Rapporto Antigone 2016 e affermazioni del Ministro Orlando

La cosa più brutta del carcere è che vedi gli altri soffrire; quella più bella è che, in questo modo, ti dimentichi del tuo dolore.
(Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com)

Dico sempre ai miei compagni che, per tentare di portare la legalità costituzionale dentro le nostre Patrie Galere, bisogna prima leggere e poi imparare a scrivere. Oggi mi è capitato di leggere queste dichiarazioni del Ministro della Giustizia Andrea Orlando nel corso di un convegno organizzato, tra gli altri, dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo: “Un carcere organizzato così com’è oggi non serve nemmeno per garantire la sicurezza. Il carcere costa ogni anno 3 miliardi di euro e l’Italia è il Paese con la recidiva più alta d’Europa. Chi invoca il carcere in nome della sicurezza, in realtà cavalca una società ansiosa e propina una truffa. (…) All’apice del sovraffollamento avevamo prima 69 mila detenuti per circa 42 mila posti. Avevamo un sistema che si reggeva soprattutto su una gamba, quella del carcere. I soggetti ammessi a pene alternative erano circa 20 mila. Adesso la situazione è cambiata. Abbiamo 54 mila detenuti per circa 50 mila posti, ma soprattutto 40 mila soggetti ammessi a pena alternativa.” (da: La Repubblica, 13 luglio 2016).

Spero che il Ministro non me ne vorrà se affermo che, sì è vero, che si è fatto molto per migliorare la situazione carceraria, ma la strada è ancora lunga. Mi riferisco, in particolare, alla situazione dei diecimila detenuti condannati per reati di criminalità organizzata. Continuo a pensare che, se si vuole sconfiggere questo fenomeno, bisogna iniziare da dentro il carcere offrendo anche a queste persone la speranza di una vita più dignitosa. Da decenni, infatti, ci sono detenuti che in nome della “sicurezza sociale” rimangono in regime di carcere duro (41 bis), o nei circuiti di Alta Sicurezza. E ciò sovente avviene con motivazioni apparenti o stereotipate, inidonee a giustificare, in termini di attualità, la pericolosità affermata. Spesso (o quasi sempre), le richieste di declassificazione vengono rigettate dai funzionari del Dipartimento Amministrativo Penitenziario prendendo a pretesto episodi, sicuramente gravissimi, ma ormai datati nel tempo.
Molti di questi detenuti scontano la galera chiusi in una cella anche per ventidue ore su ventiquattro, senza fare nulla a parte continuare ad odiare le istituzioni e la società.
Anch’io sono stato uno di loro e, anche se nella mia vita ho infranto tutte le leggi scritte e le consuetudini sociali, una volta in carcere, mi sono dovuto accorgere che i miei guardiani erano peggiori di me. In questo modo, mi sono subito auto-assolto.
Credo che la criminalità organizzata non si possa sconfiggere solo militarmente senza prima “curare” e “sanare” i cuori e le menti degli “affiliati”. Ci sono giovani ergastolani (ormai non più giovani) che hanno passato più anni della loro vita dentro il carcere rispetto a fuori. Che fare per recuperarli? Quando si trascorrono molti anni sott’acqua e al buio, è difficile ritornare a galla e alla luce, e riabituarsi a vivere.
Da pochi giorni è uscito anche il Pre-Rapporto 2016 dell’Associazione Antigone sulle condizioni di detenzione, dove tra i tanti dati vi è quello che il numero dei detenuti è tornato a salire e che “I numeri delle misure alternative crescono lievemente, come hanno fatto anche negli anni precedenti, ma rimangono tuttavia troppo bassi rispetto alle potenzialità”.
Per questa ragione Antigone lancia la campagna “Partiamo da 20×20” e chiede di destinare entro il 2020 il 20 per cento del bilancio dell’Amministrazione penitenziaria in misure alternative. "Oggi per queste misure l’Amministrazione penitenziaria spende meno del 5 per cento del proprio bilancio. La parte più avanzata del nostro sistema di esecuzione delle pene dunque è anche di gran lunga quella con meno risorse. I soldi servono tutti per il carcere”

Ma anch’io credo, per averlo frequentato per la maggior parte della mia vita e per essere tuttora detenuto da 25 anni ininterrotti, che il carcere, così com’è, sia un pozzo nero capace di distruggere quel poco di buono che è rimasto nel cuore di un detenuto.

Un sorriso fra le sbarre.

Carmelo Musumeci
Carcere Padova