Sono libero perché col mio “specchio” ho un rapporto di fiducia

di Roberto Gugliotta

Chi ospiterà Renato Accorinti o i suoi emuli? Da quale fucina esploderà la nuova bomba sexy o la rivelazione femminile dell’anno? Da dove si potranno pescare i fortunati che ora allietano le trasmissioni locali con i loro pseudo-drammi esistenziali e la loro ricerca di un ruolo nel mondo tivvù? Click. E il cervello si spegne. L’elettroencefalogramma verte pericolosamente sul piatto. Magari aumenta la tachicardia ma si abbassa la soglia dell’attenzione. La capacità reattiva è obnubilata. Per fortuna che qualcosa sta cambiando. La notizia che viene dal mercato televisivo, che pare abbia sancito il tramonto dei reality show, rischia di procurare seri problemi alla cara buddace tradizione che ama la televisione dei palinsesti immobili e degli spiriti creativi che hanno abbandonato la creatività per concentrare le loro idee su come rendere più incomprensibili le regole del gioco, più urlanti i suoi protagonisti e più ripetitivi i programmi di un palinsesto fondato sull’abitudine e sulla ripetizione di se stesso e su poche persone che si sono abbarbicate alla loro posizione per non rischiare più. La televisione messinese immobile non avrà più tanti eroi da celebrare perché questi sono al tramonto. E dunque saremo liberati – almeno si spera – dal rischio di vedere un reality mascherato da informazione che mette in palio un rene nuovo per un trapianto ma solo per chi sarà nominato e scelto in una rosa di disperati e condannati: quella volta (dissero) era solo una provocazione che voleva sensibilizzazione al tema dei trapianti ma c’è sempre la possibilità che qualcuno ripeschi l’idea, considerati i tempi bui. Saremo liberati dalla prospettiva di vedere una famiglia borghese lasciata in una “comunità” – dove i problemi son seri e non romanzati – e chiamata a sopravvivere e a cucinare davanti alle telecamere. Eviteremo di sciropparci l’edizione rivista e aggiornata di certi flop fallimentari anche nella patria di una televisione italiana che, da alcuni punti di vista, rispecchia esattamente certe dinamiche sociali: gerontocratica e ripetitiva, noiosa litigiosa e poco creativa. Ma c’è anche la giustificazione di tutti i cantori della Messinesità da operetta: della differenza culturale rivendicata e non applicata. Nella mia vita professionale ho sempre respirato libertà, non ho mai avuto la sensazione di essere oppresso, manovrato o manipolato. Ma non bisogna nemmeno mitizzare la professione del giornalista: non siamo paladini della Verità con la V maiuscola. Siamo professionisti di una professione complessa, che si inserisce in società complesse dove la libertà di stampa non è la libertà di dire quello che si pensa e quello che si vuole in ogni contesto. La libertà di stampa è più complessa ed è la libertà per ciascuno di sfruttare le potenzialità della stampa e della pubblica informazione. Poi ogni testata deve rispettare le compatibilità esistenti. Io non mi sento libero perché posso dire qualsiasi cosa mi passi per la testa: mi sento libero perché col mio “specchio” ho un rapporto di fiducia.