di Nicola Forcignanò
Mi hanno annoiato, in queste ore che hanno seguito la sentenza della Cassazione, le dichiarazioni dei politici, di centrodestra e di centrosinistra, presi a commentare visceralmente e talvolta in modo scriteriato la condanna di Silvio Berlusconi. Mi hanno nauseato i tweet come i post su Facebook dei tifosi equamente divisi tra la redenzione dell’unto dal Signore e una virtuale piazza Loreto del dittatore. Ma è da qui che voglio partire per quella che è soltanto una modesta riflessione sul futuro del nostro malmesso Paese. Perché, a mio avviso, insieme con il Cavaliere sono stati condannati tutti gli italiani, nessuno escluso. Tutti prigionieri di una situazione che non offre alcuno sbocco. Ma che, anzi, è destinata ad acuirsi ancora di più. Come se non ci bastasse già lo scontro perenne tra due realtà che in questi vent’anni non hanno proposto nulla se non la divisione. Una divisione inconcludente che altro effetto non ha avuto se non quello di paralizzare lo sviluppo di uno Stato che segna il passo e non trova da nessuna parte la mossa, giusta o sbagliata, per tentare la minima ripresa.
Non voglio assolutamente entrare nel processo e nella relativa condanna. Non mi importa sapere se Berlusconi sia innocente o colpevole. Non è questo il mio problema. Che l’uomo di Arcore abbia subito una vera e propria aggressione giudiziaria è davanti agli occhi di tutti. Un fuoco incrociato di ispezioni, indagini, avvisi di garanzia e processi. Ha resistito, ha combattuto, ha tentato di fuggire. E ha perso. Ma ora qui c’è la lapide della Cassazione, tutto il resto sono solo parole. Parole che tutte, forse, ci regalano delle verità. ma nessuna di queste verità può essere più forte di una sentenza, nessuna può ribaltare un giudizio definitivo. Quattro anni e l’interdizione dai pubblici uffici, questa è l’unica verità. Che se si vuole credere nello Stato è una verità universale. Punto e basta.
Il problema per l’Italia è un altro. Questa sentenza non risolve il problema-Berlusconi. Anzi, come un’iniezione di doping, ne aumenta gli effetti a livello politico. E quindi a livello Paese. E’ evidente che chi s’era illuso che una sentenza potesse cancellare il Cavaliere dalla scena ha commesso un errore macroscopico: questa condanna lo rimette incredibilmente in sella, molto più forte di prima. E poco conta se sarà ancora lui a esporsi in prima persona o dovrà limitarsi a tirare i fili dei burattini che deciderà di manovrare. Sua Emittenza ha ottenuto quanto voleva: il martirio. E sarà sulla nota del vittimismo che batterà da qui alla prossima scadenza elettorale. Sarà la privazione della libertà la bandiera che farà sventolare sulla prigione dorata nella quale verrà rinchiuso. Sarà l’esclusione forzata dai ruoli politici che ricorderà ai suoi elettori appena giudicherà sia conveniente farlo. Berlusconi è morto, viva Berlusconi. Sarà lo slogan che accompagnerà i nostri prossimi anni. Nessuno s’illuda. Il Cavaliere è molto più vivo di prima. E nulla avrebbe potuto dargli tanta forza quanto una condanna.
Un governo debole e messo ora sotto scacco dal centrodestra. Una sinistra dilaniata dalle correnti e dall’incapacità di costruire il proprio futuro. Una grave crisi internazionale che sta esplodendo ogni giorno con maggior vigore. Una politica dell’esecutivo che inevitabilmente non potrà essere che fondata su tasse e sangue. Sono questi gli strumenti che Berlusconi userà sicuramente con freddezza e cinismo per aumentare il proprio consenso. Altro che grazia, una pallottola spuntata che gli si ritorcerebbe contro e che nessuno potrebbe concedergli. Altro che guerra civile, una minchiata da solleone. No, sarà solo soffrendo il proprio esilio che Berlusconi riconquisterà comunque il potere.
Già, ma noi italiani che di questa telenovela datata 1994 siamo già arci stufi? Niente, la speranza di diventare un Paese normale – come diceva D’Alema – è tramontata ancora una volta. Berlusconi, buon per lui, continuerà ugualmente a condizionare la nostra politica.. E noi saremo costretti a rinunciare a qualsiasi speranza di un cambiamento. Avremo ancora una Nazione divisa in due: con lui o contro di lui. E del nostro futuro nessuno riuscirà a occuparsi. Non il Cavaliere che in vent’anni nulla ha concluso se non una sguaiata battaglia personale contro la magistratura. Battaglia persa. Non una sinistra debole che nemmeno i propri di problemi riesce a risolvere. E che governa con l’arte stantia del rinvio.
Rassegniamoci. Siamo tutti condannati.