di Luigi Sturniolo
La tesi fondamentale del comunicato del Sindaco di Messina, che parla a nome di tutta la Giunta, sull’occupazione della scuola di Paradiso è che non sia giusto, attraverso atti di forza, scavalcare in graduatoria chi ha più diritto nell’assegnazione di un alloggio popolare. Argomento giusto ma, a dire il vero, più facilmente utilizzabile in contesti nei quali siano verificabili assegnazioni e scorrimenti delle graduatorie con tempi umanamente accettabili.
Ma, comunque, questo cosa c’entra con l’occupazione della scuola di Paradiso? Non c’è, in quel caso, alcuna occupazione di alloggio popolare. Quella scuola, in disuso, era pensata ed è stata pensata dagli occupanti come risposta d’emergenza. E c’è una graduatoria delle emergenze? Le emergenze sono tali perché sfuggono alla ordinaria regolamentazione e così vanno trattate. Quell’occupazione è, quindi, semplicemente, l’atto attraverso il quale tre famiglie si sono date un tetto sotto il quale dormire (e magari passare anche un Natale più sereno). Certo, ci saranno immediatamente dubbi e perplessità sul reale stato di bisogno di queste famiglie. Perché c’è una cosa più terribile della povertà, ed è la colpevolizzazione della povertà, il suo doversi giustificare, il suo dovere mostrare di essere ineccepibile, politicamente corretta, sempre.
Gli ultimi, si sa, sono buoni fino a quando stanno al loro posto, e aspettano che qualcuno porga loro un soldino, magari a Natale, prelevato da quel capitolo (sempre più esiguo) che nel nostro budget assegniamo alla beneficenza.
Ma c’è un’altra tesi, più triste, nel comunicato di Renato. Attraversa quelle parole e viene sottolineata dal modo in cui ha affrontato anche le mobilitazioni sindacali degli ultimi tempi. La tesi è: “noi stiamo facendo per il meglio; nessuno avrebbe potuto fare meglio di noi; quindi, non hanno senso scioperi e mobilitazioni”. In sostanza, ciò che andava bene prima non va più bene adesso. Non ci vuole una grande perspicacia per cogliere la pericolosità insita in questo assunto. E’ l’affermazione della pacificazione, la negazione della ragionevolezza del conflitto sociale, addirittura il disconoscimento della normale dialettica tra i ruoli in una composizione democratica. E cosa ne è di quell’assunto in periodi, come quello attuale, nei quali i Comuni non hanno, oggettivamente, le leve per dare risposte adeguate ai bisogni, anche quelli primari, dei cittadini? Se quello che ho a disposizione è terribilmente poco per dare risposte alle domande che vengono dalla società non me ne faccio granché della gestione equa di quel poco. Soprattutto, cosa me ne faccio se, intanto, non ho gli strumenti per scalfire la sempre più odiosa divisione della ricchezza? Cosa me ne faccio se non riesco a modificare il fatto che i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri (e questo non è dato ideologico, ma semplice rilevazione statistica)? Forse sarebbe più giusto, in questo caso, interpretare la stessa amministrazione in maniera più combattiva.
In fondo era questo che si chiedeva quando si chiedeva il cambiamento. Questo si diceva quando si è detto, per un attimo, del valore produttivo e innovativo della disobbedienza che si faceva amministrazione. Soprattutto, in questo contesto, non è sacrosanto che i lavoratori, i cittadini, i poveri si organizzino per trovare loro le risposte? E se questo avvenisse, come avevamo detto in campagna elettorale (tanto che avevamo pensato ad un assessorato all’
autogestione dei beni comuni e che Renato stesso aveva partecipato a quell’atto illegale che è stato la riapertura del Teatro in Fiera) attraverso pratiche dal basso autogestionarie, autorganizzate, riappropriative?
Non nego di essermi sentito offeso dalle parole del documento laddove quelli come me, che hanno solidarizzato con gli occupanti, vengono accusati di attivare meccanismi clientelari, ma mi importa di più di cosa ne sarà, adesso, di quella occupazione e di quelle famiglie. “Solo la liberazione della struttura potrà consentire l’avvio di una ristrutturazione e l’attuazione del programma della Giunta”, questa la frase con la quale termina il comunicato.
Scritto da un altro che non fosse Renato potrebbe addirittura sembrare una minaccia di sgombero. Ma anche piegarli per mancanza di acqua ed energia elettrica non sarebbe la stessa cosa? E se anche uscissero domani, sconfitti e a capo chino, per andare chissà dove, magari in una baracca con il tetto in eternit, non sarebbe peggio? Ma c’è una quarta possibilità. Che da questa piccola occupazione abbia inizio un grande movimento per la casa e che questo riesca a convincere Renato e la sua Giunta che, non contro ma insieme, sia possibile rimettere in disponibilità le tante case sfitte (pubbliche e private) e che questo possa soddisfare un diritto primario come quello all’abitare. Difficile, ma possibile. Come difficile, ma possibile, era che un uomo come Renato Accorinti diventasse Sindaco della città di Messina.