di Nicola Currò
Attorno alla recrudescenza dello scontro tra un pezzo di Pd e Francantonio Genovese ci si chiede: dopo questa violenta guerriglia giudiziaria che ne sarà della formazione professionale in Sicilia? Soprattutto: Crocetta, oltre a sollecitare le procure a intervenire contro chi minaccia il suo potere, è in grado di pensare a un sistema della formazione professionale moderno e in grado di conciliare le aspettative dei giovani con quelle del mondo del lavoro? Oltre lo smembramento di quello che in modo sprezzante è stato definito il “clan Genovese” (le parole, usate in un certo modo, fanno più rumore di una pallottola sparata a bruciapelo!) la sensazione che si ha, in tema di formazione, è che nel più puro stile gattopardesco tutto cambierà perché tutto rimanga così com’è e che fatto fuori un gruppo ad esso ne subentrerà un altro e non è detto che il nuovo sia meglio del vecchio.
Dubbi legittimi che rimandano a un’altra grande questione: la riforma, non più prorogabile, della giustizia. La questione giustizia è divenuta il problema dei problemi per il nostro Paese. Sono anni che la magistratura (quella associata che detiene il potere di tutta la categoria) è impegnata in una guerriglia culturale tesa a perseguire un unico obiettivo: delegittimare il legislatore democraticamente eletto, ritenuto moralmente non all’altezza di realizzare qualsiasi tipo di intervento legislativo, sostituirsi ad esso e prendere in mano le redini del Paese. Da qui si comprende come la battaglia per una giustizia giusta sia divenuta una vera e propria priorità democratica che riguarda tutti, nessuno escluso. Si tratta di una battaglia che va combattuta fino in fondo prima che sia troppo tardi e prima che l’Italia subisca una svolta «democratica» sul modello vigente nei paesi sud americani.
Per superare definitivamente quest’empasse è innanzitutto necessario che la politica riconquisti il ruolo che legittimamente e costituzionalmente le spetta. Sarebbe opportuno riformulare il Lodo Alfano, quindi, normare in modo serio e rigoroso l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche e contemporaneamente varare la tanto agognata riforma dell’ordinamento giudiziario: tutti provvedimenti di buon senso e necessari per un paese che vuole continuare a definirsi civile. Provvedimenti per la cui realizzazione, e approvazione in tempi rapidi, auspicabile sarebbe la collaborazione,propositiva e non renitente, di tutta la classe politica. È pronta, però, soprattutto la sinistra a compiere un simile rivoluzionario passaggio? I dubbi sono tanti e non appena di tipo metodologico, quanto culturale.
A sinistra da tempo prevale la celebrazione acritica del potere giudiziario, argomentata dalla pretesa superiorità del diritto di formazione giurisprudenziale, che mal considera e giudica una politica ritenuta eticamente insufficiente. Su queste basi culturali, alle quali bisogna aggiungere il noto complesso di superiorità della sinistra, che spinge a nutrire un odio viscerale nei confronti della ricchezza (degli altri, beninteso!), è difficile prevedere una convergenza di tutta la politica. Del resto quello con la magistratura è sempre stato un rapporto pericoloso per la sinistra. Un rapporto di collateralismo coltivato con l’obiettivo di poter conquistare il potere per via giudiziaria, previo annientamento del nemico politico, che sino ad oggi, fortunatamente non si è ancora realizzato: ma chi può garantirci per il futuro?
La riforma della giustizia non è più rinviabile: il problema dei problemi deve essere risolto una volta per tutte. Nel frattempo sarebbe un bel segnale democratico se la Camera votasse contro l’arresto di Genovese. Sarebbe un modo serio per far capire che la politica non ha più intenzione di lasciarsi sottomettere da una magistratura che è divenuta un potere senza limiti che non intende retrocedere dalla volontà di tenere sottoscacco l’intero Paese!
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