Per uno che ha collaborato per diversi anni con bollettini, giornali, periodici parrocchiali, e con radio, la lettura del libro di Giorgio Zucchelli, “Il Settimanale cattolico. Questo sconosciuto”, Libreria Editrice Vaticana (2014) , suscita un interesse particolare, soprattutto perchè nel frattempo, questo mio interesse a collaborare con giornali non è venuto meno. Neanche dopo la grande rivoluzione tecnologica di internet, del web. Del resto la trasformazione del web mi ha coinvolto in pieno, scrivere sulla vecchia macchina da scrivere Olivetti e una tastiera del computer non è la stessa cosa. Ormai è dal lontano 2000 da quando ho iniziato la collaborazione con il Corriere del Sud di Crotone, che scrivo articoli con giornali, con blog online.
Il libro di Zucchelli ha diversi meriti intanto quello di sostenere che la storia del giornale stampato non è finita, neanche per quelli cattolici, certo bisogna ora integrarlo con il web e qui che viene il bello dell’impresa. E poi soprattutto quello di convincere il mondo cattolico che ancora sono necessari i settimanali cattolici per fare missione, per evangelizzare. Spesso si afferma, in numerosi documenti ecclesiali, che oggi sono i mass media a fare cultura, che hanno scalzato da tempo, le “agenzie educative” come la famiglia, la scuola, la parrocchia. Se è così per don Zucchelli, come logica conseguenza, la Chiesa dovrebbe utilizzare sempre meglio i mezzi di comunicazione.
Preparare uomini e donne perchè la fede diventi cultura.
Sono due i modi per operare attraverso i media: innanzitutto preparando i cattolici a inserirsi nei grossi media pubblici e laici “per iniettare valori positivi ispirati a quelli cristiani”, un lavoro che non è stato mai fatto, basti vedere come la televisione di Stato è preda di culture libertarie e radicali. Il secondo modo è quello di rilanciare i media cattolici a tutti i livelli, con personale qualificato e adeguate risorse finanziarie. La storia del Movimento Sociale Cattolico di fine ottocento è straordinaria, nel libro don Zucchelli cita l’opera di don Giacomo Margotti e di don Davide Albertario, due colonne del giornalismo cattolico anche se intransigenti, ma poi come non ricordare don Giacomo Alberione, fondatore della famiglia paolina.
Zucchelli ha la vocazione del giornalismo, anzi è convinto che per un sacerdote scrivere significa rafforzare il proprio ministero. Del resto don Alberione, proponeva un nuovo modello di sacerdote. “L’apostolato della stampa è vera predicazione, al pari di quella orale”. Lo diceva anche , con realismo e incisività bergamasca mons. Angelo Spada, per 51 anni direttore dell’Eco di Bergamo.
Don Giorgio ha studiato presso l’Università Cattolica, diplomandosi in giornalismo e poi ha insegnato nella medesima università. Per cinque anni è stato presidente nazionale della FISC (Federazione Italiana Settimanali Cattolici) e vicepresidente nazionale dell’Uisp. Attualmente è direttore de Il nuovo Torrazzo, settimanale di Crema.
Perchè un libro sui settimanali cattolici.
Ma perchè è stato scritto questo testo di quasi 500 pagine. Don Zucchelli risponde:“Per rompere il silenzio sulla bella realtà dei giornali delle Chiese italiane. Ma anche per contribuire a superare la contraddizione tra la necessità di fare dei media cattolici strumenti di evangelizzazione capaci di incidere sull’opinione pubblica e l’indifferenza della base ecclesiale”.
Tuttavia nell’introduzione Zucchelli lamenta una certa indifferenze del mondo cattolico per i settimanali cattolici. Apertamente si pone il problema di come raggiungere la gran massa dell’opinione pubblica, lontana dalla pratica religiosa. E i lontani sono tanti, visto che a frequentare le Chiese sono non più del 10% . Pertanto il giornalista si pone il problema“come realizzare la nuova evangelizzazione verso le ‘periferie’ con linguaggi consoni all’uomo d’oggi?” E criticando un certo mondo ecclesiale, scrive: “Nei consigli pastorali si discute fino alla noia nel cercare quali possano essere le nuove forme e i nuovi linguaggi per portare il Vangelo nelle case e nei cuori di tutti. Si lanciano un sacco di belle idee, si scrivono testi interessanti. Ma, fra le tante parole, pochi s’accorgono che strumenti molto efficaci di evangelizzazione esistono già e possono entrare nelle case di tutti e raggiungere tante persone. Sono i media!”
Nella Storia dei settimanali cattolici, il sacerdote invita i cattolici a riprendere lo spirito di san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra, che tra la fine del 500 e l’inizio del 600 per spiegare l’ortodossia cristiana, mentre imperversava la Riforma calvinista, iniziò a pubblicare fogli che lui stesso metteva sotto le porte delle case. Inoltre, occorre riprendere il coraggio dei cattolici di fine Ottocento, dei tempi dell’enciclica“Etsi Nos” e della “Rerum Novarum” di Leone XIII, che per contrastare i “giornali sediziosi e funesti” che “scagliano quotidianamente(…)calunnie contro la Chiesa e il Sommo Pontefice”, auspica,“che almeno in ogni provincia si istituisca qualche strumento che illustri pubblicamente quali e quanti sono i doveri dei singoli cristiani verso la Chiesa: ciò con scritti molto frequenti, se possibile quotidiani”. Certo non viviamo più i tempi delle minacce contro la Chiesa del liberalismo massonico, ma le parole di Leone XIII, sono ancora valide.
Il testo fa un elenco dettagliato e organico, diviso per regioni, delle 194 testate della FISC, un’operazione utile, anche per rompere quel silenzio che esiste intorno a questa realtà della Chiesa italiana.
L’identikit del giornale cattolico.
Dopo aver ragionato sui numeri, il libro riflette sulla struttura del prodotto, in pratica come dev’essere fatto un settimanale cattolico. Don Zucchelli ci tiene a ribadire che il giornale“non lotta per un obiettivo economico, ma per mantenere viva una voce del Vangelo nel cuore e nella periferia del paese”.Anche se poi deve fare i conti con i costi, la pubblicità, la diffusione e tanto altro. Comunque sia anche se un periodico cattolico, non sarà mai in grado di “stare sulla notizia”, ma è fondamentale che si possa fare un giornale di informazione, anche perchè spesso è limitato a un determinato territorio. Il sacerdote esperto in giornalismo, prova a portare degli esempi su come impostare un periodico cattolico, e ne sviluppa un identikit, un vero giornale ideale. Certamente occorre puntare alla qualità dell’informazione, che richiede coraggio, anche nelle critiche locali, senza lasciarsi condizionare da nessun schieramento politico. Tenere “la barra dritta, nel promuovere e difendere i valori non negoziabili, anche se spesso si ricevono critiche pesanti pure dal mondo cattolico cosiddetto ‘progressista’”. A questo proposito don Zucchelli cita il lavoro importante svolto dai giornali iscritti alla FISC e della Chiesa per l’astensione al referendum sulla Legge 40 e poi per la preparazione del Family Day del 2007.
“Se vogliamo evangelizzare non possiamo fermarci a parlare con coloro che già sono evangelizzati”, scrive Zucchelli, occorre fare arrivare il giornale diocesano nelle periferie, anche nelle mani e nelle case di chi non frequenta la comunità cristiana, di chi non è credente. Più avanti il sacerdote giornalista insiste sulle modalità di evangelizzazione. “E’ questo un punto debole del pensiero ecclesiale: si pensa che evangelizzare significhi comunicare contenuti religiosi ed ecclesiali, quando non catechetici, comunque sostanzialmente culturali. Una Chiesa che parla di sé e delle sue cose”.Certo la formazione è importante, ma dev’essere accompagnata dall’informazione. E allora ci si chiede:“come può un giornale evangelizzare con l’informazione e la cronaca? La risposta è: diffondendo nell’opinione pubblica una visione della vita e del mondo ispirata ai valori cristiani, facendosi cioè – come dice la Communio et progressio – faro di tutta la realtà”. Per don Zucchelli occorre sfatare certi pregiudizi su come fare un giornale diocesano. Il racconto è il cuore dell’informazione, è un mezzo di formazione anch’esso (una formazione in atto). I nostri lettori si possono educare anche con le semplici notizie, per don Zucchelli,“le stesse ‘nude’ notizie contengono una grande forza educativa e formativa”. Anche il semplice fatto di sceglierle tra le tante, contengono sempre un giudizio di valore. Un quotidiano locale può avere delle grandi potenzialità, raccontando con le “buone notizie”, la quotidianità positiva di una popolazione, settimana per settimana,dando voce a chi non ha voce, può essere una forma di scegliere i poveri, gli ultimi della strada del quartiere. Un nuovo giornalismo sociale.
Conta anche il taglio con cui vengono date le notizie, una testata del FISC, non solo deve vantare una “differenza informativa”, ma deve anche proporsi con una “differenza etica”. I giornali cattolici devono avere “il coraggio di servire la verità smascherando il tentativo di ridurla a semplice confronto di opinioni del tutto relative, imposte a colpi di maggioranza, smontando le false notizie mediante un’operazione di risanamento quanto mai necessaria per la deriva che molti dei grandi media oggi hanno raggiunto[…]”.
I settimanali diocesani devono andare controcorrente.
Don Zucchelli prende esplicitamente posizione contro il pensiero politically correct, in particolare, sui cosiddetti principi non negoziabili, e punta molto sulla dottrina sociale della Chiesa, è convinto che anche i settimanali diocesani devono accettare le sfide che si presentano sui valori etici, a cominciare del rispetto della vita in tutte le sue fasi. Nel testo fa riferimento all’enciclica “Evangelium Vitae” di san Giovanni Paolo II.
Il sacerdote per avallare le sue tesi sui mezzi di comunicazione, cita diversi documenti della Chiesa, il Concilio Vaticano II, che è abbastanza esplicito in merito. Leggere e diffondere, la buona stampa, “allo scopo di poter giudicare cristianamente ogni avvenimento”. Non basta autodefinirsi cattolici per esserlo davvero, ma bisogna porsi l’obiettivo di “formare, favorire e promuovere opinioni pubbliche”, per promuovere il diritto naturale, la dottrina e la morale cattolica, far conoscere nella giusta luce i fatti che riguardano la vita della Chiesa”. E bisogna fare questo formando “senza indugio sacerdoti, religiosi e laici, i quali sappiano usare con la dovuta competenza questi strumenti a scopi apostolici […]”.
Il grande san Giovanni Paolo II, si rendeva conto della grande importanza dei mezzi di comunicazione, è lui che per la prima volta, nella Redemptoris Missio, dà la bella definizione dei media come “aeropaghi moderni”.
Certo oggi con l’avvento dei social media, che riscuotono tanto successo tra i giovani, occorre calibrare diversamente il lavoro dei giornali cartacei e quindi l’impegno dei cattolici nel mondo della comunicazione. “I tempi sono difficili”, scrive Zucchelli, e si augura che il testo che ha scritto non sia “l’ultima foto di gruppo dei giornali delle Chiese italiane”. Certo “Il settimanale diocesano”, è stato scritto per “ridare speranza e rilanciale la stampa diocesana. Ma, per non scomparire è necessaria una svolta”. E qui adesso la palla passa ai vescovi, alla Cei, ai movimenti, ai militanti, ai singoli cattolici.
Domenico Bonvegna
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