Il giornalismo d’inchiesta di Stella e Rizzo non fa sconti a nessuno, così è stato con “La Casta” (2007), e poi con “Vandali” (2011). Il 3 capitolo lo titolano proprio “Nelle mani di barbari e cannibali”, qui raccontano come a Nola in provincia di Napoli, si butta una incredibile fortuna. In pratica, scavando un terreno per fare un supermercato, casualmente è stato trovato un tesoro archeologico, un piccolo villaggio rimasto intatto, dell’età del bronzo: “una Pompei di quasi duemila anni più antica di quella annientata dall’eruzione nel 79 d.C. descritta da Plinio il Giovane”. Certamente ha ragione Isabella Bossi Fedrigotti, citata da Stella e Rizzo, che il nostro Paese possiede “troppi monumenti, troppe antichità, troppi beni artistici – paradossalmente – veniamo al mondo già saturi del bello, come certi bambini ricchi stufi – e perciò incuranti – dei tanti giocattoli che ingombrano le loro stanze. Tuttavia, chi ancora si lascia incantare dallo splendore delle nostre innumerevoli piccole e grandi città, dalla grazia dei loro edifici, dall’armonia dei paesaggi, non può interrogarsi, incredulo e sconfortato, sulle misteriose e perverse ragioni che inducono all’incuria del territorio un popolo che al territorio – inteso come obiettivo turistico – spesso deve la sua sopravvivenza”. Probabilmente è impossibile che lo Stato si prenda cura di tutto l’immenso patrimonio artistico, archeologico e culturale del Paese, “è doloroso ma va ammesso: non ci sono i soldi per ogni cosa che meriterebbe un intervento”, peraltro è anche impossibile fare un censimento di tutti i “pezzi” del nostro catalogo storico artistico abbandonati a se stessi. Il libro di Stella e Rizzo elenca magistralmente i casi di abbandono dei nostri edifici come la splendida Reggia di Carditello, un tempo un’azienda agricola modello, costruita dai borboni. Rimasta in balia di ladri e teppisti, che dopo il restauro hanno cannibalizzato tutto quello che potevano. E poi la Sicilia, l’isola più bella del mondo, dove Italia Nostraelenca una serie fittissima di siti a rischio. Lo scandalo degli scandali è Selinunte, una meravigliosa area archeologica, qui ci sono fenomeni estesi di degrado, ci sarebbe il tempio di Apollo ingabbiato da 11 anni dalle impalcature solo perché nessuno le smonta. I due giornalisti affondano la loro penna sullo scempio di cemento armato, sul paesaggio a due passi da Selinunte, in località Triscina, un ammasso di case, “completamente abusivo che detiene probabilmente il record mondiale di impunità(…)”. E poi la “Statale 18”, lungo la costa tirrenica della Calabria, spesso in parallelo con l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, “un po’ la metafora del mezzogiorno disperato”. Si trovano alberghi, villaggi turistici, una manna per studi tecnici, geometri e ingegneri, immobiliaristi, cementisti, depositi di laterizi, condomini di seconde case, agenzie di affitti e costruttori edili. Un mondo che trabocca di locali, tra pizzerie e discoteche, passando per ipermercati e caffè, con tanti nomi esotici, “ma non gliene importa assolutamente nulla del passato”. In pratica in Italia nonostante abbiamo il più basso tasso di crescita demografica d’Europa, troviamo il più alto tasso di consumo del territorio. Oliviero Toscani sul “Sole 24 Ore” con forte ironia faceva riferimento alla regina Maria Antonietta, che oggi si sentirebbe chiedere: “Maestà, il popolo chiede cemento”, mentre in Italia, infuria il Terrore urbanistico e il peggiore degrado del paesaggio”. Per Stella e Rizzo, “la responsabilità dello stupro del paesaggio non è solo della cattiva politica. E’ anche di tanti cittadini”. In questi giorni, sono andato al mio Paese natio, qui dall’alto della sovrastante collina, ho potuto vedere la trasformazione urbanistica, quasi uno scempio, con tante costruzioni, spesso abnormi simili a casermoni, peraltro vuoti, anche perché le nuove generazioni hanno dovuto abbandonare il paese in cerca di occupazione. Ritornando al tema della tutela e alla salvaguardia del nostro patrimonio storico, il libro affronta la grave questione dei cosiddetti “tombaroli”, veri e propri nuovi barbari, senza scrupoli. Nel marzo 2008, il quotidiano madrileno “El Mundo”, titolava: “Italia, saccheggio del paradiso dell’arte”: Ogni anno, migliaia di pezzi vengono rubati da chiese, monumenti e musei italiani senza che le autorità siano capaci di porvi un freno. In Italia esistono più di 3500 musei e 2000 siti archeologici che sono costantemente saccheggiati da ladri senza scrupoli che vendono poi la merce al mercato nero. Nel Paese con il maggiore patrimonio artistico e culturale dell’umanità, praticamente nessun tipo di opera pittorica, scultorea o architettonica è in salvo. Che siano piccole chiese di paese o grandi musei, i ladri non risparmiano nessuno e le istituzioni non sembrano in grado di proteggere i propri tesori”. Sempre un altro giornale spagnolo sottolinea che, “il 90% dei furti d’arte resta impunito”, inoltre, cosa grave, il traffico d’opere d’arte è oggi al quarto posto dopo quello di droga, armi e denaro sporco. Spesso la sparizione delle opere nei musei o chiese non vengono subito scoperte. Il ministero dei beni Culturali ha stimato che in 35 anni siano scomparsi oltre un milione di oggetti. “Tesori che alimentano un traffico illegale forse ancora più redditizio, e certamente meno rischioso, rispetto a quello della droga. Un traffico che coinvolge tutti: dai piccoli tombaroli, alla criminalità organizzata, fino alle più rinomate case d’asta e i grandi musei internazionali”.
A questa gente in pratica non succede nulla, se la cavano senza fare neppure brutta figura sul giornale, viene depredato di tutto, beni librari, suppellettili, arredi sacri, persino cimiteri. “Il Sacco di Roma dei Lanzichenecchi nel 1527 e le spoliazioni napoleoniche dell’Ottocento sono eventi che impallidiscono se messi a confronto al volume dei furti del giorno d’oggi”. Questi predatori lavorano di piccone, frantumando tutto per estrarre qualche statua o dipinto. Che cosa dovrebbe fare un Paese sottoposto a un tale saccheggio come il nostro? Per i due giornalisti, “dovrebbe avere regole feroci contro predatori, trafficanti, ricettatori. E’ in gioco la nostra memoria, la nostra faccia, la nostra storia. Il nostro turismo”. Ci sono i musei americani che acquistano reperti clandestini senza crearsi problemi. Il carcere non esiste per questa gente, non si processa per “direttissima”, anzi, si procede “per lentissima”. Il libro riporta il caso della “Venere di Morgantina”, tagliata in tre pezzi perché era più facile da far sparire e portare al di là dei confini. E’ il metodo dei tombaroli, amputano le statue, spaccano i sarcofagi, tagliano e sezionano i quadri per venderli a tranche, come accadde qualche anno fa a un dipinto di Lorenzo Lotto. Peraltro una volta venduto un frammento, quello successivo
può essere proposto a un prezzo ancora maggiore sempre allo stesso acquirente, invogliato a entrare in possesso dell’opera completa. Potremmo continuare ma concludo con una citazione del più grande viaggiatore della storia, Volfghang Goethe, che nel suo “Viaggio in Italia”, scriveva, forse capendo come andava a finire due secoli dopo: “Oggi sono stato alla Ninfa Egeria, poi alle Terme di Caracalla e sulla Via Appia a vedere le tombe ruinate e quella meglio conservata di Cecilia Metella, che dà un giusto concetto della solidità dell’arte muraria. Questi uomini lavoravano per l’eternità e avevano calcolato tutto, meno la ferocia devastatrice di coloro che son venuti dopo ed innanzi ai quali tutto doveva cedere”. Ri-concludo con una stoccata polemica, forse non bisogna troppo scandalizzarsi dello scempio dei beni artistici, se ormai da tempo anche nella nostra amata Italia, non ha più valore neanche la vita umana che si trova nel grembo delle madri.
DOMENICO BONVEGNA
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