Mala Giustizia. Indennizzi per processi troppo lunghi

E’ già capitato: Strasburgo ci chiede di adeguarci ai parametri degli indennizzi Cedu e, per tutta risposta, lo Stato Italiano tenta il tutto e per tutto per sfuggire alle proprie responsabilità. Dopo le manovre dello scorso anno, finalizzate allo smaltimento del debito arretrato ex legge Pinto, con la legge di stabilità il Governo ha pensato bene di riprovarci, abbattendo gli indennizzi (dai 400 euro agli 800 euro per anno di anno di ritardo, a fronte dei precedenti 1000-1500) e ideando il sistema dei cosiddetti rimedi preventivi.
Cosa sono? Sono ostacoli procedurali all’ottenimento dell’indennizzo, procedure e termini posti a pena di inammissibilità della richiesta risarcitoria, veri cavilli che non risolvono il problema dei tempi della giustizia, ma che contano di risolvere quello delle casse dello Stato, che ogni anno accumula debiti verso gli utenti della mala giustizia. Si tratta di istanze che devono esser presentate dagli avvocati delle parti, volte a snellire le procedure (anche laddove ciò non convenisse ai propri assistiti), o ad applicare un procedimento speciale (il procedimento sommario di cognizione ex art. 702-bis c.p.c.) piuttosto che un rito ordinario, per ottenere la più breve discussione orale – art. 281-sexies c.p.c.- rinunciando alla procedura conclusionale ordinaria ex art. 190 c.p.c. Il tutto condito di termini decadenziali (sei mesi prima della scadenza dei termini massimi di durata del procedimento ex art. 2 comma 2-bis legge Pinto) che, laddove superati, comporteranno l’improcedibilità del successivo giudizio per equa riparazione Pinto.
Peccato, tuttavia, che, il giudizio ed il suo procedimento, siano in esclusiva disponibilità del giudice che ha in mano il fascicolo e non dipendano certo dal volere delle parti e degli avvocati. Il giudice procedente è infatti l’unico che può abbreviare o allungare il processo, che conduce e porta avanti fissando udienze, rinvii o ammettendo testi o rigettandoli, disponendo consulenze o quant’altro, scegliendo il rito migliore. E invece di incidere sulle ragioni del ritardo (organico, arretrato o, in alcuni casi, fannullismo, cosa fa il Governo? Onera le parti, che il processo lo subiscono, a formulare richieste acceleratorie ad ogni piè sospinto, pena l’inammissibilità del – già esiguo – indennizzo!
Per capirsi meglio: il genitore non nutre i propri figli per giorni e giorni? Invece di punire (o comunque intervenire) sul genitore, si fa in modo che la colpa ricada sui figli che non hanno chiesto il cibo più e più volte. Non lo hanno fatto entro il giorno x? Non abbiano poi a lamentarsene!
Un vero paradosso, che trova le sue esclusive ragioni nella ragion di Stato, dove, col cerino in mano, rimangono al solito gli utenti e dove chi ha il dovere di rispettare le regole è deresponsabilizzato.
Peraltro, e per fortuna, tutto ciò è destinato a trovare, come già accaduto in passato, bocciatura in sede europea (Cedu), dove non si ammetteranno simili ostacoli interni all’applicazione della Convenzione e allo stravolgimento della giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia. In passato quest’ultima ha chiarito che il comportamento delle parti non rileva ai fini dell’indennizzo, perché il giudice ha il dovere ed il potere di gestire il suo processo in modo equo ed in tempi ragionevoli.
Ciò detto, siamo consapevoli del carico dei ruoli dei magistrati, che, soprattutto in alcune aree ha dei numeri spaventosi. E siamo consapevoli che, anche per questo, ancora non si è provveduto ad una riforma del rito civile che apporti un reale snellimento del processo, pur sventolandola ai quattro venti. Siamo anche consapevoli che non ci sono i denari per aumentare in modo significativo l’organico della magistratura togata. E allora, cosa si fa? Intanto… si toglie l’indennizzo alle vittime – ed un termine più che adeguato – della nostra malandata giustizia.

Claudia Moretti, legale Aduc