RADIO ZANCA: ANCHE I FEDELISSIMI ABBANDONANO IL TRAGHETTO

Ci sono dei momenti in cui ogni gestione “politico – amministrativa” misura la sua verità: per noi messinesi, da mesi avviluppati in una tela di ragno di versioni ufficiali e di scambi di opinioni infinitamente affabili e infinitamente ipocriti (Francantonio Sì, Francantonio No) con rappresentanti della cosiddetta società civile, la verità si è presentata la sera dell’annuncio della sconfitta del candidato sindaco Felice Calabrò. La colpa dell’infelice esponente del Pd è di essere riconducibile all’onorevole Francantonio Genovese. In verità la colpa maggiore dell’infelice candidato è quella di essere monocorde. Per essere più chiari, l’immagine che potrebbe sintetizzare la sua campagna elettorale è un discorso breve, registrato con voce piatta e distante, chiusosi con il silenzio improvviso di un nastro che si conclude: chi vince ha sempre ragione, chi perde accettare il verdetto dell’urna. Ma noi che ci occupiamo di parole vi proponiamo una chiave di lettura diversa dalle celebrazioni collettive che di solito accompagnano il carro del vincitore. La vittoria del Renatino nostro non è frutto di una rivoluzione, bensì il naturale epilogo di una scelta errata. Ma questo Genovese lo ha già capito da solo anche se dall’altra parte vendono come trionfo una semplice ma umana “vendetta” nata in casa Pd. Perché se la vittoria di Accorinti fosse sul serio figlia di una rivoluzione culturale di una città che vuole voltare pagina dal basso oggi ci ritroveremmo in Consiglio comunale ben altri eletti: non è che i messinesi quando votano il sindaco sono coraggiosi e quando sono chiamati a scegliere i consiglieri degli utili idioti… Altrimenti si rischia di cadere nella farsa cara a quei candidati verginelli che se vincono loro la città ha risposto in maniera civile, se vince l’avversario è un risultato frutto di raccomandazioni e manipolazioni criminali. E per non smentirci è scattata l’operazione propaganda, tesa a presentare la decisione maturata all’interno del fragile Pd siciliano come una vittoria del cambiamento e non come una sconfitta della ragione. Fb ha cominciato a proiettare inni di festeggiamento e poesie sull’eroismo del grande movimento del nostro Renatino scalzo. Ai comunicatori del Sistema è poi toccato il compito di diffondere questa versione. Ma accade qualcosa di imprevisto: non tutti sono vuoti. Ci guardiamo intorno e realizziamo, improvvisamente, di essere rimasti da soli, gli altri sono già saliti sul carro del sindaco. E riflettendo comprendi che l’oleata macchina del controllo cui eravamo stati sottoposti per giorni e giorni, si era inceppata in pochi minuti. Nessuno di coloro che avrebbero dovuto agitare la bandiera rivoluzionaria era convincente perché bisogna “essere” per poter predicare. La verità è che niente di così rivoluzionario è avvenuto, ma si è semplicemente consumata una vendetta che ha una spiegazione terrena, figlia dell’umana esistenza: si ama e si odia, si promette e si tradisce. Perché la natura degli uomini è fragile: ti sarò fedele finché mi conviene. Questo è una democrazia che di rivoluzionario ha ben poco perché sfrutta la miseria umana, il raggiungimento del proprio tornaconto. Insomma, finché gli ex fedelissimi di Genovese condivideranno dei vantaggi con il sindaco scalzo, Renatino è in una botte di ferro. E la Messina rivoluzionaria con lui.