di Roberto Gugliotta
Si potrebbe portar pazienza. Perchè no? Il prezzo dell’operazione “Salva Messina”, ovvero evitare il dissesto del Comune, si potrebbe forse anche pagare. Si potrebbe sopportare il disagio dei disservizi, tollerare gli sprechi, sorridere (amaro) per le insipienze degli assessori, le cadute di gusto del sindaco, per il decollo verticale dei costi. Si poteva inghiottire anche la retorica della madre di tutte le tragedie (la Tares) e dell’immagine del Made in Messina sporcata dalla spazzatura. Si potrebbe sperare che Accorinti da profeta No Ponte rimargini tutte le ferite in un colpo solo, con qualche spot vincente. Non è detto che ciò non avvenga. Chi non lo spera? Ma se tutto ciò si avverasse, davvero il bilancio di Palazzo Zanca sarebbe in attivo e ogni problema accantonato, perdonato, dimenticato? Davvero il dissesto economico può essere circoscritto al fin troppo noto rosario di doglianze? No, purtroppo. E’ accaduto, sta accadendo anche altro, ben altro, qualcosa fatalmente capace di condizionare il destino della città sulla quale si è abbattuto il ciclone della frenesia debitoria da si salvi chi può. Fenomeno non nuovo, in verità. Quel che è accaduto per questa città è già accaduto. Ci sono progetti sopravvalutati, talenti spesi male, speranze mal riposte. E poi quella gran mole di massa debitoria che se passasse l’ipotesi dissesto sarebbe riconosciuta dal Comune al 40%… capite bene che ci sono interessi da salvaguardare. Il litigio è sempre per l’euro non per il bene collettivo. Nel valutare il motivo per evitare il dissesto da parte di questa Amministrazione ecco svelata una trama, un’idea conduttrice. Bastava cercarla tra le pieghe del Bilancio. Non una politica, quindi, ma un costume, anzi un malcostume: aiutare i ricchi a scapito dei poveri.