È davvero strano come le cose vadano nella nostra terra: quanto sta accadendo in questi giorni è il frutto di quanto seminato negli ultimi 14 anni, da quando cioè il sindaco attuale di Messina era solo un noto contestatore che amava arrampicarsi sul pilone di Torre Faro per dire che la continuità territoriale si faceva con i ferry-boat, opponendosi agli 8 miliardi che sarebbero ricaduti sul nostro territorio per costruire strade e tangenziali, nuove linee ferroviarie e metropolitana, mettere in sicurezza il territorio a nord e rendere la Sicilia competitiva con l’intera Europa, nel quadro di uno scenario di economia globale.
Quanto sta accadendo in questi giorni è il frutto di vicende cominciate nel lontano 2002, quando l’allora amministratore delegato di RFI, decise che la rete ferroviaria siciliana avrebbe dovuto divenire rete complementare come in Sardegna.
Ma già da qualche anno la politica di dismissione era cominciata con la cessazione della direzione movimento delle Ferrovie dello Stato da Messina e con la graduale soppressione delle 56 corse giornaliere di navi traghetto che trasportavano treni a lunga percorrenza, sino alle attuali otto corse. Si è passati dalle 9 navi alle 2 attuali. Eppure malgrado fosse evidente in tutta la sua chiarezza il processo di dismissione nello Stretto, si fece a Messina una gran festa quando dal 1 marzo del 2013 la società Stretto di Messina S.p.A. fu posta in liquidazione dal governo Monti – Passera ed i fondi stornati alle grandi opere del Nord.
Sarebbe stato facile nei giorni in cui i No Ponte organizzavano sit – in di protesta, dire che l’onere di attraversamento di appena 3 km di mare, costava allo Stato e alle Ferrovie circa 250 milioni di euro l’anno, per avere un servizio obiettivamente antiquato, utile a trasportare qualche passeggero specialmente con treni notte, mentre invece il vero business di RFI e cioè il trasporto delle merci, veniva totalmente dirottato nell’Italia del Nord dove si costruivano le tav e le linee ferroviarie collegate ai porti.
Oggi la questione meridionale è semplicemente una questione infrastrutturale. Il sud comincia sotto Salerno e Bari.
Non avere la continuità territoriale con un attraversamento stabile dello Stretto è la più semplice follia che si possa concepire da parte di chi ritiene che nel 2015 si possa ancora considerare “binario ferroviario” il traghetto. Messina intesa in senso geografico, col suo Stretto, rappresenta la strozzatura che non consente alla Sicilia di avere dei porti gateway o hub o di sdoganamento, per il semplice motivo che non vi è continuità ferroviaria con il resto dell’Italia a causa della rottura di carico, con incremento di costi esponenziali per i vettori e le imprese manifatturiere.
Il vero dramma non è costituito dalla impossibilità di trasportare i passeggeri ma le merci. Senza le merci sdoganate non si sviluppano i porti condannati ad una attività puramente marginale di trasbordo e non redditizia. Se ci fosse il ponte ferroviario, per trasportare il contenuto di una nave media porta containers da 14.000 cassoni o teus, le ferrovie dovrebbero organizzare 560 treni da 25 vagoni cadauno. Possiamo solo lasciare immaginare a tutti quelli che si sono battuti contro il ponte, quanto lavoro avrebbero potuto produrre attivamente e quante aziende sarebbero cresciute sul territorio siciliano per la lavorazione e l’assemblaggio di questi prodotti. Basta dire che dal Canale di Suez ogni anno vengono trasportati l’equivalente di ben 50 milioni di containers ma di questi solo una parte infima finiscono nel naturale approdo dei porti siciliani non essendoci continuità territoriale tra la Sicilia e l’Europa.
Inoltre a fronte di 250 milioni di perdite sofferte dallo Stato attualmente per un servizio ferroviario scadente ed inefficiente, solo immaginando l’attuale traffico gommato pari ad 8 milioni di mezzi annui nello stretto ed ipotizzando che il ponte non produca alcun indotto, il che è irrealistico pensarlo, avrebbe determinato con un costo unitario di appena € 50, ben 400 milioni di euro di entrate a cui avrebbero dovuto sommarsi almeno 150 milioni di euro di royalty che le ferrovie verserebbero per il passaggio dei treni, ed a cui avrebbe dovuto ancora sommarsi il contratto di servizio per la metropolitana leggera tra Messina, Villa San Giovanni, Reggio Calabria e l’Aeroporto dello Stretto.
Invece restiamo o tentiamo di restare, l’unica nazione europea che per un braccio di mare di appena 3 km, continua a traghettare i treni per soli passeggeri. L’ultima tratta che, ancora per poco, prevede treni a bordo nave è quella della rotta ferroviaria tra Amburgo e Copenhagen, dove la Scandinavia Lines trasporta durante il giorno trenini di quattro vagoni ferroviari di appena 106 metri, che vengono trasbordati sul traghetto, scaricati dopo 45 minuti, per una distanza di 18 km. A prescindere che i treni merci ormai seguono la rotta che dalla Germania conduce alla Danimarca attraverso il ponte del grande Baelt, sussistendo la continuità territoriale tra la Germania, la Danimarca e la Svezia, con l’altro ponte sull’Oresund, questo servizio sarà soppresso, perché diseconomico ed oramai frequentato da soli nostalgici: nel 2018 sarà ultimato il tunnel che collega la Germania all’isola di Ferman davanti a Copenhagen.
Al contrario qui ci si intesta una battaglia politica di retroguardia alla ricerca del facile consenso in chiava elettorale, per una continuità territoriale impercorribile, costosissima che non dà nessun vantaggio alla Sicilia e che non garantisce alcuna ipotesi di sviluppo alla nostra regione.
Dobbiamo essere chiari: il 1 marzo 2013 è solo stata posta in liquidazione la società Stretto di Messina S.p.A ma non è morto il progetto del Ponte veicolare e ferroviario sullo Stretto.
Tale liquidazione ha buone prospettive di durare per un decennio, fino a quando cioè non saranno esauriti tutti i contenziosi attualmente sussistenti tra cui quello della maxi penale da 1 miliardo e 300 milioni dovuti per legge e per contratto la quale dovrà essere pagata dallo Stato, senza che il ponte sia stato realizzato.
Il progetto definitivo del Ponte esiste, è stato testato dalle più grandi società internazionali del settore, come l’americana Parsons Trasportation, che progettano e costruiscono ponti: è un progetto definitivo che ha avuto tutte le approvazioni internazionali e ministeriali.
In questo momento neanche la TAV Torino Lione ha un progetto definitivo e quando nel luglio del 2015 sarà ultimata la galleria esplorativa, il progetto definitivo della Torino Lione sarà costato oltre 1 miliardo di euro. Una distanza incolmabile con i costi del progetto definitivo del Ponte sullo Stretto di appena 300 milioni in quasi trent’anni di studi.
A prescindere dai dati occupazionali che prevedono l’assunzione di ben 6.000 dipendenti nei cantieri per i 7 anni previsti di lavori. Oltre alla messe enorme di lavoratori dipendenti ed autonomi e professionisti dell’indotto, oltre i ben 400 milioni di sola IRAP che ricadrebbe sul nostro territorio così fortemente provato dalla crisi economica.
C’è una sola speranza per questa città e per tutta la Sicilia: che il progetto venga immediatamente ripreso da un governo nazionale serio, che non vuole ridurre la Sicilia a colonia come essa è in atto. In tal senso appaiono obiettivamente stravaganti le notizie pubblicate sui giornali e dati dal Presidente della Regione secondo cui in Sicilia si starebbe costruendo l’alta velocità.
Si tratta semplicemente del doppio binario, in ritardo di almeno quarant’anni, che unirebbe la città di Messina a Catania e Catania a Palermo. Se tutto va bene e si trovassero i fondi questo progetto sarà ultimato nel 2022, ed i tempi di percorrenza da Messina a Catania si ridurrebbe dai 55 minuti attuali a 47 minuti. Mentre per recarsi da Messina a Palermo rispetto alle tre ore attuali, saremmo costretti a passare da Catania e poi da lì verso Palermo.
Il tutto con un risparmio di appena 15 minuti.
Pertanto, pur condividendo il dramma della nostra Sicilia, pur essendo consapevoli del duro colpo che questo governo nazionale, RFI e Trenitalia, stanno imprimendo a una Sicilia cancellata dalla geografia infrastrutturale del nostro paese e destinata alla scomparsa economica, oltre che all’emigrazione di massa nei prossimi 10/15 anni, non possiamo unirci a coloro i quali oggi in modo del tutto strumentale protestano contro la dismissione del traghettamento ferroviario nello Stretto.
Recita un noto adagio: chi è causa del suo mal pianga se stesso. È incredibile che il sindaco di questa città che tanto accoratamente si è battuto contro le ferrovie e l’alta velocità, oggi chieda sostegno alla deputazione e ai cittadini per una battaglia perduta in partenza e insignificante, se non nel tentativo disperato di difendere in modo assistenziale qualche posto di lavoro.
Troviamo straordinario che a protestare oggi siano gli stessi che prefiguravano soltanto due anni addietro, che la città si trasformasse in una luogo ameno per uccelli.
Alla desertificazione umana ed economica c’è un solo rimedio: battersi di nuovo e con forza perché venga ripreso e cantierizzato, senza indugio, l’attraversamento stabile dello Stretto.
Chi non ha questo come obiettivo sta soltanto deridendo, in modo demagogico e populista, un intero popolo.
Rete Civica per le Infrastrutture nel Mezzogiorno – Libera Messina
Fernando Rizzo, Antonio Costa, Nello Caruso e tanti altri