di Roberto Gugliotta
Non prendetemi per pazzo ma paradossalmente ci sono molti aspetti rassicuranti nella crisi politico/economica di Messina. Il primo, forse il più grande, è che tutta la vicenda dimostra che la comunità non debba assolutamente aver paura di fallire. Per anni siamo stati abituati a considerare Renato Accorinti un paladino degli ultimi, gran compagno di marce contro tutto e tutti, forse un po’ troppo furbo, spesso vanesio solista, ma decisamente augurabile. Adesso scopriamo che era praticamente un nemico dei poveri. Non è il primo caso di personaggio avventuroso, ma è sicuramente il primo che viene messo in vetrina (e forse prossimamente dentro l’armadio della politica) dal suo stesso popolo deluso. La grande differenza è che tramite i blog il cittadino ha gli strumenti giusti per intervenire: una riflessione che definisce i confini dell’avventura solitaria di una finta rivoluzione e un sindaco non all’altezza per limiti evidenti – si può essere dei santi ma non adatti ad amministrare – che in ogni caso è più un primo cittadino virtuale che reale. A Messina serve urgentemente un bravo amministratore, altre cose non sono chieste. Il caos al Comune lo dimostra ampiamente. Si è gridato a lungo al fallimento, poi si è scoperto che il nodo più grosso consisteva nel districarsi tra tutti i suoi cattivi servizi. Qui non si tratta di essere pro o contro Accorinti, ma di decidere se questo cortocircuito di idee debba continuare ad alimentare tensioni. Non c’è una decisione presa dalla Giunta che sia condivisa né condivisibile. Lo riperto: Accorinti dovrebbe gettare la spugna e farsi da parte proprio per dimostrare che ama questa città. Altrimenti, se resta, ne aumenta i mali, i disservizi. Nessuno può ritenersi idoneo per tutto: lui sarà stato un validissimo allenatore di atleti, un bravissimo preparatore fisico, uno straordinario combattente contro la guerra ma non è abile a guidare una città. Ne prenda atto, si faccia da parte. Ma se testardamente rimane sulla poltrona dimostrerà solo che è uguale ai politici di professione che una volta contestava. La verità è che ci sono molti sindaci, non tutti, ma molti e Accorinti mi fa pensare che sia tra questi, che sono talmente abituati alle luci della ribalta e a convivere con l’immagine pubblica e privata che la loro carica offre, da confondere il Comune con se stessi. Non sanno o non vogliono distinguere tra il loro fallimento e quello della politica. La situazione attuale di Messina, se ce n’era bisogno, dimostra una volta di più che la grande stretta economica, la grande paura, riguarda invece soltanto loro. C’è un modo semplicissimo per evitare che i libri contabili di una Pubblica amministrazione finiscano in tribunale: che gli amministratori/dirigenti paghino. Può sembrare sconvolgente, ma sono pochissimi quelli che in tutti questi anni lo hanno fatto. Sono anzi sicuramente di più quelli che attraverso le emergenze cittadine hanno raddoppiato i beni personali o si sono creati immagine e conoscenze capaci di aprire moltissime porte. Se lo spettro del dissesto di Palazzo Zanca significa poter riuscire a capire, quanti furboni ci sono davvero, perché perdere questa occasione splendida?