Ha fatto un po’ di scalpore la notizia che, in seguito a controlli da parte dei Nas, 1 mensa scolastica su 4 in Italia sarebbe irregolare, e 37 di queste sono state chiuse. Esecrazione, ovviamente, da parte del ministero, che promette controlli a sorpresa un po’ dovunque, anche nelle strutture per gli anziani. Ma -dice il ministero- non sono dati allarmanti…. anche se i Nas sostengono che le irregolarità sono in aumento, anche perche’ aumentano i controlli. Tutto bene? No! Perche’ si sta parlando di un doveroso -e per ora limitato, per ammissione delle medesime autorità- intervento secondo i crismi della salubrita’ indicati dalle leggi. Un tipo di controllo che ovviamente va fatto ed ampliato, ma che non risolve il problema principale: la qualita’, cioe’ quella caratteristica che, pur in presenza di cibi che corrispondono ai canoni di legge, fa gradire o meno il prodotto ai consumatori. Che, trattandosi essenzialmente di soggetti che mediamente non vanno oltre i 12 anni (scuole elementari, pur se ci sono alcuni casi di mense anche in scuole di grado superiore), sono piu’ indifesi rispetto al cosiddetto consumatore medio. Per questi consumatori, in genere, agiscono e decidono i genitori, ma fino ad un certo punto. Si provi a chiedere quali sono le percentuali di cibo buttato delle varie mense perche’ non mangiato per vari motivi: siamo intorno al 50%… sembra una percentuale accettabile? Secondo me c’e’ piu’ di qualcosa che non torna. Qui stiamo parlando non dl cibo irregolare e delle indagini dei Nas, ma di quel cibo regolare che non viene mangiato perche’ non rispondente alla qualita’ desiderata da chi lo deve consumare. Qualita’ desiderata dove i mitici “chilometri zero” o “biologico” possono valere solo nella misura in cui garantiscono qualita’ normativa, ma che di per se’ non necessariamente soddisfano i fruitori di questo mercato. Questo accade sopratutto per un motivo: questi piccoli consumatori non hanno nessuna informazione ed educazione all’alimentazione. Per loro decidono, in linea di massima (come ci dicono) stuoli di nutrizionisti, piu’ o meno verificati dalle cosiddette commissioni mensa fatte dai genitori (mediamente inutili ed inascoltate), ma soprattutto legati alle disponibilita’ economiche di questa o quell’altra amministrazione. I grandi assenti sono, per l’appunto i consumatori, cioe’ quelli che dovrebbero scegliere ed esprime il proprio gradimento. Ecco cosa accade: i responsabili scolastici scelgono (con alcuni effetti disastrosi come dimostrato dall’indagine da cui abbiamo avviato la nostra riflessione), i genitori pagano, i consumatori subiscono. Il contrario, cioe’, di quello che dovrebbe accadere in una societa’ di mercato che, anche se i consumatori “non votano”, restano tali e non per questo portatori di minori diritti. I consumatori che “non votano” diventano cosi’ sudditi, cioe’ conformi all’indirizzo generale della scuola pubblica italiana: educazione alla sottomissione/accettazione e mediocrita’ rassegnata. C’e’ un’alternativa. Che questi piccoli consumatori siano informati anche sull’alimentazione, proprio come una qualsiasi altra materia scolastica, e che a loro sia dato il potere di poter scegliere cosa mangiare ogni giorno a scuola. Difficile? Certo, se pensiamo che debba accadere con uno schiocco di dita, lo sarebbe, ma se la scuola fosse organizzata a modello (al primo posto) degli utenti dei servizi e dei consumatori dei prodotti, piuttosto (come in linea di massima avviene oggi) a modello degli insegnanti e dei vari lavoratori, sarebbe fattibile. E non e’ un’idea neanche da futuro fantascientifico, visto che, al livello internazionale e nazionale, esistono fior fiore di trattati per la tutela dell’infanzia e dei loro diritti… si tratta solo di passare dalla teoria alla prassi, dove quest’ultima deve tener conto anche delle opinioni e delle esigenze dei diretti interessati. E’ solo questione di volonta’ politica da parte dei cosiddetti grandi, che’ i loro figli siano trattati si’ da bambini, ma bambini che diventeranno grandi dopo aver appresso senso civico e responsabilita’ fin dai primi passi nel mondo dell’istruzione obbligatoria.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc