Je ne suis pas Renato. Senza giustizia non c’è legalità

Tre perle linguistiche che la nostra politica ci ha regalato: 1) non ho scelto una donna come assessore perché non ne ho trovata una con le competenze di Tizio o Caio; 2) vengo attaccato da una certa stampa prostituta; 3) gente in giacca e cravatta che ha stuprato la Sicilia. Ma con tutte le parole che si possono utilizzare perché si devono usare quelle che solo nel menzionarle offendono il genere femminile? Stuprare, prostituta, donne senza competenze… mi viene il vomito. Usare questi termini solo per esprimere un concetto o per attaccare chi non la pensa come te è veramente meschino. Meschino e senza rispetto per quelle donne che Lo stupro e lla prostituzione l’hanno vissuta, la vivono e la combattono. Donne senza un volto, senza una identità, senza una vita e soprattutto spesso senza uno stipendio fisso da professore o da primo cittadino. Donne con o senza figli, con o senza famiglia, con o senza futuro, ma di sicuro con tanta rabbia nel sentire che quello che loro patiscono venga usato nel gergo politichese. Chi riveste certe cariche, certi ruoli dovrebbe stare più attento. Chi c’è dietro costoro che rivestono cariche e ruoli (soprattutto se di estrazione clericale) dovrebbe prendere le distanze da tali affermazioni. Piuttosto che uno studio universitario sul fenomeno accorintiano ordinerei uno studio psichiatrico e personologico su chi usa tali affermazioni e soprattutto sulla gestualità e la verve che accompagnano il pronunciamento di tali parole quasi protese all ottenimento di un piacere psichico. Invito le donne attive a Palazzo Zanca a indossare una fascia nera l’8 Marzo e gli uomini coscienziosi a prendere le distanze indossando una maglietta con scritto Je ne suis pas Renato.

di Giovanna Cardile

La lettura di questa riflessione, mi induce a esprimere il mio pensiero. Nell’ordinamento giuridico italiano, la parità dei sessi è stata materia ampiamente trattata da un punto di vista legislativo, soggetta a integrazioni, modifiche, revisioni e sentenze "storiche" che negli anni 70 hanno avuto come risultato il riconoscimento, da un punto di vista normativo, dell’uguaglianza dei sessi nel lavoro, nella famiglia, nella società. Nel nostro Stato, non manca la legge, manca l’applicazione della legge. Nessuno stupratore è rimasto in carcere per dieci anni; senza giustizia non c’è legalità. In Italia, oggi le donne dovremmo lottare per la legalità come risposta ai crimini legati alla violenza. Parità nella diversità rimane la mia idea; lottare anche per il riconoscimento sociale del ruolo di "madre", ruolo scontato, dovuto, connesso all’essenza di essere donna che si concretizza nell’ardua responsabilità di forgiare le generazioni future. Detto questo, vorrei far presente che, da donna, non mi sono minimamente sentita offesa dalle espressioni usate dal sindaco Accorinti; fermo restando che il sindaco ha più volte disatteso i programmi che lo hanno portato a ricoprire l’attuale carica politica e che molti cittadini possano sentirsi delusi dal mancato miracolo di quello che doveva incarnare il tanto atteso cambiamento. L’appropriarsi nel linguaggio di termini "impropri" è uno strumento a cui spesso si fa ricorso per esprimere sinteticamente concetti ampi. "Stuprare" aggancia, rafforza e rende inaccettabile il concetto di violenza, abuso, ladrocinio, prevaricazione, appropriazione indebita …….. "Prostituta" aggancia il concetto di venduta; di chi vende la propria persona, la propria opinione, il proprio pensiero …… e questo rende il concetto inaccettabile! Se lo scopo è attaccare una persona e fomentare risentimenti popolari, la chiave di lettura proposta è la più efficace. Da donna ho percepito la sensazione di rabbia e di impotenza espressa da un uomo che da tanti fronti e su troppi aspetti si sente attaccato……. lontano il concetto di voler offendere o denigrare la figura femminile.