Procedevo spedito sul marciapiede del corso principale della città cercando di dribblare le numerose persone che tranquillamente passeggiavano, quando mi imbattei in un clochard dall’aspetto trasognato che addentava un panino imbottito. Improvvisamente rallentai il passo perché fui colpito dalla litania di ingredienti alimentari che il barbone snocciolava fra un morso e l’altro…”caviale, pescespada, aragosta, granchio…”.
Lì per lì pensai che il vagabondo si trattava alquanto bene se il companatico era costituito (come sembrava) da tutte quelle prelibatezze solennemente proclamate.
La curiosità mi obbligò a fermarmi e a chiedere – con molto tatto – che gusto avesse il cibo che stava mangiando. E lui, con tono goliardico mi disse: “Ci sei cascato! Non sto divorando le ghiottonerie che hai sentito, ma il solito panino con tonno e pomodoro. Solo per spezzare la monotonia alimentare e convincermi che si può stare meglio ho deciso di lavorare con la fantasia a tal punto da persuadermi di nutrirmi con le suddette squisitezze. Conosci il potere dell’immaginazione? Anch’io sono figlio dell’utopia, perché sull’onda della protesta studentesca del 1968 gridavo a squarciagola “la fantasia al potere”. Eravamo di poveri mentecatti. Adesso, però, da quando è iniziata la campagna elettorale per le amministrative della vostra città, leggendo dai giornali i discorsi di tanti politici, mi sono tornate in mente tutte le strategie che usavamo noi 45 anni fa. Sai l’immaginazione ha una tremenda forza creatrice…”
E io di getto: cosa riesce a creare?
Lui, che nel frattempo aveva ingoiato l’ultimo boccone, con fare di uomo navigato, rispose: “ In ambito relazionale crea sogni, fantasticherie, illusioni, favole, divagazioni…Se tutto questo non ci fosse il mondo finirebbe di colpo. In campo socio-politico- religioso crea le premesse di ripresa economica, di nuovi posti di lavoro, di rilancio sociale, di suggestioni comunitarie per un solo leader, di allucinazioni collettive attorno alle utopie del sistema. Alla fine buona parte di queste «premesse» diventa «promesse»”.
Man mano che mio interlocutore parlava, aumentava la mia consapevolezza del suo spessore culturale. Il suo filosofare mi attraeva. A malincuore lo lasciai dopo averlo calorosamente salutato e ripresi la strada del ritorno. Nei pochi metri che mi separavano dalla mèta continuai brevemente la riflessione. Mi rincuorai perché mi dissi che se non altro la fantasia è un mezzo per essere aiutati a liberarsi dall’accerchiamento socio-politico-religioso del momento presente.
Pensai pure che l’immaginazione è una facoltà che tutti abbiamo (senza spendere nulla) e se la sappiamo addomesticare ci permette di superare le preoccupazioni e i problemi. E’ una forma particolare di benessere. In fondo il vecchio slogan “l’immaginazione al potere” ha più forza ora che prima. Immaginiamo… il meglio. Fra due generazioni se ne vedranno i frutti.
Ettore Sentimentale