è finita la scuola. Meno male

Ieri 10 giugno e finita la scuola (a parte chi ha esami da fare) e nei prossimi giorni in tanti se ne renderanno conto su, per esempio, la riduzione della congestione urbana in alcune ore, dopo che, i ragazzi, si sono liberati di questo fardello, per il momento. A scrivere queste note non è un alunno/studente precoce che, uscendo ieri dal portone dell’edificio fiorentino in cui ha passato 9 mesi, ha davanti a sè tre mesi di vacanza e non gli par vero che non deve alzarsi tutti i giorni per andare a sorbirsi lezioni che, nella maggior parte dei casi, non lo hanno stimolato e interessato. No. A scrivere è un padre e, anche nella fattispecie, uno che è attento ai diritti degli utenti, soprattutto di quelli piu’ deboli (come lo sono i bambini e i ragazzi che vanno alla scuola dell’obbligo). Uno che come tale, con soddisfazione, pronuncia: meno male che la scuola e’ finita. Io non ne potevo piu’ e cosi’ lo vivevo con mia figlia che ha finito la quinta elementare in una scuola pubblica a Firenze. Giorno per giorno, con i racconti delle cose che le venivano insegnate a scuola, le sue incomprensioni e le mie difficolta’ a cercare di armonizzarle con la realtà che, ai suoi ed ai miei occhi, era abbastanza diversa da quella che era scritta sui libri e da come gli venivano insegnate le varie materie. Con i compiti da fare a casa dopo che era stata otto ore (dalle 8,30 alle 16,30) in classe, con i fine settimana dove almeno un giorno intero doveva essere dedicato ai soliti compiti a casa. Bambina brava, per carità (abbondanza di nove e dieci), ma non per amore bensì solo per “naturale” istinto del dovere: quando con compagni di scuola si ritrovavano fuori dell’edificio, parlavano di tutto tranne che di qualcosa che avesse a che fare con quello che gli era stato insegnato, sintomo evidente dello scarso interesse specifico e della abissale differenza tra la loro realta’ e quella scuola. Era così ai miei tempi (Anni ’60 del secolo scorso) ed e’ ancora oggi cosi’, come se piu’ di cinquanta anni non fossero passati e come se in questi anni non fosse successo nulla; per esempio rivoluzione tecnologica, globalizzazione, Unione Europea, Terzo Mondo un po’ meno di prima ma con picchi ancora presenti che lo hanno fatto diventare Quinto Mondo; esplosione demografica, nonostante le preoccupazioni -a mio avviso da incoscienti ignoranti- per il calo di natalita’ italica nella penisola; flussi migratori piu’ drammatici che nei secoli e decenni passati; estrema e facile/economica mobilità; città sempre più mostri di vivibilità; livelli di sicurezza sempre meno vivibili, etc… E loro, gli alunni/studenti a studiare come si vestivano le donne etrusche e le case in cui abitavano; ad imparare a memoria le poesie di Natale e di Pasqua; a non fare ginnastica se non (quando non saltava per indisponibilità dell’androne che hanno chiamato palestra) come momento di sfogo per sudare, correre e urlare; lezioni di lingua straniera da brivido (dopo cinque anni mia figlia non parla inglese e conosce meglio un’altra lingua straniera che in questi ultimi cinque mesi le abbiamo fatto studiare privatamente quando usciva da scuola); lezioni di educazione civica basate su testi vecchi di almeno cinque anni (ignorando le riforme istituzionali nazionali ed europee di questi ultimi anni); lezioni di musica per finta con insegnanti che non sapevano di cosa stessero parlando; mensa da fare schifo, con tanto di strombazzate periodiche su prodotti a km-zero o biologici…. che di per se’ non vuol dire che non possano non non fare schifo o essere cucinati male; zero educazione alimentare; le ore alternative a quella di religione come vuoto parcheggio temporale per attendere l’ora successiva; etc. Poi, e’ ovvio, ci sono anche gli aspetti positivi, quasi esclusivamente dal punto di vista umano e quasi per niente didattico: ragazzi che umanamente crescevano e che avrebbero comunque trovato il positivo anche nel piu’
tetro e buio antro della a-cultura, rapporti interpersonali che si abbellivano e si sviluppavano, anche tra alcuni genitori, in momenti privati e collettivi.
Mi domando se questo fosco quadro che ho dipinto non sia colpa mia, colpa di mia figlia, colpa della scuola dell’obbligo, colpa della scuola pubblica, colpa degli insegnanti colpa dei politici che hanno strombazzato a destra e a manca la priorita’ degli investimenti nella scuola ma che poi -per quanto riguarda gli utenti/studenti- e’ come se non fosse accaduto nulla. Probabilmente e’ un mix di tutti questi elementi… e quindi rassegnamoci, prendiamo il mandolino, facciamoci due spaghetti e una pizza e andiamo ai parchi pubblici (dove ci sono e sono un po’ meno squallidi)? No, non ci sto. Per mia figlia e per tutti i suoi meravigliosi compagni di classe, di istituto e di tutti gli altri istituti dello Stivale. La responsabilita’ e’ di un sistema che e’ diventato regime, inossidabile e inamovibile, dove chi ne prende consapevolezza o si rassegna o scappa. Se hai tentato di parlare -come ho fatto io in questi anni- trovavi finte orecchie aperte e/o ostilita’ basate sul pregiudizio. Ed ecco, quindi, che ognuno si chiude come un riccio, cerca di farsi fare meno male, ma gli strumenti erano scarsi/inesistenti, incrostati, arrugginiti e quindi inutili. Ognuno, la “mitica” famiglia, come unica alternativa al collettivismo che avrebbe dovuto rappresentare la scuola pubblica; dove quest’ultima non era luogo di confronto e di crescita per le singole individualita’ e famiglie, ma di sopravvivenza, di lotta all’accaparramento nel proprio guscio per succhiare il succhiabile e mixarlo nel proprio ego, dove l’altro e’ un limite e un ostacolo e non bellezza e stimolo di curiosità.
Ci si rassegna o si scappa, quindi. In tanti si rassegnano perche’ non hanno alternative culturali e/o economiche e/o scelte consapevoli di priorita’ per i propri figlioli anche rispetto alle proprie mutande. E quindi la macchina continua. I politici che avrebbero strumenti per cambiare continuano a fare finta o hanno altri interessi o sono prigionieri delle proprie ideologie, in un luogo, la scuola pubblica, in cui l’ideologia dovrebbe essere emarginata pur se rispettata.
Io ho deciso di scappare, di scendere e andare altrove. Non ce l’ho fatta. Una sconfitta? Sì, in un certo senso. Per mia figlia, invece, sentiremo lei cosa ne penserà quando il cosiddetto ciclo base di studio per la preparazione civica, sociale e culturale sara’ concluso.

Vincenzo Donvito, presidente Aduc