di Roberto Gugliotta
Le ultime vicende giudiziarie ci svelano una Messina spietata nei fatti che non bada a spese pur di raggiungere il fine. Nè più, né meno di quello che abbiamo raccontato nel corso degli anni e che qualcuno ha fatto finta che non esistesse. Non vogliamo medaglie: non scriviamo per ottenere premi. Messina città di frontiera. Messina sede del Verminaio! La tristezza è vedere oggi professionisti della politica che s’indignano quando poco tempo fa ci prendevano in giro per le nostre inchieste; qualcuno ha tirato fuori l’alibi delle regole, del merito, della crisi economica: tutto falso. Le regole sono sempre esistite bastava applicarle e non far finta che fosse tutto normale. Analizzate le vicende senza pregiudizi: girano, i fatti, intorno ai delitti e alle pene, ai criteri della giustizia e a quegli impulsi che spingono alcuni uomini sulla via del crimine contro i quali non c’è timore o castigo che valga. I mafiosi locali, una volta divenuti collaboratori di giustizia, hanno raccontato come le bande tenevano sotto scacco i quartieri: ma al di là dei verbali, poco è stato fatto per mettere in ginocchio la criminalità. Dalle assunzioni alle campagne elettorali, dai supermercati alle tante cooperative che si formavano per favorire direttamente i disonesti. E non c’è colore politico che possa oggi definirsi immune. Come non c’è candidato al consiglio comunale o alle regionali se non alle nazionali di prima fascia che possa dirsi innocente del tutto. Puntiamo il dito contro Francantonio Genovese e Franco Rinaldi, benissimo, ma non santifichiamo il resto della compagnia, perché ci pare di capire che una volta di più in questa città si fanno degli sconti, si regalano patenti di verginità. Fuori dai denti: se vuoi entrare in certi quartieri devi di riffa o di raffa parlare con i disonesti se facciamo passare il concetto che solo Genovese e Rinaldi sono i cattivi della storia, siamo intellettualmente disonesti. Ma questa riflessione, anomala nel senso che dirò, soprattutto scava nella mentalità buddace, nella torbida psicologia dei reclusi, nelle loro confuse o futili speranze. Questa è una città dove volutamente è stato dimenticato un delitto eccellente (omicidio Matteo Bottari): dopo 6695 giorni ci svelate chi ha ucciso il professore Matteo Bottari? Nessuna fretta… con le vostre istituzioni sempre più screditate, le parole consumate che seguono, come litanie "esecrazione", "sdegno", "sgomento"… i monotoni riti senza alcun profondo sentimento, che riempiono le cronache tempestose di questi giorni. Perchè ci si abitua a tutto, anche al delitto e alla morte. Abbiamo davanti agli occhi la faccia del povero professore… in una città ipocrita e bigotta, penso con profondo rispetto a quell’uomo ucciso dalla sua Messina. Nella struttura della ricerca di verità, questa serve anche ad equilibrare l’impianto dichiaratamente di parte di certi resoconti. Ognuno di noi ha letto molti libri e visto molti film ambientati negli ambienti della malavita ma la quotidianità messinese supera di gran lunga la fantasia. Ma il miracolo è riuscire a raccontarlo da giornalista e non da reduce. Impariamo in che modo la giustizia spesso funziona a orologeria, come la politica si prende le nostre speranze, in che università andranno a studiare i giovani. Legge della giungla che ovviamente arriva sino al carcere. Vivendo da ultimi apprendiamo le regole spietate della procedura: al terzo articolo d’inchiesta, anche se si tratta di violazione minore, scatta la condanna a vita. Tutte le regole con le quali una società violenta tenta più che di rendersi migliore di esorcizzare se stessa. Di più, aggiunge a ciò che già conosciamo la dimensione sconosciuta e terrificante della verità.