In Sardegna, Campania e Sicilia il top di bocciati e di alunni con “debito”: è ancora allarme Sud

La Sardegna è non solo la regione con più abbandoni scolastici negli istituti superiori: sulla base dei dati ufficiali emessi in queste ore dal Ministero dell’Istruzione, si evince che il 31,4% degli studenti sardi porta a casa un’insufficienza da recuperare, contro una media nazionale del 25,9%. La Sardegna è anche la regione dove si promuove meno: i non ammessi all’anno successivo sono il 14,7%, contro una media nazionale del 9,6%. Negli istituti professionali i respinti sono il 23,3%, a fronte di una media del 16%. Praticamente, in Sardegna solo uno studente su due (il 53,9%) viene ammesso alla classe successiva. Vanno male anche le altre regioni del Sud: in Campania e Sicilia gli studenti, sempre della superiori, che non ce l’hanno fatta a superare l’anno successivo sono rispettivamente l’11,5% e l’11%.

Il sito internet Skuola.net, proprio su questi dati, ha tracciato l’identikit dello studente italiano più in difficoltà: “sardo al secondo anno dell’istituto tecnico. L’anno più difficile in cui gli studenti rischiano i vecchi esami di riparazione risulta essere il secondo anno delle superiori, che registra un 27,2% di sospensioni di giudizio, contro una media dei 4 anni pari al 25,9%, stabile sul 2012-2013. L’indirizzo più critico, in cui si rilevano i debiti più diffusi, è l’istituto tecnico che incassa un 29,8% contro il 28,4% dei professionali e il 22,1% dei licei”.

Le due maggiori isole italiane a quella campana si confermano, dunque, le regioni con più difficoltà di rendimento scolastico: da un recente studio nazionale sul periodo 2008-2013 è infatti emerso che tra le prime dieci province con maggiore dispersione di alunni alle superiori figura Caltanissetta (con quasi il 42% di iscritti al primo anno di cui si sono perse le tracce), Palermo e Catania, Ragusa, Sassari, Cagliari, Napoli e Oristano.

Dovrebbe quindi far riflettere la scelta del Miur, indotta solo da tassi demografici e migratori, di tagliare il prossimo anno a queste tre regioni oltre 900 docenti. Anief torna a ripetere che i ragazzi che lasciano la scuola sono destinati a diventare Neet, soprattutto perché vivono in aree del Paese dove il tasso di disoccupazione è alto e la produzione industriale risulta debole. Quindi, in quelle zone occorrerebbe assegnare un numero di docenti maggiore. “Laddove è alto il numero di alunni che lascia la scuola – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – non possono bastare gli stessi insegnanti previsti altrove. È evidente che occorre assegnare dei docenti in sovrannumero, per le materie di base, ma anche per quelle specialistiche, per le lingue e per i casi più difficili, anche in compresenza”.

“A questo intervento – continua il presidente Anief – andrebbe aggiunta la riduzione del numero di alunni per classe. Non si può pensare di creare una classe anche con 30 ragazzi, questi sono i parametri innalzati nel 2009 dall’ex ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, pensando che l’insegnante abbia la ‘bacchetta magica’. Solo riducendo il numero di ragazzi, spesso ‘difficili’, si può avere la possibilità che gli interventi compensativi, mirati al potenziamento delle loro capacità, possano avere possibilità di successo”.

Il sindacato reputa indispensabile, quindi, ricondurre le classi tutte al tempo pieno o al monte ore massimo giornaliero, espandendo le attività progettuali e a supporto della didattica. L’andamento è purtroppo ben diverso: i finanziamenti che il Miur assegna anche per questo genere di attività, tramite l’assegnazione dei fondi al Mof e quindi al Fondo d’Istituto, dal 2011 ad oggi sono stati tagliati di ben due terzi complessivi, da circa 1 miliardo e mezzo a poco più di 500 milioni da dividere per le oltre 8mila scuole autonome italiane.

Per arginare la situazione, inoltre, lo Stato dovrebbe investire con convinzione sull’alternanza scuola-lavoro: “per coinvolgere seriamente tutti i giovani a partire dai 15 anni, attraverso dei veri tirocini e stage. E non limitandosi a realizzarli più sulla ‘carta’ che nel concreto, come avviene oggi. E laddove mancano aziende, sempre lo Stato dovrebbe ricordarsi che il Sud dell’Italia detiene un patrimonio culturale e turistico immenso, unico al mondo: incentivandolo, riscoprendo l’arte e il turismo, potremmo così riuscire a far concludere gli studi a centinaia di migliaia di ragazzi che – conclude Pacifico – oggi lasciano la scuola prima del tempo”.