Caro direttore,
desidero sottoporre una riflessione. Che significa essere garantisti? Che significa essere giustizialisti? Significa – per partito preso – essere insensibili alla necessità di contemperare la tutela del valore della difesa sociale e la tutela del valore della libertà personale … come dire, nella peggiore delle ipotesi, disonesti intellettualmente … nella migliore … cretini patentati. Insomma … tifoseria carogna … entrambe “maggioranze e minorate”. In un articolo del compianto giurista prof. Vittorio Grevi, nel 2010 insignito come socio onorario di Libertà e Giustizia, su Corriere della Sera del giorno 1 marzo 2008, si leggeva:
<< . . . Parole spesso usate a vanvera da politici orecchianti, propensi a esasperare le contrapposizioni terminologiche, anche a costo di perdere di vista quei valori di fondo che meritano invece di essere promossi e tutelati nella costruzione di una moderna società liberale e democratica. Questi valori sono, nel nostro caso, quelli della giustizia e delle garanzie. I quali sono valori positivi, ben lontani dalla brutta copia dei corrispondenti astrattismi, spesso impiegati solo per alimentare artificiose tensioni. Si tratta, anzi, di valori tra loro complementari, che devono essere realizzati insieme, attraverso un equilibrato rapporto di contemperamento, la cui concreta individuazione è compito del legislatore. Perché, sebbene sia banale dirlo, se sul terreno processuale non può esserci giustizia senza garanzie, è anche vero che la disciplina delle garanzie non può essere spinta al punto da impedire di «fare giustizia» entro tempi ragionevoli.>>
Nello stesso articolo, altresì, si evidenziava:
<<E si dimentica altresì che – come ha di recente ricordato anche il presidente Napolitano – l’ «investitura popolare» di cui godono gli uomini politici non può mai trasformarsi per gli stessi in un «privilegio» di esonero dal rispetto delle leggi né può sottrarli agli accertamenti della magistratura per eventuali reati commessi in precedenza>>.
A me non sfugge che il dibattito sulla Riforma della Giustizia sia stato pesantemente condizionato dall’ex Cavaliere Silvio Berlusconi che merita “storicamente zero in condotta” soprattutto per avere ipotecato e paralizzato il lavoro parlamentare avvitato sulle sue vicende processuali. Sufficiente per una deriva anarchica, destrutturante, destabizzante?
Non mi sfugge, tuttavia, neppure questo.
Chi ha avuto modo di leggere la proposta dell’on. Leone, relatore (ora ex) della commissione parlamentare per la autorizzazione a procedere nei confronti di Francantonio Genovese ha registrato una posizione articolata in linea tecnica che non è apparsa deviata da inflessioni ideologiche. Il voto della Giunta – per converso – è sembrato volere interpretare il momento elettorale.
Vorrei solo aggiungere che il tema da taluni sollevato “perché un deputato deve godere di un privilegio … di trattamento diverso a quello riservato a un comune cittadino?” andrebbe integrato da almeno tre seguenti punti di domanda che esulano dal “fumus persecutionis” ma che dalla vicenda de qua riprendono quota nonostante la serietà dell’inchiesta:
1) lo strumento della misura cautelare – applicato nella stragrande maggioranza delle fattispecie che coinvolgono comuni mortali – rispecchia la ratio legis nella ortodossa verifica del pericolo di fuga, di reiterazione del reato, di inquinamento delle prove?
2) la magistratura inquirente si fida ((è messa in condizione di fidarsi ed disposta per altro verso a fidarsi) del “processo” (del rito, del tempo, del contradditorio, del verdetto) e in che misura – talune sue espressioni – si “accontentano” della amplificazione mediatica della notizia criminis?
3) se la c.d. Giustizia è – innanzitutto – amministrazione della Giustizia e non ordalia … perché continuare a giudicare “male” la fiduciarietà degli incarichi “politici” dovendo ricorrere – come la città “eletta dal basso” – a fantomatiche selezioni aperte e trasparenti per nominare chi comunque si sarebbe nominato a prescindere da criteri e meriti – e non sindacare le nomine (ctu, amministratori, curatori etc.) anche di altri “Palazzi”? Non si tratta pur sempre di impiegare danaro pubblico?
In un libro del 1994. della collana Diritto e Rovescio della Giuffre’ Editore, dal titolo “Giudicando Giudicando” lo scrittore, il magistrato dott. Fausto Nisticò sottolineava <<Si dice che il magistrato giudica, ma è meglio dire che egli decide; giudicano Iddio, i posteri, il tempo, la storia, le mogli i loro mariti quando l’entusiasmo è scemato, dunque persone che esprimono giudizi morali come tali sempre di parte e ispirati. Chi, al contrario, decide non esprime alcun giudizio morale, ma fra due tesi ne sceglie una e dunque non fa altro se non dirimere una questione, convenzionalmente ritenendosi che la sua opinione sia quella giusta.>>
Non rientro tra coloro che immaginano di sottoporre il P.M. al c.d. esecutivo e neppure tra coloro che immaginano di imbrigliarlo gerarchicamente. Il magistrato che indaga e il magistrato che giudica (meglio decide) deve essere sottoposto – così come è – solo alla legge. Per l’appunto. Tuttavia, si può immaginare – almeno – che il magistrato non espleti le sue funzioni nella città ove è cresciuto, ha studiato, si è formato allegerendo la statistica di potenziale astensione-ricusazione? E si può immaginare che il c.d. giudice naturale sia diverso da quello che il sentimento-umore di piazza – in certi procedimenti – può condizionare “ambientalmente”? E si può immaginare che tutti … proprio tutti … che agiscono nell’esercizio di potere dello Stato … quando sbagliano (secondo cosa giudicata) paghino direttamente e di persona?
Ed allora “tutti dentro”?
“Tutti dentro” è un film di cui Alberto Sordi, nel 1984, è stato regista e attore. E’ la storia, di un magistrato integerrimo nonostante certa vanità, che resta incastrato nella stessa inchiesta che stava seguendo.
Temo e rifiuto come profezia l’amara conclusione. Credo, infatti, nella necessità di affermazione del lavoro dei magistrati, del corso della giustizia, della distinzione del ruolo tra inquirenti e giudicanti, della parità di strumenti e prerogative di accusa e difesa, della presunzione di innocenza, del rafforzamento degli organici di polizia, magistrati, cancellieri, del decoro e nella efficienza logistica dei Tribunali e delle Corti, della tempestività delle risposte alle istanze di rispetto della legge, della attività investigativa senza intralci e senza accellerazioni e decellerazioni emotive, dell’arresto come misura cautelare e non come anticipata carcerazione senza attesa di finale giudizio, della effettività della pena in caso di condanna.
Davanti al “Palazzaccio” i giornalisti circondano il giudice Salvemini <<Signor Giudice … è il caso di chiederle se dopo la drammatiche disavventure che ha avuto … lei crede ancora nella Giustizia?>>
Risposta: <<ma … dopo le recenti amare esperienze io mio chiedo se è ancora utile investire tante energie per la applicazione delle leggi o se invece rinunziando a vacue speranze e ad aspettative mai ripagate non ci convenisse accettare l’Ingiustizia come regola e non come eccezione … questo nella speranza ovviamente che almeno l’ingiustizia sia uguale per tutti. … Scusatemi signori … ma sono inquisito … i Giudici mi aspettano … Grazie a loro>>.
Emilio Fragale