Solidarietà internazionale cercasi

di Fabio Caffio

Come sempre succede in Italia dopo una grande tragedia come l’ultima sulla costa di Lampedusa, al sincero dolore per le vittime si associano prese di posizione pubbliche contrastanti. In questi tristi frammenti, nemmeno l’Europa rinuncia a rimarcare punti che rivelano l’esistenza di un "pregiudizio antitaliano". Vista la partecipazione emotiva del paese, è tuttavia utile mettere a fuoco alcuni punti chiave.

Corridoi umanitari
Secondo una vecchia idea, si vorrebbe istituire una zona protetta che dalle coste africane consenta ai richiedenti asilo di giungere via mare a Lampedusa, venendo assistiti nelle acque da un presidio navale.

Lungo un simile corridoio, i migranti potrebbero accedere liberamente alla "porta d’Europa" per poi ricevere protezione in Italia o in un altro paese che accetti di accoglierli. Questa idea non considera però né la questione della valutazione preliminare ed imparziale dello status di rifugiato alla partenza, né il problema del trasporto per il quale verrebbe di pensare a vettori aerei e marittimi sotto l’egida dell’Unione europea (Ue).

Le rotte dei migranti mediterranei (Fonte: Frontex).

Fini-Bossi
Vi è poi l’idea di rivedere la legge Fini-Bossi per modificare la parte che criminalizza il favoreggiamento dell’immigrazione, evitando quindi di impedire i soccorsi ai migranti.

In realtà, secondo questa legge le attività di soccorso ed assistenza umanitaria prestate in Italia a favore di stranieri in condizioni di bisogno non costituiscono reato.

Se proprio si vogliono evitare aberranti incriminazioni di pescatori che assistono in mare migranti in difficoltà, si potrebbe effettivamente adattare la norma, prevista dal codice della navigazione, relativa ai doveri del soccorso alla vita umana in mare.

Altro problema che esula dalla presente analisi è invece quello del reato di clandestinità la cui valutazione va condotta tenendo conto del bene giuridico della sicurezza pubblica che attraverso esso è attualmente protetto.

Un altro punto debole della Fini-Bossi sta nell’ammettere l’esistenza della zona contigua – una fascia di 12 miglia oltre il limite delle 12 miglia del mare territoriale in cui è possibile prevenire e reprimere l’immigrazione illegale – senza tuttavia regolamentarla.

Il risultato è che nel nostro ordinamento la zona contigua vive una vita effimera nonostante da più parti ne venga sottolineata la necessità secondo la prassi mediterranea.

Sarebbe forse più semplice emanare un decreto applicativo della Fini-Bossi che, alla luce dei principi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, regolamenti i poteri esercitabili da forze di polizia e marina militare nella zona contigua e disciplini anche il fermo delle navi madre in alto mare sulla base della dottrina della "presenza costruttiva".

Frontiere esterne
Secondo recenti dichiarazioni della commissaria Cecilia Malmstrom, sorvegliare le frontiere esterne della Ue sarebbe tuttora una misura prioritaria per impedire ingressi illegali e combattere il crimine transnazionale.

Dopo anni di studi, la Commissione si appresterebbe a varare il progetto Eurosur incentrato sullo scambio di informazioni sulle rotte seguite da trafficanti.

Lo scopo è quello di intercettare questi ultimi mentre escono dai porti di partenza o sono ancora in alto mare per evitare che raggiungano la destinazione.

Per la prima volta, la Ue interfaccia l’intercettazione in mare dei trafficanti con gli inderogabili obblighi di salvataggio. Funzionale a questo è la previsione di accordi con i paesi di provenienza anche al fine della cooperazione nel soccorso in mare, attività questa di cui finalmente la Ue avverte l’inderogabilità dopo che l’Italia ne ha fatto per vent’anni una bandiera del suo universalismo.

Diritti umani
Il tallone d’Achille di Eurosur e di Frontex sta però nei respingimenti in mare che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha addebitato all’Italia in una sentenza del 2012. La commissaria Malmstrom ha dichiarato che il rispetto dei diritti umani, della protezione internazionale e del "non respingimento” sono principi fondamentali sui quali l’Italia ha ancora strada da fare.

Ci sarebbe molto da dire su tale reprimenda che non risulta essere mai stata rivolta ad altri paesi impegnati nei respingimenti, come la Spagna.

Ben conscia di queste incoerenze, la Commissione mette in chiaro che Frontex e gli stati membri dovranno adottare safeguards per non respingere richiedenti asilo, vittime di traffici e minori. Tuttavia l’applicazione del principio sarà difficile.

L’Italia è stata già condannata proprio per non aver verificato la sussistenza del diritto alla protezione internazionale sulle navi impegnate nel riaccompagnare migranti soccorsi in prossimità delle coste africane verso la Libia.

Altre vie
Uno sguardo oltre il Mediterraneo dà l’idea di come gli stessi flussi diretti verso l’Europa prendano altre vie.

Israele concede protezione temporanea a richiedenti asilo eritrei e lo Yemen, sotto l’egida dell’Unhcr, accoglie migliaia di profughi provenienti dal Corno d’Africa. L’Australia è stata invece di recente redarguita per respingimenti massicci di migranti provenienti via mare dall’Afghanistan attraverso l’Indonesia.

Occorre quindi superare gli angusti limiti dell’Europa per proporre alle Nazioni Unite di farsi carico del problema, adottando misure condivise e realistiche.

L’Italia ha titolo per richiedere sia all’Europa che all’Onu maggiore coerenza e coesione internazionale nel trattamento dei migranti via mare. La prossima presidenza italiana della Ue sarà un banco di prova.

Fabio Caffio è Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo