri lavori per far quadrare i conti e arrivare alla fine del mese.
Accanto a ciò, occorre rilevare che l’economia sommersa svolge, in molti casi, in Italia la funzione di ammortizzatore sociale ed ha prodotto per il 2011 un volume stimato di 540 miliardi, pari a circa il 35% del Pil ufficiale.
«A seguito di una serie di meccanismi – secondo Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes – legati alla congiuntura internazionale e alle scelte della politica, è concreto oggi il pericolo di poter entrare in quella che Fisher descrisse come la “deflazione da debito”: il fenomeno consiste nel fatto che non si riesce più a pagare i debiti mentre il valore di ciò che si è acquistato in precedenza crolla riducendo il valore patrimoniale. La conseguenza è che svendendo tutti nello stesso momento, anche il debito aumenta in termini reali portando ad un ciclo negativo. Alla fine della catena di effetti e meccanismi, i beni passano di mano dai debitori ai creditori. I creditori in questo caso sono le banche che, come si sa, erogano credito nell’esercizio della loro attività. I debitori siamo noi, famiglie, imprese, lavoratori».
Gli indicatori tradizionali di povertà relativa e assoluta, da soli, non sono più sufficienti a fotografare la realtà e a confrontarla con quella di altri paesi, soprattutto dopo la crisi.
Il nuovo indicatore comunitario si chiama “povertà persistente” e descrive la percentuale di popolazione a rischio di povertà combinando tre indicatori (rischio povertà, deprivazione materiale ed esclusione dal mercato del lavoro) e prendendo in considerazione non solo il reddito ma anche la deprivazione materiale e l’esclusione dal mercato del lavoro . Nel 2010 i “poveri persistenti” erano 10,3 milioni, il 70% dei 14,7 milioni di italiani a rischio di povertà. Anche il numero delle persone a rischio di povertà ed esclusione sociale, secondo la nuova misurazione, risulta estremamente elevato: 14,7%, pari al 24,5% della popolazione italiana. Stessa tendenza per la deprivazione materiale che raggiunge un tasso del 6,9% rispetto ad una media Ue15 del 5,3%.
«Quello che succede in Italia da tempo – sottolinea il Presidente dell’Eurispes – è che l’economia non cresce, mentre le diseguaglianze, che si erano attenuate negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, sono in aumento e possono tradursi in fenomeni di povertà. Il restringimento del perimetro dell’intervento pubblico rende la situazione sempre più contrastante.
Il fatto che ai problemi economici si sommino quelli di natura sociale ha conseguenze in termini di maggiore instabilità a tutti i livelli. Mentre la politica è in stallo rimane aperta e irrisolta la vera sfida per portare l’Italia fuori dalla crisi, contemperando l’efficienza economica con la coesione sociale, tenendo presente che, se l’eccesso di Welfare può rallentare la crescita, il suo progressivo smantellamento produce danni ancora peggiori e spesso imprevedibili».