Se esistesse una cronaca a livello mondiale di quanto sta accadendo in queste ultime settimane nella città di Firenze in materia di droga-scuola, la città del Giglio sarebbe presentata come un ricettacolo di droga, dove gli studenti si fanno e contro-fanno, i genitori sono preoccupatissimi, le autorità mobilitate e le forse dell’ordine in piena mobilitazione per stroncare consumi e spacci. Scuole con cani da sniffo che infilano i propri nasi in tutti gli zaini e gli angoli possibili e immaginabili. Genitori che auspicano test antidroga generalizzati. Presidi che aprono i cancelli ai militari dei vari corpi di polizia (e un paio che hanno detto ‘no grazie’), media locali che informano con ampi spazi, politici locali e nazionali di origine locale che finalmente possono dire qualcosa in merito tornando dopo un po’ ai loro abituali silenzi e ignoranze in materia. Ogni tanto si trova uno spinello, a conferma di uno spaccio articolato emerso nelle scorse settimane. Incontri con gli amministratori locali, che ci sommergono di inutili frasi di rito. Grandi assenti? Gli studenti ed esperti del settore che non siano i soliti preti o esponenti di strutture dedite al cosiddetto recupero dei tossicodipendenti. Cosa stride in tutto questo? Che un fenomeno diffuso -anche in modo più drammatico- in tutta la nostra società, sia affrontato come un problema di ordine pubblico, di educazione scolastica/famigliare e di potenziali malattie. E’ chiaro che questo modo di affrontarlo non è estraneo al fenomeno, ma è solo riverso sulle conseguenze del fenomeno. Il metodo utilizzato cerca di articolare una prevenzione a partire dalle conseguenze che si manifestano, quindi cerca soluzioni nell’essere contro qualcosa, anti-droga, per l’appunto. Secondo “quelli che contano”, l’importante è lanciare dei messaggi, ognuno in base al proprio scheletro culturale serbato nell’armadio: il preside che dice “se ti droghi violi la legge e ne subisci le conseguenze”, il genitore che dice “se ti droghi diventi un dipendente, quindi un malato e avrai a che fare con la malavita”, il politico che dice “lo Stato c’è ed è forte e presente”, gli amministratori locali che dicono “incontriamoci e facciamo parlare tutti”. Ci sono le eccezioni, per carità. Non tutti i presidi credono di essere dei marescialli dei carabinieri in servizio permanente, non tutti i genitori sono convinti che lo spinello è l’anticamera della perdizione sanitaria e civica, di politici e amministratori che non parlano e agiscono a vuoto -per il momento e nello specifico territoriale- non ne abbiamo sentiti, anche se FORSE qualcuno dovrebbe esistere (aspettiamo fiduciosi). Dove si andra’ di questo passo? Noi crediamo che si arriverà a un punto molto virtuale dove tutto ripartira’ da capo. E gli studenti continueranno a farsi gli spinelli, magari non nascondendoli piu’ dietro lo sciacquone dei gabinetti della scuola (dove hanno capito che arriva il naso dei famosi cani), e soprattutto continueranno ad essere considerati solo in termini mediatici (per le famiglie, ovviamente, ognuno pensa per sè, nonostante le roboanti parole di coinvolgimento da parte dei politici e degli amministratori).
Ma che la scelta di far uso di droghe -da parte di chiunque, giovane o meno che sia, anche se i giovani ne sono culturalmente piu’ attratti- sia conseguenza di altro, a pochi viene in testa. La droga illegale fa parte della nostra societa’, anche se alcuni fanno finta che cosi’ non sia. E se una persona si interessa a sostanze che cercano di fargli aprire di piu’ il cervello e il corpo, ci sara’ pure un motivo; per esempio, che’ gli altri strumenti e metodi a disposizione non gli bastano, o non gli sono accessibili o non li conosce.
Se usiamo in materia un approccio positivo a partire dall’individuo e dalle sue esigenze ludiche e culturali, e’ evidente che la repressione non serve a nulla. Anzi. Quest’ultima, quando usata, aggrava il problema e rende piu’ attraente la sostanza, ingigantendone per il consumatore l’ipotetica portata coadiuvante. E altrettanto aggravio deriva dall’approccio sanitariamente catastrofistico (che forse ha un qualche effetto su soggetti con piu’ di sessanta anni). Se allo studente gli diamo una scuola che gli interessi, con materie interessanti e soprattutto fatte studiare in modo interessante da persone che hanno questo come missione e sono preparate in merito (e su come possa essere interessante, chiediamolo agli studenti stessi)… e’ probabile che lo studente cerchera’ le sue dimensioni mentali e corporee in queste opportunita’ e non in cio’ che -da clandestini per sostanze altrettanto clandestine- gli viene descritto/venduto come il proprio paradiso.
E’ questa la soluzione? No, per il semplice fatto che le soluzioni, per gli esseri che appartengono alla Natura, non esistono se non provvisoriamente. E’ un metodo che fa tesoro delle esigenze degli individui e cerca di render loro un servizio non solo come lo hanno pensato le istituzioni, tra l’altro sanzionando chi non ci sta, ma perche’ questo individuo abbia maggiori opportunita’.
La droga non sara’ debellata, ma ci si fara’ meno danni. Tutti.
“Ma il mi’ figliolo, se mi torna fatto di qualcosa, di chi e’ la colpa”, direbbe il genitore medio. Risposta: e’ della vita, signora e signore mio. E come c’e’ la morte e gli incidenti stradali, c’e’ la droga. Chi ha una vita piu’ sana vive piu’ a lungo, cosi’ come chi sta piu’ lontano possibile dal vortice stradale. Ma se obblighi qualcuno a mangiare sano o lo obblighi a non avere/andare in auto, la curiosita’ lo portera’ sicuramente a provare cosa e come sono i cibi cosiddetti insani, nonche’ la mobilita’ a motore, e pur di farlo sarebbe disposto a tutto. E qui entriamo nelle ipotesi di legalizzazione delle sostanze attualmente proibite, e il discorso si articola in modo piu’ complesso e, sostanzialmente, politico. Da fare in altra occasione.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc